”
Lucille guardò lo specchio. I lunghi riccioli biondi le ricadevano sull’occhio sinistro e fino alla bocca, contrita in una smorfia di paura. Chi era la donna che osservava nel riflesso? Era troppo perfetta, pareva una bambola. Incapace di contenere tale disagio, con un pugno a mano aperta lo sfondò e urlò: ora la sua mano era rossa e piena di schegge.
<Stai ferma Lucy. Ci abbiamo messo ore a prepararti!>, la riprese una voce femminile.
Quando la ragazza si voltò, una giovane donna dallo sguardo severo e fiero la sovrastava dal basso di una sedia. Nella penombra della stanza, la bellezza bionda poteva benissimo notare come quella strega contraeva in modo feroce la propria mascella inferiore contro quella superiore, la tensione era palpabile. Ci fu un lungo silenzio, al termine del quale la giovane donna seduta si alzò dalla sedia e, rovistato un borsone posto sul letto della suite, ne tirò fuori una boccetta nera.
<Vieni qui. Subito.>, le disse austera la giovane donna. <Non morderti le labbra, casomai succhiatele. Veloce, non abbiamo l’intera nottata.>
La bionda Lucille ubbidì e le porse la mano ferita. <Farà male?>
<Hai subito di peggio. Non urlare, è un hotel rispettabile questo. Se non sopporti il dolore avresti fatto meglio a non lacerarti la tua bella pelle. Ecco, ho finito. Come nuova.>
Lucille sorrise e andò a sedersi sul letto a due piazze. Era ancora a piedi nudi, non poteva neppure accavallare le gambe a causa del tubetto nero che lei stessa si era scelto; quindi, con un grande sforzo di flessione e allungamento della schiena, riuscì a infilare i piedi piccoli e snelli nelle decolté rosse. Finalmente pronta, controllò che i capelli ricadessero lungo le spalle e si rimise lo smalto rosso carmine sulla mano guarita.
Si voltò e si diresse verso la porta.
<Bene, questa è la tua borsetta. Al suo interno troverai una lima per unghie, due boccette di smalto e i tuoi documenti. Buona fortuna.>, parlò finalmente la strega che l’aveva preparata fino a quel momento.
<Grazie mille! Ciao!>
<La limousine ti sta aspettando davanti all’entrata. Buona fortuna, sarà grazie a te che uccideremo quei contadini di merda.>, ribatté l’altra con aria di superiorità.
La porta si chiuse.
Lucille iniziò a scendere fino al terreno. Quella era una serata che avevano pianificato nei minimi dettagli, niente sarebbe andato storto. Erano i migliori in questo genere di operazioni e quindi era verosimile supporre che l’elevata efficienza, che con i mesi avevano dimostrato di possedere, si sarebbe dimostrata rilevante e sufficiente. Dopotutto, erano i pupilli delle migliori casate addestrati a essere spie, guerrieri e portatori di morte, in loro scorreva lo stesso sangue che rafforzava un tempo i numi celesti: meglio di loro nulla esisteva, almeno in quella generazione.
E quando un affascinante autista la guidò verso l’interno di una limousine d’alto bordo, gli sorrise: adorava quegli occhi azzurri e sempre rassicuranti. Finalmente al sicuro dentro al veicolo, si poté rilassare perché nulla aveva fermato la sua avanzata e di sicuro niente avrebbe potuto frapporsi tra lei e la sua meta. Certo, essere troppo sicuri della riuscita della missione ne avrebbe certamente pregiudicato l’esito per la loro colpa di superbia, ma la bellissima Lucille era abbastanza certa del loro successo; ciononostante, iniziò a mangiucchiarsi le pellicine delle dita sotto alle unghie smaltate.
L’autista, di cui Lucille riusciva a scorgere la bocca sorridente grazie allo specchietto centrale non ancora coperto dal separé, la vide nervosa e cercò di rassicurarla. Aveva una pronuncia molto dolce, quasi soave, avrebbe potuto ascoltarlo per ora mentre guidava in maniera impeccabile per le strade di Los Angeles forse anche grazie a quel tono che sembrava viaggiare tra parti più alte e allegre e parti più intime e basse, quasi fosse una ninna nanna. A Lucille, dispiacque rispondere e interrompere quella freschezza che la colpiva con cotanta bellezza.
