Visioni Sentieri Selvaggi: Paisà

Buonasera! Oggi finalmente torno a condividere le mie visioni accademiche con Paisà, uno dei cult di Rossellini. Che a me non è piaciuto.

Paisà è il secondo film neorealista che guardo, molti anni fa guardai pure Riso amaro ma di quel film non ho grandi ricordi. Paisà è un film celebrato, posso anche capire perché, ma se volevo guardare un’opera di tal genere tanto valeva che mi guardavo un documentario: un film episodico sulle vicissitudini degli italiani rispetto alla fine della Seconda Guerra Mondiale in Italia.

La sequenza che ho preferito è stata la prima, con Carmela e John, che si conclude con un’amara ironia. Quella che mi ha fatto riflettere invece è stata nel monastero. La seconda, invece, mi ha lasciato perplesso: ok, il nero si accorge della distruzione nella quale vive il bambino ma lui in quanto nero in America non credo vivesse tanto meglio. No?

La sequenza del monastero poi mostra quanto i monaci, o almeno quei monaci, fossero ipocriti: cercare di convertire o pensare di dover convertire due ‘anime perse’ li rende veramente concettualmente dai Nazisti o dai Fascisti? Soprattutto perché un’anima persa è un ebreo! Per fortuna, a mostrare una Chiesa più aperta c’è il prete americano, anche se ricordiamoci del razzismo in America prima di santificarlo.

Io ho trovato Paisà noioso e lento. Poi è da stronzi mettere i sottotitoli bianchi su scene in bianco e nero al sole. Vuol dire che è bianco su bianco! E poi che realismo c’è se il film si basa su una sceneggiatura originale? Non bastano attori non professionisti (credo pure doppiati) o vicende verosimili per renderlo simile all’idea originale del movimento neorealista. E non c’è nemmeno una linea narrativa costante, veramente un film pesante. Forse però sono io che non sopporto Rossellini, visto che sopportai a malapena pure Viaggio in Italia.

Prossimamente vedrò Umberto D e vedo se cambiando regista il discorso migliora. Alla prossima!

Fobo e Deimo: quando l’Amore si unisce alla Guerra

Se vi cito Fobo e Deimo, voi a cosa pensate? A nulla? Ok. E se vi dicessi Φόβος e Δεῖμος? Sì, sono letteralmente Paura e Terrore, i bei figli di Afrodite e Ares!

Nella mitologia classica:

Fobo e Deimo sono stati citati da due soli autori: Esiodo e il mitico Omero.
Esiodo, nel suo poema Teogonia, afferma che Fobo e Deimo «agitano le folte schiere degli uomini nella guerra paurosa con Ares distruttore di città».
Omero invece li cita spesso nell‘Iliade dove accompagnano il padre sul campo di battaglia. Inoltre, Fobo è raffigurato sullo scudo di Agamennone accanto alla Gorgone (associazione interessante tra l’altro, Medusa è legata al rimorso).

Entrambi gli autori concordano che siano figli di Afrodite e Ares, dell’atto sessuale e dell’atto dell’uccisione. Figli degli istinti animali residui nell’uomo, se vogliamo.

Nella cultura moderna: Doom!

Eh già! Sono riuscito a collegare il videoludico franchise horror alla mitologia classica! Ma come? Premesso che Doom fa indubbi riferimenti alla mitologia cristiana e alla Bibbia, gli autori di Doom hanno ambientato i primi due episodi di The Ultimate Doom sulle due reali lune di Marte: Fobos e Deimos!
Sì: il marine deve affrontare uno degli orrori più grandi che hanno minacciato l’umanità su lune che prendono il nome da divinità che incarnano esse stesse questi orrori! Geniale, no?

E voi? Conoscevate questi figli di Afrodite? Che idea vi siete fatti della dea dai mille figli? Meglio lei o Echidna?
Ma soprattutto, finalmente sono tornato a parlare di mitologia! Grande ritorno.^^

Il pranzo della domenica: una brutta commedia italiana

Buonasera! Oggi torno a parlare di cinema italiano con un fuoriprogramma, che mi sono convinto a scrivere perché c’è un tarlo che mi perseguita da ieri sera: ma quanto è problematica la commedia Il pranzo della domenica?

