Yago era andato ad aiutare i pescatori. La spiaggia di ciottoli era distante diversi chilometri da dove aveva lasciato il suo eroe ma comunque anche là udiva chiaramente le urla dall’arena, situata al centro dell’abitato; lui ora era in mezzo alla natura con gente semplice e ospitale.
Si era slegato i sandali e li aveva posti su di un grande masso che sporgeva come un albero dalla spiaggia, su di esso aveva posto anche i lunghi pantaloni di cotone e la giacchetta in pelle; si era slegato i capelli ricci e aveva posto anche il nastro di vimini intrecciati sul masso. Quindi, col tanga addosso, si era tuffato dalla roccia più alta, quelli che guardava dall’alto dei suoi trenta metri la spiaggia prima di oltrepassarla e sovrastare il mare nero e profondo.
Era dovuta all’immensità di quel mare così irto di pericoli che la richiesta dell’aiuto dell’angelo dell’acqua era necessaria: quel mare spesso creava onde in grado di sbalzare via le fragili barche e gli strumenti che servivano a sfamare così tante persone finivano irrimediabilmente sul fondo dell’oceano. E Yago aveva il compito di recuperarle dietro compenso di un pesce o due con cui sfamare se stesso e il proprio padrone; né la pressione né la temperatura né l’assenza di ossigeno: niente avrebbe spinto il mare a ferire il suo messaggero e mano divina.
Così Yago passava quando poteva le giornate di quel torneo in mare, sott’acqua, e riscopriva le meraviglie di quel posto incantato: coralli, pesci di varie forme e colori, giochi di luce lungo le colonne istriate di grandi civiltà sommerse. Di solito, gli strumenti di pesca (trappole o ami, perlopiù) si fermavano sui tetti devastati dei templi, qualcosa come una statua in rovina o un buco nella struttura riuscivano a fermare la corsa dell’oggetto prima che le correnti lo trascinassero nella valle più profonda, nella quale nemmeno gli eletti del mare osavano avventurarsi. Qualcosa abitava quella valle e, poiché era ritenuta quella una delle valli sommerse più alte di quel bacino idrico, doveva essere qualcosa pesante un numero inimmaginabile di tonnellate; qualcosa che se avesse mai deciso di alzarsi fino al mondo emerso, avrebbe creato un’onda di rimando talmente alta da inabissare qualsiasi isola così sfortunata da trovarsi nelle vicinanze.
E ciò Yago lo sapeva.
Per questo non si era avventurato mai oltre lo strapiombo, dove sembrava esserci un unico grande buco ricolmo di oscurità. Preferiva nuotare dove i pesci assumevano ancora sembianze certe, dove i pesci erano dotati di uno scheletro anche cartilagineo, dove i pesci avevano corpi opachi e solidi. E quindi passava le ore con lo sguardo rivolto verso il sole, oscurato dalle barche, ad aspettare che qualcosa o qualcuno lo richiamasse ai doveri che lui stesso aveva scelto di assumersi; passava le ore disteso su qualche edificio in rovina o sul fondo pietroso, ben consapevole che qualche cetriolo di mare o anguilla si potesse nascondere sotto ai grandi massi che spesso usava come letto. E rifletteva, con i grandi occhi azzurri ora tinti di nero velati di tristezza, se mai un giorno il suo eroe lo avrebbe mai liberato dal giogo; se mai un giorno gli avesse sorriso.
Tuttavia, quel giorno, qualcosa accadde: distratto dai suoi pensieri, quasi non notò la gabbia di rame che pian piano cadeva, inesorabile, giù fino alla valle inaccessibile. La gabbia era caduta prima che avessero potuto posizionarla, non aveva corde con cui essere tirata su piena qualche ora dopo, e quindi Yago capì che doveva recuperarla.
Doveva entrare nella valle profonda, forse valle velante di un’altra ancora più profonda e spaventosa. Deglutì e iniziò a nuotare in quella direzione.
Più si avvicinava a quell’abisso scuro e minaccioso e più percepiva che qualcosa di immenso lo stava fissando. Non poteva essere nella foresta algale sottostante, era troppo fitta; non poteva nemmeno fissarlo nella colonna d’acqua soprastante, lo avrebbe oscurato ancora di più impedendo ai raggi solari di penetrare nel liquido acqueo. Doveva nascondersi nella gola nella quale la trappola per pesci stava venendo trascinata dalla corrente marina!
E quando finalmente il ragazzo raggiunse l’oggetto tanto inseguito, ebbe la conferma dei suoi sospetti: dall’altra parte della strettoia di rocce ricoperte di affilati coralli si trovava un’immensa creatura dall’aspetto vagamente antropomorfo e dal viso tentacolare! Lo fissava con i suoi occhi, con due occhi che sembravano quasi sette soli di pura gelatina bianca e opaca; e Yago fissava quella creatura, dall’altra parte della strettoia ma non al sicuro: era troppo stretta perché la creatura potesse passarvi ma sicuramente troppo fragile per contenere un tentacolo sferzato per distruggere la barriera naturale.
Se il mostro avesse voluto ucciderlo, lo avrebbe fatto senza problemi.
Ma non lo uccise, anzi, in tutta la sua smisurata statura si spostò e indicò con le sue centinaia di tentacoli, alcuni lunghi più di cento metri, una piccola grotta crollata. Anche le chele, grandi come interi villaggi, indicavano quel punto: era Yago il soggetto di quella segnalazione ed era Yago colui al quale la creatura aveva chiesto aiuto.