<Nulla, sto bene. Il problema è che… io non so fingere e tutti dicono che sono la perfetta rappresentazione della bellezza casta, che non attizza nemmeno se ci prova. E se non dovessi piacergli, non avranno di certo abbastanza tempo… Insomma, guardami, sai bene che non ho mai indossato vestiti così attillati e rivelatori, ho paura che se mi dovessi abbassare si possa strappare in qualche punto. Avete cercato tanto di modellarmi a somiglianza di un afroditea come le tue sorelle ma non credo ce l’abbiate fatta. Per baccolina, io sono un cecchino, sono l’onnivedente che tutto colpisce! Non una donnaccia d’alto bordo, manderò tutto all’aria!>
L’austista sistemò lo specchietto retrovisore in modo da poterla osservare mentre si portava le mani una volta callose alle guance rosse pronta a scoppiare a piangere e far crollare l’elaborato trucco che serviva a proteggere le sue uniche caratteristiche fisiche che l’avrebbero fatta scoprire. Quindi, prima ancora che quella potesse versare una sola lacrima, l’autista inchiodò in mezzo alla strada; lei si schiantò come un sacco di patate contro il tappetino del veicolo. I due poi si guardarono tete a tete, per chiarire.
<Amica mia cara, tu sei stata scelta da Jennifer in persona perché non solo sei di una bellezza straordinaria ma sei pure capace di gestire un uomo meglio di chiunque altra: Jane è brava anche lei ma non in quello che devi fare tu, Renée di sicuro ci sarebbe andata a letto non appena ne avrebbe avuta la possibilità e Clotilde non ha di certo l’attenzione adatta per manipolare la serata. Tu invece sei una ragazza allegra e spontanea che preferisce stare con i ragazzi fin da quando eri piccola, no? Di sicuro sei quella che lo sa gestire meglio e sei pure il suo tipo. Meglio di così, no?>
Lucille, nel frattempo si era issata di nuovo sul sedile di pelle rossa e abbassato il finestrino lasciava entrare un po’ di aria fresca nell’abitacolo. Con un colpo di mano si sistemò i lunghi boccoli dietro alla testa e inspirò profondamente; calmatasi, espirò e tornò a guardare quell’autista dallo sguardo dannatamente conturbante.
<Ok, certo. Riparti ora, abbiamo almeno due ore da regalare a Jenny e gli altri.>
E la macchina ripartì alla volta del ristorante italiano “Spaghetti e pizza, the best from Italy”.
<hr>
<Bene, tesoro, ora siamo arrivati. Scendi dalla macchina e sfoggia il tuo miglior sorriso! Io aspetto Renée e Carlos!>
La limousine si era fermata proprio davanti all’entrata della proprietà del prestigioso ristorante. Quando Lucille aprì la portiera, il profumo delle viti la avvolse; quando posò il primo sandalo per terra, un terreno soffice la accolse. Quindi, prese la borsetta di perline, inspirò e scese definitivamente dalla macchina.
Si guardò intorno. Si trovava all’inizio di un viale alberato illuminato da torce e da una luna più splendente che mai. Un venticello le accarezzava il viso perfetto, scolpito dal trucco seguendo i gusti dell’uomo che la aveva ingaggiata per quella serata. Erano passati due minuti da quando era scesa, ma lei non si era mossa e la limousine era ancora ferma al suo posto.
Un finestrino, quello a fianco dell’autista, scese e una mano bella e virile tamburellò sulla portiera. <Bambola, vuoi andare o no? Hai fatto di peggio, lo sai vero?>
E lei lo sapeva: molte volte Lucille aveva indossato completi bianchi o dorati per ritrovarsi di rosso vestita a fine serata, fradicia e puzzolente. Lavorare presso Bloody Jennifer comportava non solo gloria e ricchezze indiscusse, ma anche uno stomaco molto resistente ai tormenti dell’animo. La prima volta era stata normale e devastante, si era preoccupata solo quando la normalità di quelle azioni aveva soppiantato la paura. Lucy non aveva paura per ciò che avrebbe dovuto fare in caso qualcosa fosse andato storto, ma di cosa le avrebbe chiesto la vittima se tutto fosse filato liscio! Ma ormai era lì, quindi doveva lavorare: con una pacca che risuonò tonfa da quanto potente sul tettuccio della vettura, segnalò all’autista di andare via e si incamminò.
Quando arrivò al ristorante, ad attenderla trovò un cameriere alto e allampanato, scheletrico e fragile, dai tratti sicuramente ispanici – occhi neri, pelle olivastra, capelli ricci e corvini – ma dalla nazionalità indefinita. Quando la vide, le si inchinò con un sorriso e le pose una domanda di routine: aveva prenotato?
