«Eco qua, queo che gave’ ordina’, bei fioi. Un cafe’ par ti, dotor dea peste, e na ciocoeata calda par sto’ bel Arlechin. Steme ben!»
Maso sedeva agitato mentre osservava il ragazzo con cui si era dato appuntamento quel pomeriggio, un giorno come tanti per loro almeno all’apparenza, ma un giorno speciale nel profondo. Era a disagio mentre osservava le donne ingobbite nei loro foulard vendere rose rosse alle coppiette felici che li circondavano nei tavoli vicini. Era a disagio mentre le fanciulle esaltate dai gesti dei compagni aprivano pacchi piccoli o grandi, manifestazioni dell’animo innamorato. Maso osservava la camicia nera al tavolo al loro fianco che offriva un mazzo di ortensie alla sua bella, in un sorriso orgoglioso. Maso osservava tutto, in silenzio, dal volo dei piccioni sulla piazza alla Cattedrale che si stagliava sul mare, perfino il verso dei gabbiani e il vento impetuoso dalla laguna erano rifugi sicuri. Maso non osava guardare Gùsto in volto, ma Gùsto non aveva occhi che per Maso.
Gùsto sedeva eretto, attento a mostrare in tutta la loro maestosità quelle due spalle larghe che tanto si era guadagnato con il suo lavoro di gondoliere. Il corpo era completamente piastrellato di arcobaleni, il volto semicoperto da una maschera nera e in testa un tricorno bianco. Ma era là, con lui, in quel giorno tanto infelice per loro. Lentamente gustava il liquido caldo e denso, tingeva i baffi biondi di bruno, gli occhi neri non si spostavano di un centimetro dalla maschera dorata e adunca del suo conviviale.
Maso gli chiese se volesse assaggiare un cioccolatino da Perugia, dal nome Liù. All’assenso dell’Arlecchino, sorrise debolmente e dalle tasche estrasse un piccolo cubetto confezionato in rosa. Lo offrì. Gùsto allungò la mano, e mentre lentamente estraeva il cioccolatino dalle dita dell’offerente, con il pollice accarezzò il polso e mentre si allontanava le dita della mano; finalmente Gùsto scartò il velo di carta rosa e violetta, ne venne fuori un piccolo parallelepipedo dal color marroncino chiaro che gustò sotto lo sguardo incantato del dottore della peste.
Ora fu l’Arlecchino a chiedere se potesse offrire qualcosa: un sorso della cioccolata calda. All’assenso del dottore dorato, il gondoliere allungò lentamente la tazza e la porse. Maso l’accolse nelle due mani e se la portò alle labbra. Sulla tazzina bianca c’era un segno marrone dal quale il liquido aveva incontrato le labbra dell’Arlecchino e fu lì che beve, guardandolo negli occhi neri, e fu sempre da lì che l’Arlecchino bevve.
Restarono seduti ancora qualche momento, fino a quando la cameriera non ricomparve: «Fioi, voe’ calcossa in piu’? Na fritoea coea crema, forse?»
Dissero di no, Maso si alzò e andò dentro al bar per pagare. Gli interni erano spettacolari, i muri e i pavimenti d’Istria erano ricoperti con pregiati tappeti persiani, sui muri erano appesi numerosi specchi e nella grande sala imperavano due magnificenti candelabri verdi e rossi e bianchi di vetro pregiato. Maso si osservò allo specchio: un bel ragazzo, si poteva dire, non alto e nemmeno magro ma con due spettacolari occhi cangianti, occhi ora semicoperti dalla maschera. Era là, ma stava veramente vivendo il momento?
«Quanto era bello Scipione sul suo cavallo bianco! Egli fissava i romani con due occhi aperti e la bocca sorridente, ma con gesto forte e animatore e pareva che dicesse “Dobbiamo vincere ad ogni costo!”. Proprio come fa oggi il nostro amato Duce, quando parla ai nostri valorosi soldati. Però il Duce è più bravo e ancora più bello di Scipione!»
Fu il discorso della bambina dalla radio sul bancone a scuotere il rimuginatore dai propri pensieri: lui era là, stava vivendo quell’ora di magica luce con Gùsto e nulla avrebbe potuto rovinarla! Quindi, staccò gli occhi dallo specchio e posò lo sguardò oltre alla vetrina, oltre alla coppia di anziani impegnati a gustare insieme una mozzarella in carrozza, sull’Arlecchino. Ora che Maso non era più al tavolo con lui, Gùsto si era stravaccato sulla sedia, facendo scendere il sedere quasi oltre la fine di essa e appoggiando il capo sullo schienale. Maso sorrise: era così che lo aveva conosciuto due estati prima, alla spiaggia di Punta Sabbioni. Stravaccato e indolente.
Sorridente, si rivolse al barista. Chiese il conto e pagò.