Yago si fece coraggio e oltrepassò la strettoia che lo separava dal titano. Deglutì. Aveva ragione, l’oscuro abisso che aveva attraversato non era niente in confronto a quello che ospitava il mostro! E nell’immensità della creatura, essa non poggiava nemmeno i piedi sul fondale: se lo avesse attaccato e lo avesse lasciato cadere fino al fondale, nessuno lo avrebbe mai più ritrovato.
Non avrebbe più rivisto Rafael!
Quindi, con il cuore in mano, Yago schivò con facilità i lunghi tentacoli e dopo tre minuti di nuotata raggiunse con facilità la grotta; con i ruggiti che sembravano lamenti, lo scudiero capì che lì dentro c’erano i piccoli della creatura! Ancora non sapeva cosa, ma qualcosa aveva bloccato l’apertura della grotta naturale. Un masso, forse; o alcuni massi.
Di certo non era un problema rilevante per il vassallo dell’acqua: con estrema facilità, la stessa con cui non subiva né le temperature né le pressioni di quella profondità, la stessa con cui respirava sott’acqua, ordinò all’acqua dentro alla caverna sottomarina di uscire, creando così una fortissima corrente che prima spinse via i massi che bloccavano l’entrata e quindi i tredici piccoli (si fa per dire piccoli, era grandi quanti Rafael) del mostro. Ogni muscolo del ragazzo si era contratto nello sforzo, senza rendersene conto si era perfino morso la lingua, come se avesse subito un elettroshock, e subito dopo sussultò in avanti socchiudendo gli occhi.
L’ultima cosa che vide prima di svenire e probabilmente morire per la fatica fu il mostro raccogliere nelle alghe che lo ricoprivano i suoi cuccioli e staccarsi una squama. Poi Yago svenne.
Bello il racconto, sembrava di essere lì, molto realistico.
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Grazie 💙
Però è solo un pezzo
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Molto bello il racconto che hai scritto, 👍.
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Grazie ^^
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Prego, 😊.
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fa parte di un racconto incompiuto, ma ho pensato che questo estratto fosse abbastanza episodico da poter essere letto 🙂
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Per essere solo un estratto è davvero appassionante, 👍😀. Scrivi molto molto bene, hai talento.
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Grazie sempre gentile 💙
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😊🙏🤗
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Il racconto è davvero molto interessante e mi è piaciuto soprattutto per il ritmo, capace di aiutare molto questo tipo di storia. Ottimo lavoro!
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Grazie ^^
Purtroppo difficilmente leggerai il seguito…
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se finiscono male avvisa prima
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Ma non è finito male 😝
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L’ultima cosa che vide prima di svenire e probabilmente morire per la fatica fu il mostro raccogliere nelle alghe che lo ricoprivano i suoi cuccioli e staccarsi una squama. Poi Yago svenne.
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Spoiler: nel racconto incompleto non muore ma il mostro diventa un deus exmachina per sconfiggere il villain 😝
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Allora va bene.
Notte
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Buonanotte ^^
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Bello; un racconto con molta suspence ed intreccio. Bello il nome che hai scelto per il prtagonista, e scritto correttamente: con la Y 😉
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Ciao^^
Grazie, avevo curato le basi del racconto più lungo prima di non terminarlo 😝🙃
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Molto bello. Stavo per lamentarmi perché manca il finale, poi ho letto i commenti di Allegro 🙂
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Si beh oddio, poteva benissimo finire cosi 🙃
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Io non amo i finali aperti, nemmeno nei film.
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Immagina allora che schiatta dalla fatica come l’interpretazione di Allegro 🙃🙃
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Vago sapore Lovecraftiano poi apparentemente smentito…
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Beh l’ispirazione c’è
Perché smentito?
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Dell’amore materno sono immuni gli dei primigeni marini… O così direi! Attendo sviluppi!
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Ma non hanno figli?
Si che mi ricordi
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Sai che io ho un debole per gli angeli.
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So tutto 🌟
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Finalmente qualcuno che utilizza l’inizio in medias res. Funziona anche la costruzione delle ambientazioni, ma mi sembri un pochino ridondante nelle descrizioni.
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A me piace descrivere molto 😃
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Ah si? Io personalmente è una cosa che da lettrice trovo molto noiosa. Anche da scrittrice in realtà. Infatti le descrizioni sono il mio punto debole.
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Io sono molto barocco da quel punto di vista
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No io invece preferisco la prosa più trasparente possibile, ma credo che sia una questione di gusti.
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Noto che tu fai una cosa simile con la parte strutturale, worldbuilding 😜
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Cioe?
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Mi ricordo che hai speso 3 pagine per spiegare il sistema magico e sociale delle tue fate
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Eh purtroppo nei fantasy anche quando si tratta di un sistema magico semplice come quello, faccio ancora difficoltà a ridurre all’osso le informazioni necessarie.
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Leggiti il mio racconto La terra del caos, lo trovi scrivendo caos nel mio ricerca parole.
Io ho usato il fantasy e una terra altra proprio per non darmi limiti e imposizioni sulle informazioni da dare
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non lo trovo, abbi pazienza potresti mandarmi il link?
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https://austindoveblog.wordpress.com/2020/03/28/la-terra-del-caos/
Ecco qui, speriamo di non fare figuracce invece 😜
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Ma quali figuracce
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