Forse questo è più piacevole

Il film in questione è di vent’anni fa precisi (2003) ed è diretto da Carlo Vanzina, il padre dei Cinepanettoni. L’ho visto su Raiplay, per cui devono averlo trasmesso in televisione di recente.
A me il regista nemmeno dispiace, di suo ho visto qualche commedia e i primi cinepanettoni erano pure bellini (Vacanze di Natale 2000 grande classico nella mia famiglia) ma questa storia presenta problematiche importanti. Si potrebbe contestualizzare Il pranzo della domenica parlando di come il cinema italiano sia sempre stato estremamente conservatore su più livelli, che è un film relativamente vecchio e che il regista non voleva senz’altro dirigere un film impegnato. Ma no, voglio discuterne.

Problema n.1:
Sembra un film per la televisione, mentre in realtà è stato distribuito dalla 01 Distribution. La qualità della resa visiva è veramente bassa e il budget per me è andato tutto sugli attori, che sono di primo piano nella commedia italiana (Giovanna Ralli, Elena Sofia Ricci e Rocco Papaleo solo per citare qualche nome). E anche la regia è brutta, con alcuni stacchi che non hanno proprio senso di esistere.

Problema n2:
Elena Sofia Ricci, una delle protagoniste, interpreta la moglie di uno di sinistra mostrato come un idealista che si fa licenziare per i suoi valori (già qua, film di destra a km di distanza). Lei è la tipica casalinga: quattro figli, poco tempo libero, alcolismo e disperazione per i debiti che accumula con il marito. Grande crisi di coppia, lei sparisce prendendosi una vacanza a casa di un’amica in montagna; e qui avviene la catastrofe: il marito è costretto a fare quello che fa lei (mentre è pure disoccupato) ed è mostrato come il martire. La morale è che lei lo deve supportare in ogni caso e supportarne la carriera.

Problema n3:
Massimo Ghini, in teoria personaggio secondario ma nei fatti coprotagonista, interpreta il marito fedifrago e cognato della Ricci. Diciamo che se fosse una donna il film lo avrebbe additato come troia, per cui vi faccio capire quante volte tradisce. In pratica la moglie lo coglie sul fatto e lo caccia di casa. Anche qui, la morale del film è che la moglie lo deve perdonare per non sfasciare la famiglia, mandando a monte una possibile nuova relazione mooolto meno tossica. Perfino la madre di lei parteggia per il genero fedifrago.

Problema n4:
Il personaggio della madre di famiglia, della nonna, è interpretato da Giovanna Ralli. Mamma mia, è una delle cose più fastidiose del film. Veramente. Non so se fosse voluto, in ogni caso il risultato è evitabile.

Problema n5:
Come al solito, donne fighe e uomini con la panza. Tette al vento e uomini col cappotto nella stessa inquadratura. Mercificazione del corpo femminile, nudi evitabilissimi.

Problema n6:
Recitazione pessima, si salvano solo i 3 attori importanti: la dea Elena Sofia Ricci, Rocco Papaleo, Massimo Ghini e se vogliamo pure Maurizio Mattioli (l’unico personaggio positivo).

E nulla, una delle poche volte in cui scelgo un film e non lo metto tra le nomination della Top5 del mese. E dire che spesso ci metto pure i guilty-pleasure! E voi? Avete visto Il pranzo della domenica?

La mia prima sessione di esami a Sentieri Selvaggi

Buongiorno! A grande richiesta torno a parlare di esami esponendo nei dettagli la mia sessione di esami! Sono stato tra i migliori, avendo collezionato quattro 30 e un 30L!

STORIA DEL CINEMA, PRIMO TRIMESTRE
Qui erano due dei tre prof del corso, per me è stata una boccata di aria fresca. Mi hanno chiesto di parlare delle avanguardie degli anni ’20, a me che volevo portare l’Espressionismo! Avendo visto almeno un film per ciascuna avanguardia e apprezzando molto il cinema gotico, sono riuscito a esporre con dovizia di particolari ogni cosa, stando bene attento a parlare abbastanza da non dar loro il tempo di proporre domande impossibili.
Poi mi hanno chiesto di Babylon, e dopo un’incomprensione reciproca per cui avevano capito che io avessi detto che Babylon era stato girato negli anni ’60, ci siamo chiariti e mi hanno lasciato, andare.

