Un amore distrutto dall’odio

“ Non troppo tempo fa in una terra vicina vicina e durante una notta tempestosa, una ragazza dai lunghi capelli rossi di sangue corse al suo laptop e sporcandolo tutto digitò sulla tastiera, cercando un indirizzo internet. Era appena riuscita a scappare, gli aveva piantato un coltello nella tempia, a quello più vicino, mentre all’altro non aveva nemmeno pensato: doveva scappare. Sapeva che stava arrivando con quella sua amica, quella dotata di uncini, la stavano cercando l’avrebbero trovata. Il dormitorio non era così grande…
Gli occhi gialli guardarono la pagina caricarsi e poi scelsero nella lista di sezioni quella che poteva dargli una risposta: Creature Misteriose & Mitologiche. Però ci metteva troppo a caricarsi e li sentiva arrivare! I lunghi capelli toccavano terra e i pezzi di metallo ad essi continuavano a strusciarsi sul legno, provocando inquietanti fruscii che terribili si univano alle risatine della donna che guidava lentamente l’ansimante suo amico. Ormai erano alla porta!
Consapevole di non riuscire a scoprire altro, la ragazza corse in bagno e si guardò allo specchio, rivoltandosi per ciò che vide. I capelli di carbone si erano tinti di porpora, la pelle chiara era rossiccia e la tuta che aveva usato per correre le era rimasta incollata, zuppa qual era di sangue. Le ricordava un film quella visione ma non volle approfondire: chiuse la mano a pugno e ruppe lo specchio, urlando di rabbia e fregandosi delle schegge: al massimo doveva preoccuparsi di avere rivelato la propria posizione ai suoi inseguitori! Quindi dalle macerie raccolse un coltello corto ma con un filo sottilissimo, nascosto fino a un secondo prima dietro al vetro riflettente dello specchio.
Ora si balla, carni da macello. E io sono la vostra macellaia!
Ora erano alla porta della camera e sentiva che l’uomo stava caricando. Lo sentiva ansimare, lo sentiva muggire con la sua bocca ricolma di carne cruda, grosso enorme come un vitello cannibale! E poi Bang! I due entrarono e si guardarono attorno, mentre i lunghi capelli di lei prendevano possesso della stanza posandosi sulla foto di due bambini che sorridevano all’obiettivo a bordo di un carro armato, poi sul letto ricolmo di libri di mitologia e dell’orrore, quindi sul tappeto sporco della scia rossa che partiva dall’entrata e arrivava alla sedia girevole viola scuro e infine sulla porta dell’armadio a destra e del bagno a destra. L’uomo si limitò ad aprire al massimo le narici e fiutare la sua preda. Nel bagno.
Subito si preparò a caricare per sfondare ciò che li separava dalla belle brunetta, consapevole che la sua alleata non sarebbe mai riuscita a sfondare una porta in legno con i suoi uncini: non aveva abbastanza forza! E allora prese la carica. E allora abbassò la testa e piegò il braccio, pronto a distruggere pure quella misera lastra di legno che miseramente separava quei due mostri dalla loro preda. E allora corse ruggendo contro la porta, con le corna perpendicolari pronte a uccidere quella ragazza tanto stupida da barricarsi in un bagno. E morì.
La ragazza dai lunghi capelli neri ma completamente sporchi del sangue del suo primo aguzzino aveva aperto la porta completamente, sbilanciando la corsa del toro e incastrandolo nella finestra, fabbricata fortunatamente proprio davanti alla porta, centrale alla stanzetta. Subito Jennifer aveva richiuso la porta bloccando il demone senza mani e lasciandolo solo con le sue urla acute di rabbia e frustrazione e aveva tagliato i tendini delle ginocchia all’individuo davanti a lei, mentre di dimenava cercando di uscire da quella trappola ma invano; quindi, accasciatosi, la bella brunetta gli aveva conficcato da dietro il coltellino proprio nell’ultima vertebra, quella che collegava il cranio al corpo, e rimestava entrava e usciva a piacimento saliva e scendeva mentre nuovo sangue scaldava quelle dita sapienti. Quindi aveva spalancato ancora di più la finestra e lo aveva espulso, facendolo precipitare per cinque piani di un titanico edificio.
Ora toccava al demone giapponese e la bella sadica aveva una splendida idea. Quindi uscì sul balcone e le gridò di seguirla, sicura che la donna non avrebbe perso l’occasione di trafiggerla con i suoi innumerevoli uncini e mangiarsela lentamente. E… 


Tom aveva richiuso il libro e mi aveva guardato, con uno sguardo intenso. Gli piaceva scrivere di cose non troppo leggere e anche se non era molto bravo la passione che ci metteva rendeva tutto più interessante, intrigante e affascinante. Ci eravamo conosciuti grazie al laboratorio di scrittura, subito piaciuti. Di lui mi piacevano la grande fantasia e l’allegria che sprigionava, gli occhi grigi che colpiti dal sole diventavano argentei, i capelli rossi e morbidi, da accarezzare, il fisico poi ovviamente. Anche io scrivevo, scrivevo di una ragazza una fata tipo, che andava in un castello e finiva nei guai; un racconto incompleto ma mi piaceva scrivere e ciò mi accomunava molto a lui… A Tom.