«Grazie, e tornate presto! Ma scusa, non è un po’ presto per le maschere? Oggi è il giorno degli innamorati, non Carnevale!», commentò il barista con un sorriso sornione.
«Mai. Noi, al contrario di molti, le maschere non possiamo mai toglierle. Arrivederci.» e tornò dal compagno.
Insieme Gùsto e Maso girovagarono un po’ per la piazza, osservando e commentando i turisti con i loro inutili libretti e le mille mappe con cui in teoria avrebbero dovuto essere in grado di attraversare Venezia.
Gùsto, con il suo lavoro, sapeva benissimo che in verità quelle cartine per i turisti ingenui erano inutili. Non che Maso, pur in terra straniera, non lo sapesse: non era raro che uscito a prendere il pane notasse una coppia di turisti dall’accento pesante e dalle vocali larghe, ci si fermasse a dar loro indicazioni per la stazione dei treni e quando tornava con la spesa e un po’ d’ombra in stomaco li trovasse a pochi metri di distanza dalla volta precedente, solo in una nuova calle.
Sorrisero insieme.
Stanchi di San Marco, i due costeggiarono il mare e si diressero verso un ponticello tutto bianco. Di solito era invaso dai turisti, ma in quel momento non c’era nessuno. Quindi salirono al vertice delle scalinate e si appoggiarono al parapetto, anch’esso di pietra bianca. La vista ovviamente era il Ponte dei Sospiri. I turisti lo adoravano, loro invece lo osservavano come monito: se fossero stati tranquilli, non sarebbe successo nulla; o almeno così speravano.
«Buon San Valentino…», bisbigliò Arlecchino.
«A te.», rispose il dottore.
E le mani, per una frazione di secondo, si sfiorarono. Una lacrima scese sotto alla maschera adunca e dorata.
Fu una giornata stancante, il mondo celebrava l’amore e l’unione, ma loro preferivano stare tranquilli. Erano persone normali, non volevano andare contro la legge. Non apertamente almeno. Si limitarono a godere l’uno della compagnia dell’altro. Camminarono avanti e indietro, parlarono molto, del tempo, del Duce, dell’imminente guerra, dei gabbiani, dei turisti. Ma non di se stessi. Quello lo fecero quando entrarono in un portone, salirono strettissime scale e Gùsto fece girare la chiave d’ottone nella serratura del proprio appartamento. Una casa piccola e stretta, eretta in un palazzetto a meno di due metri dal palazzo che gli si stagliava di fronte. Una casa piccola, ma almeno i due poterono togliersi le maschere.
Si abbracciarono.
Quella che avete appena letto è una storiella scritta per la Challenge di Febbraio di Raynor’s Hall, che aveva come temi il Carnevale e le cose proibite. Spero abbiate apprezzato. Ciao!
Complimenti per il racconto che hai scritto Tony, è davvero molto bello, 👏👏👏👏.
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Grazie ^^
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Di nulla, 😊.
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Un racconto che inizia con un caffè pronunciato alla veneziana per me ha già vinto!
Complimenti
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Grazie 😁
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Molto bello e delicato, complimenti, buona serata.
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Grazie mille^^
Buona serata e buona domenica 🙂
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All’inizio soffre ancora di troppa semplicità che rischia di sembrare superficialità. Ma nel complesso è davvero interessante. Un po’ didascalico ma ho apprezzato tanto la metafora maschera legata alla città di Venezia e a quella sociale. Nel complesso se dovessi darti un voto sarebbe un bel 7
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Ciao ^^
Grazie, alla fine è positivo! Ma volevo essere semplice, ero troppo semplice?
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Sembra ancora dilettantesco, specialmente proprio la primissima frase.
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La cameriera? 😆
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Ahahah sorry intendevo “Era una giornata perfetta”
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Si avevo capito
Si può togliere benissimo
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cmq l’ho tolto
ormai li stampo proprio dopo averli pubblicati perke una critica un po’ mirata è sempre utile
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Si beh concordo che il setting non è dei migliori
Potrei pure toglierlo e non cambierebbe nulla
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Si ho apprezzato anche la lunghezza del testo.
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Finalmente un testo corto eh 😀
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Non proprio corto ma ci avviciniamo
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Wow. Da te mi aspettavo qualcosa di horror, ma questo mi ha colpita davvero molto. È molto dolce e delicata, quasi mi strappava una lacrimuccia. Il mio lato editor avrebbe modificato qualche frase, ma sei migliorato tantissimo.
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grazie^^
beh, mica devo pubblicare; dico sempre, se dovessi pubblicare assumerei un editor perché lavori e renda il tutto vendibile 🤣
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e poi cosa c’è di più horror di quel periodo?
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In effetti, nulla
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L’idea è davvero molto carina, diverso anche da altro che hai scritto 🙂 complimenti ^^
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Grazieeee
Ma sono sempre stato appassionato di maschere e venezia era da un pochino che non la citavo 😁
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