LINGUAGGI DEL CINEMA
Altra botta di culo: il video che mi hanno mostrato sempre quei due prof era il prologo di Gran Torino. Scena che avevamo già analizzato in classe. Quindi, facilitato dalla conoscenza dell’analisi, ho solo dovuto aggiungere tutta la teoria di ogni singola inquadratura e i significati che esse potevano nascondere. Nessun errore.

MESTIERI DEL CINEMA
Questo era l’esame che temevo di più: non sapevamo come potesse essere e l’argomento era piuttosto generale. Con me il prof si è dimostrato piuttosto amichevole e mi ha chiesto se mi fosse piaciuto il corso. Abbiamo parlato un po’ e ha capito che che mi piace il lato visivo dei film per cui… ho parlato dei costumisti! E, avendo studiato Chaplin per Storia del cinema e conoscendo Cecil Beaton per il mio speciale su My Fair Lady, ho fatto un figurone! Poi sapete quanto mi piacciano i costumi dei film, ho svariati volumi sulla moda e sui costumisti, ero preparato. E se mi avesse chiesto dei registi, avevo letto un altro libro della mia biblioteca privata per prepararmi!

PRODOTTI AUDIOVISIVI + SCRITTURE
Questi esami li ho fatti più o meno insieme in due momenti separati. La prima parte era un tema di tot caratteri sugli Emmy2022: dovevo scrivere in due ore di tempo un testo argomentativo con tema a mia scelta e un testo descrittivo, sempre sulla cerimonia utilizzando le informazioni che ci erano state insegnate durante il semestre. La seconda parte invece era l’analisi di un film prodotto da una piattaforma streaming, e dovevamo scrivere il testo a casa dopo aver guardato il prodotto a nostra scelta; poteva essere sia una serie televisiva sia un film. E io ho parlato di un film di cui voi avete già letto in qualche articolo nel blog, anche se non in un suo articolo a parte. Quale sarà questo film?

E siamo giunti alla fine della mia sessione. Sono consapevole di non avere fornito molti dettagli, ma comunque andrebbe contro la privacy mia e della scuola, comunque sono felice di averlo condiviso con voi! Qui vi saluto!
PS: per quale esame ho ottenuto la lode?

I videogiochi di oggi sono inutilmente complessi

Buonasera! Oggi torno a parlare di videogiochi con una riflessione che ogni tanto cito nei commenti: la complessità dei videogiochi di oggi, che comporta spesso alla legnosità dei comandi.

PREMESSA

Io sono cresciuto in una famiglia che non ha mai speso particolarmente per il lato videoludico della vita, la PlayStation era una possibilità a cui avevo accesso solo a casa di amici. Per anni ho sempre avuto dei bei videogiochi semplici, credo mai coetanei della generazione di console dell’epoca.

Prima un CD per colorare disegni Disney, poi un altro con una serie di minigiochi. Nel vecchio computer mi ricordo che avevamo installato 3 videogiochi: una serie di Flipper (di cui mia mamma era una fiera fan), Ken’s Labyrinth (un clone di Doom ma più cruelty-free) e il primo Prince of Persia; per farvi capire di quale PC sto parlando, per farli andare dovevo copiare i codici su quelle schermate criptiche di codici.

Con il passare degli anni ci siamo trasferiti al PC sotto alle scale (l’altro ha resistito per qualche altro anno) e là ho passato l’infanzia a guardare mio papà giocare Doom2, mentre io provavo principalmente i giochi Harry Potter.
La mia prima console è stata un NintendoDS, per cui potete capire quanto fosse semplice nelle interazioni. Anche anni dopo, con il mio PC personale, ho sempre scelto titoli belli da vedere ma senza troppe cose complicate.

Potete capire quanto io sia legato alle cose immediate, senza legnosità varie anche a costo di una grafica e una giocabilità più semplice.

RIFLESSIONE

Con la mia PS4 sto provando tutte quelle saghe di cui ho tanto sentito parlare: l’ultimo capitolo di Batman: Arkham, Doom, Marvel’s Spider-Man, God of War, One Piece: Pirate Warriors e ora Assassin’s Creed: Origins.

Ma una domanda spesso mi viene spontanea: se non lo sai fare, perché me lo proponi?