<Ma certo. Sotto il nome di Lucille Hale, controlli pure!>
Il cameriere, dopo una rapida controllata all’elenco che teneva in mano, annuì sorridendo, un sorriso che rese le profonde occhiaie di quel viso magrissimo nella penombra lunare più simili a solchi di voragini più che ai loculi oculari. Le fece cenno di seguirlo. Lei soddisfatta, lo fece.
Il locale era molto carino, il colore dominante era il rosso; rosso carmine sulle pareti, il rosso delle catenelle di peperoncini e peperoni alle pareti, il rosso delle rose raccolte in vasi, le tovagliette dei tavoli metà rosse e metà bianche, i tendaggi scarlatti e la divisa dei camerieri color magenta. Ogni tanto la bella bionda poteva notare qualche pacchiano souvenir italiano, come una miniatura o un busto di chissà quale personaggio importante italiano. Non era ancora arrivata alla sala dove risiedeva il tavolo prenotato che subito si sentiva osservata: una cameriera la puntò e li raggiunse.
<Mais buonasera, miss…?>, le chiese la cameriera mentre scacciava il povero ragazzo che aveva condotto l’ospite fino a quel punto.
<Miss Hale, prego. Questo gentile cameriere mi stava portando alla mia prenotazione. Lei sa dov’è?>
<Ma sherto.>, rispose la cameriera portando sotto all’arcata che delimitava l’inizio di una nuova sala. Indicò un uomo seduto al centro. <E’ quello lì. Cosa mi dicci?>
Lucille squadrò attentamente l’uomo seduto ad aspettarla e poi tutta la stanza; sembrava che il suo sguardo oltrepassasse le pareti, si perdesse per i campi che si celavano dietro alla struttura per coltivare gli ortaggi che servivano in cucina. Nervosa, contrasse la mandibola inferiore con quella superiore e inspirò. La cameriera le si avvicinò, di modo che solo due potessero sentire ciò che si dicevano.
<Allora? Bell’uomo vero?>
<Sicuramente affascinante. Non capisco chi possa essere, non combacia con nessuno dei fascicoli che abbiamo ispezionato. Sarà sulla quarantina, occhi castani, capelli brizzolati e mossi, corti, ben piazzato, sarà sul metro e ottantasette, peso novanta chili, la parte del corpo più allenata è il quadricipite, ha braccia molto sottili per la sua stazza, non credo sia un combattente. Nel raggio di duecento metri, non vedo nessuno che sembri in attesa, è probabilmente solo. Avrà tutti i soldati a casa, a proteggere i reperti. Da quanto aspetta?>
<Meh. Sarà qui da una quindicina di minuti, sempre calmo e con lo sguardo basso sull’orologio. Per quando avevate l’appuntamento?>
<Ora. Augurami buona fortuna! Senti, dì a Carlos di cercare qualcuno con una voglia molto grande sulla spalla sinistra e un tatuaggio a forma di colomba sull’inguine. Ok?>
<Ok, je vais! Bonne fortune, Lucille!> e la salutò.
Così, mentre la bella bionda a passo sicuro si dirigeva presso il suo cliente, la cameriera si era inoltrata verso la cucina. Là incontrò il cameriere ispanico, si era già tolto la divisa. subito, senza che nessuno degli altri dipendente le dicesse nulla, si tolse anche lei la divisa e indossò una lunga tuta aderente e un paio di scarpe da ginnastica. Raccolse i lunghi capelli fino a quel momento sciolti in due code di cavallo e, con uno schiocco di dita, raccolse l’attenzione dell’altro anche se era occupata con un’ampia porzione di pasta alla puttanesca. Insieme, salutarono il resto dello staff e uscirono passando per la porta del retro.
I due, veloci e taciturni, camminarono girandosi più volte per vedere se fossero inseguiti. Poi, raggiunto il parcheggio nel buio della luna coperta, salutarono l’affascinante ragazzo che li aspettava appoggiato alla limousine nera come quella notte.
<Ma buonasera ragazzi. Carlos, sbagli o a portar vassoi ti sei leggermente stancato?>, chiese James all’amico mentre gli apriva la portiera. Poi, una volta fatto entrare, concentrò l’attenzione sulla bella brunetta che lo stava imitando: <Tu invece, sei stupenda come sempre!>
La ragazza una volta seduta si girò a guardarlo e sorrise compiaciuta. Carlos, invece, si limitò ad accendere la luce dellìabitacolo e controllò l’ora. <Fuerza, amigo! Sono già le sette e mezza passate! Mettiti al volante, che ci stanno aspettando!>
James, allora, chiuse la portiera, circumnavigò il cofano e si sedette al posto di guida. Sospirò e accese il motore.