Quel giorno era venuto a casa mia per la prima volta, ci vedevamo sempre fuori. Sulla porta di casa, faccia a faccia, mi aveva baciato scherzosamente con un bacio a stampo e dopo un abbraccio molto caloroso e profondo, era entrato. Dopo essersi fermato un attimo sulla porta del salone a contemplare la brutta stanza ammobiliata solo da un grande divano giallo posto davanti al televisore e dalla poltrona a fiori di mia mamma, si era sfilato lo zaino e seduto sul divano, facendomi segno di imitarlo al suo fianco. Felice, ero accorso a soddisfare la sua richiesta e chinandomi a togliere dei cuscini avevo tirato fuori il mio bellissimo quaderno su cui scrivevo racconti. Quando avevo iniziato a raccontare, lui si era tolto la maglietta mostrando un fisico scolpito e notato che continuavo a leggere nonostante ciò ridendo si era messo ad ascoltare senza battere ciglio, preso dalla lettura composta con tanta volontà ma poco talento.

Eccola qui:
Era un fredda notte d’Inverno, la flebile candela disegnava giochi di ombre sul suo volto, mentre il resto della camera era avvolto nel buio. Lucinda scriveva sul suo diario frasi di ansia, di terrore, temeva: la misteriosa figura di cui non riusciva a scorgere il volto la osservava, dalle profondità dell’antico castello di pietra solida e fredda, e lei ricambiava lo sguardo. Il grande orologio a pendolo suonava la mezzanotte e il suo rintocco scuoteva il cuore della povera ragazza, che non sapeva cosa fare: avvisare gli amici che la presenza era effettivamente lì oppure solo la padrona di casa, annidata nella Torre Est? Lei non lo sapeva. Le sembrava quasi di scorgere, quando non guardava, le figure dei quadri terrificanti muoversi dalle torture in cui erano raffigurate e sporgersi verso di lei grondando sangue sul pavimento; oppure che qualcosa mentre dormiva si muovesse sotto al letto e nel buio provasse a strisciare verso di lei e le mangiasse il viso; o che dalle finestre di vetro temperato qualcosa entrasse di soppiatto con gli artigli scoperti e le zanne pronte a banchettare lasciandola per sempre in quel castello buio e freddo. Di questo scriveva nel suo diario, una scrittura piccola, sottile, claustrofobica come si sentiva in un posto dove le sue peggiori paure sembravano realizzarsi.
Facendosi coraggio, dopo che l’orologio a pendolo aveva suonato altre due volte, la ragazza con braccio tremante afferrò la candela e si alzò e, temendo che una mano dal buio l’afferrasse, iniziò a camminare verso il centro della stanza e, posta la luce sul pavimento, tremando si inginocchiò. Guardò che sotto al letto non ci fosse niente, ma singhiozzò: nel buio qualcosa si muoveva! Era veloce, piccolo ma la guardava con occhi maligni, correva verso di lei. Subito, lei si ritrasse e cadde, per colpa dello slancio, nell’armadio e tutti gli appendini le sembrarono afferrarla come dita scheletriche. Urlò, invano. Il topo continuò la sua corsa fin sotto l’armadio e scomparve nel buio da dove era comparso.
Lucinda, con il viso rigato dalle lacrime, si dispiacque di avere urlato perché nemmeno lei sapeva quali orribili serpenti aveva risvegliato, quali incubi la attendevano in silenzio con calma, quali spaventi la avrebbero colta, la mano nel buio che l’avrebbe presa. E due colpi, a malapena udibili nel silenzio che stava ingoiando l’anima della povera ragazza, provennero dalla porta spessa, che lei, con il cuore in gola, aprì.”


E solo dopo avere avuto un suo parere feci quello che aveva sperato fin dall’inizio, con un sorriso sulle labbra e la gioia negli occhi. Mi piaceva baciarlo, sentire le sue labbra, la lingua sul collo e là dietro all’orecchio. Mi piaceva sentirlo, vicino a me, caldo e… Beh, non serve dilungarsi troppo! Ci eravamo divertiti, è ovvio.

Alla fine, dopo che se n’era andato, rimasi abbastanza soddisfatto della serata: avevamo parlato, migliorato i nostri testi e poi passato il pomeriggio a divertirci come non facevo da tempo. Aveva detto che i miei occhi blu sono fantastici e che era stato davvero divertente passare con me il pomeriggio, che ci saremmo rivisti. Io ero felice all’epoca, era bello (da me l’occhio ha sempre fatto il proprio dovere nella scelta) ed era molto allegro, ottimo per il mio carattere mogio e facilmente deprimibile. Ma non mi richiamò più, per giorni e giorni, finché alla fine decisi che forse avevo affrettato le cose…

Solo dopo una settimana scoprii che era stato ritrovato un cadavere in un crepaccio, vicino a casa mia. Aveva tutto. Documenti, sodi, perfino lo zaino con tanto di quaderno con cui si esercitava a scrivere racconti; non era stata una rapina, ma probabilmente un crimine dell’odio: al giornale hanno detto che è stato torturato prima di morire, prima di essere stato buttato… là… come si butta la spazzatura nel cestino… e alla televisione hanno detto che gli è stato inciso sul petto DIE FAG! Al mio Tom…
Al mio Tom.




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Pubblicato da

Austin Dove

Mi chiamo Antonio, sono un appassionato di cinema. Pur avendo studiato materie legate all'ambiente, la mia passione è l'arte e quindi qui provo a condividere ciò che apprezzo e le mie riflessioni! Ciao!^^

8 pensieri su “Un amore distrutto dall’odio”

  1. Mi piace, però hai messo molta carne al fuoco, mescolando i racconti, con il rischio di creare un po’ di confusione. Comunque hai il pregio di descrivere sempre molto bene le situazioni e i personaggi.

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