Peter che si blocca sotto a un porticato non capendo cosa sia aria e cosa sia muro. Peter che non schiva i colpi perché alcuni sono troppi per il gioco da segnalare. Kratos che non capisce la direzione verso cui saltare. Kratos che viene colpito anche se schivo. Bayek che sale sul cammello al posto di frugare nelle giare. I nemici che vedono la Batmobile anche quando dovrebbe essere coperta. La telecamera che va a farsi benedire, questo in molti titoli. E molto altro.

Sulla mia fidata PS4 i titoli che rigioco più spesso sono quelli di Doom. Perché? Semplicemente perché nella loro semplicità sono meno legnosi, non si irrigidiscono in azioni superflue, non hanno sette azioni diverse per lo stesso tasto! The Ultimate Doom è un bel gioco in pixel art, Doom2016 ha come unica interazione il tasto R3 del joystick.

Per anni gli utenti hanno comprato i videogiochi più semplici e per i tempi odierni obsoleti. Io stesso trovavo lo Snake nel Nokia di mia mamma una delle cose più divertenti (e manco ci giocavo spesso, mia mamma era contraria). E ora? Escono titoli che occupano un fottio di memoria, hanno mille features diverse e la metà delle volte diventano snervanti.
Io non credo che rigiocherò God of War, mentre Pokémon Platino l’ho rigiocato numerose volte!

CONCLUSIONI E SALUTI

Non capisco. E’ veramente necessario avere mille cose diverse per un videogioco? Sono io all’antica? Sono il primo a dire “Wow, sembra di vedere un quadro o un film!” ma se poi muoio perché non mi prende i comandi… Che senso ha?
Boh, ditemi la vostra se siete videogiocatori di qualsiasi tipo (va bene pure il Solitario eh). Un saluto e a dopodomani.^^

God of War: l’elaborazione di un lutto o la riscoperta dei legami familiari?

Buongiorno!
Oggi parlo di God of War, il capitolo del 2018, il soft reboot della saga che sposta le vicende dall’antica Grecia alle terre del Nord. E sì, questo vuol dire Odino, Thor e compagnia bella! Questo è un videogioco che ho comprato a metà prezzo usato, mi ha accompagnato per due mesi buoni, giocato a difficoltà Esperienza equilibrata che equivale al Normale: combattimenti impegnativi ma non impossibili.
E sono qui a raccontarvi della mia esperienza dopo aver platinato il gioco!

Trama:

Kratos vive nelle terre del Nord da diversi anni, dopo essersi congiunto con una donna del posto ed essere diventato padre del piccolo Atreus. Quando la moglie muore, le fanno il funerale e iniziano un viaggio verso la vetta più alta dei 9 mondi della mitologia nordica per spargerne le ceneri. A contrastarli, c’è una divinità nordica a loro sconosciuta che dà loro la caccia.
In un viaggio lungo diversi mesi tra mondi diversi, situazioni pericolosi e nemici divini, il legame tra padre e figlio, finora sempre molto sfilacciato, inizierà ad approfondirsi.

Gameplay e il mondo circostante:

Giochiamo controllando solo Kratos in terza persona in un mondo abbastanza aperto e vasto, esistono tre tipi di combattimenti: a mani nude, con il Leviatano e con le Lame del Caos; inoltre, Atreus prende parte alle lotte meno pericolose attaccando i nemici con le sue frecce.
La telecamera è posta dietro alle spalle di Kratos e quindi pur essendo mobile segue le torsioni naturali del collo.
Il mondo circostante è molto elaborato e colmo di dettagli, dalla storia e dai collezionabili è possibile ricevere una bella infarinatura della cultura nordica (ho controllato con il mio dizionario a tema, le informazioni sono affidabili) e durante la storia principale è molto difficile bloccarsi sempre con lo stesso nemico. E se ciò succedesse, è sempre possibile cambiare la difficoltà di gioco.
I personaggi tra alleati e nemici sono tanti, ma sono sempre funzionali alla trama: pur essendoci sempre accampamenti con il fuoco acceso e animali pronti per essere cucinati, i soli personaggi randomici che si incontrano sono nemici sovrannaturali e gli spiriti dei caduti. Ecco, più procediamo con il gameplay e più vuote si rivelano le mappe.
Ogni tanto per andare avanti con il cammino dobbiamo risolvere alcuni enigmi ambientali. Ecco, se perdiamo troppo tempo, Atreus fornisce grossi indizi per la risoluzione; il figlio non deve avere un’altissima opinione dell’intelligenza paterna. E ciononostante, con alcuni io non sono riuscito ad avere successo, dovendo ricorrere ai video su YouTube.