<Certo amico! Com’è andata?>, chiese l’autista dopo qualche minuto, a un semaforo rosso.
A dare la risposta questa volta fu la brunetta dagli occhi a mandorla e la carnagione d’avorio. Si stava controllando le unghie: non se le smaltava e non le teneva lunghe, ma durante il tragitto si era accorta di essersi ugualmente rovinata le dita con il calore delle portate; sospirò e si stravaccò. <Poteva andare meglio, non hanno fatto che guardarmi le cul… Il vestito era troppo aderente ai fianchi…>
<Davvero?>, ribatté allora Carlos, <A me stava abbastanza largo, mi ci sono trovato benissimo. Invece, i piatti pesavano un po’ troppo. Soprattutto i secondi!>
<Vabbeh, sei più alto di James e pesi meno di me, Carlos! E...>
James, oramai quasi arrivato alla loro destinazione, scoppiò a ridere. Interruppe la loro conversazione perché pensava che facessero bene a guardarle il sedere, era uno dei migliori in circolazione considerando anche le capacità elastiche della ragazza, ma non lo avrebbe mai ammesso perché temeva la castrazione chimica da parte di Jane! Quindi, preferì pensare ad altro e chiese loro del bersaglio, com’era; Renèe riferì le impressioni di Lucille e poi aggiunse che era un bell’uomo. Carlos, invece, condivise un’opinione molto allarmante.
<Mi ha guardato molte volte, me e te, Renée. Uno sguardo pacato ma attento, sapeva benissimo chi eravamo. Diablo, se farebbe del male a Lucilla per colpa nostra… Non me lo perdonerei mai… Dopotutto, non sappiamo nulla di lui. E c’è un’altra cosa strana: era senza guardie! Completamente!!>
A quelle parole, l’amica lo rassicurò: <Tesoro, Lucie è capace di badare a se stessa. Anche fisicamente, picchia forte se costretta. E vede i pericoli prima di chiunque altro, starà bene. Invece, mi chiedo cosa stanno facendo gli altri… E’ vero che non c’erano guardie, quindi saranno tutte qui. E…>
James, finito di rallentare, chiuse il motore e tirò il freno a mano. Si girò a guardare gli altri due: <Renée, Carlos, inutile pensarci su: siamo arrivati. Vedremo cosa ci aspetta.> e scese.
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Questo è un pezzo di racconto che ho scritto con alcuni personaggi da me usati molto spesso. Come vi sembra? Ma soprattutto, i personaggi, come li descrivereste a livello fisico (es, citare un attore o un modello) e caratteriale? So che sono parole buttate a caso, quelle scritte sopra, ma è pur sempre un allenamento per migliorare. 🙂
Allora. Comprendo che sia un esercizio, ma mi sembra che ci abbia perso meno tempo (e abbia messo meno attenzione) rispetto ai precedenti racconti.
Ho trovato qualche errore qua e là (al secondo rigo userei contratta e non contrita) e poi il tipo di abito è il tubino e non il tubetto.
Non si usano MAI questi segni “<" per il discorso diretto. Tutto ma non loro. Ahah.
Mi sento anche di dire che i dialoghi erano abbastanza innaturali. Mi sembrava che usassero tutti un po' un linguaggio da soap opera.
Riguardo ai personaggi. Penso che l'idea era quella di creare una sorta di diva che non sa di esserlo con Lucille. Era interessante, ma il racconto non ha permesso di approfondirlo.
Mi dispiace se ti sto facendo le pulci, ma mi hai chiesto di esprimermi. Spero che questi appunti ti possano aiutare in futuro!
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Ah no? Non sapevo, ogni tanto li trovo nei libri.
Si beh, è un racconto che avevo iniziato tempo fa e che mi ero stufato di vedere tra le bozze.
Esercizio hai ragione^^
Ps: la cosa del vestito non me ne sarei mai accorto, ero andato di suoni vicini 🤣🤣
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Sicuro nei libri trovi le caporali, non questo <. Molti li confondono, quando iniziano a scrivere.
Ahah, comunque capita. Anche io in passato ho fatto errori simili a tubetto. 🙂
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