Difficoltà e boss:
Le difficoltà che il gioco propone sono 4, solo le ultime due per i giocatori più esperti. Durante la trama principale i nemici sono fattibili, il gioco con le sfide minori ci prepara per quelle più difficili allenandoci con determinati nemici a certe meccaniche di combattimento.
Invece, i boss del postgame sono tra i più difficili. E sto parlando delle Valchirie, esseri imprigionati in stanze nascoste: per affrontarle bisogna aver completate tutte le missioni precedenti in modo da avere un’armatura e abilità in grado di competere con i loro attacchi. Boss finale del gioco è la Regina delle Valchirie e… e nulla, un nemico rotto per cui ho dovuto abbassare la difficoltà per batterla (morendoci una volta pure nella difficoltà più semplice).
Un altro punto negativo è Niflheim: è un mondo ricoperto da una nebbia tossica per cui bisogna attraversare un labirinto prima che la nebbia ci ammazzi (c’è un timer) per recuperare oggetti. Questi oggetti servono sia a potenziare l’armatura in modo da aumentare il timer della nebbia sia per sbloccare le sfide di quel posto. L’ho trovato un posto snervante e inutilmente punitivo, forse il punto peggiore del titolo.

Collezionabili e trofei:
Prima ho detto che ho platinato God of war. E’ vero, ma non sono riuscito a ottenere il 100% da ogni mappa per una pecca ingiustificabile: un collezionabile è reperibile solo in un punto preciso della trama principale, se non lo prendiamo in quel punto bisogna rifare tutto daccapo!
Per fortuna i trofei che servono a platinare il gioco (cioè sbloccare tutti i trofei del videogioco, soddisfacendo alcune richieste) non erano legati a quel collezionabile in particolare, ma per uno che vuole il 100% prima di passare ad altro è un dettaglio veramente evitabile.
Gli altri collezionabili sono fattibili, e perlopiù si sbloccano a fine gioco. Sì, alcuni sono cattivi, ma con tanta pazienza e al massimo una guida si fa tutto.

Top5 best features:
– mondo vastissimo
– Vethurgard
– trama capibile anche per chi non ha giocato i titoli precedenti
– bella evoluzione del rapporto padre-figlio
– musiche stupende e veramente trascinanti

Top5 worst features:
– Atreus non cambia i dialoghi a seconda del gameplay, diventa fastidioso esplorare
– la Regina delle Valchirie
– salvataggio manuale, solo dopo aver completato tutto il percorso o la lotta
– le Redivive sono nemici un po’ troppo OP
– pessima gestione dei dialoghi durante la barca, si passa dal lungo silenzio a conversazioni subito interrotte

Il rapporto tra Kratos e Atreus:
Sfoga pure il tuo dolore ma lascia a me il mio.”
Kratos è presentato come un uomo molto aggressivo e protettivo, che preferisce assicurarsi che il figlio non muoia piuttosto che fornirgli un supporto emotivo. Kratos ha un passato che vuole dimenticare, che ha taciuto ad Atreus. Ha taciuto al figlio pure di essere un dio greco, dettaglio che porterà a situazioni abbastanza tragiche.
All’inizio tra i due c’è un muro di silenzio e imbarazzo. Non sappiamo prima della morte della moglie quanto lui stesse con il figlio, ma dalle prime linee di dialogo e dalle conversazioni sulla barca possiamo capire che i due fossero quasi sconosciuti.
Man mano che il bambino scopre chi è e chi è destinato a essere, il rapporto si incrina maggiormente: Atreus vuole la libertà e il padre che forse non ha mai veramente avuto, Kratos è spaventato e in lutto e cerca solo di proteggerlo e di formarlo. Sarà quando Kratos lo salva che finalmente tra i due inizierà a esserci un rapporto crescente, uniti anche dalle nuove informazioni che scoprono sul passato della defunta madre di Atreus.
Un rapporto molto toccante, fatto di silenzi iniziali e un climax di reciproca comprensione.

E così sono arrivato alla fine dell’articolo. E’ una piccola riflessione sul videogioco per chi stesse pensando se comprarlo o meno. A me è piaciuto, tutto sommato, anche se soprattutto verso la fine mi ha lasciato un leggero senso di fastidio e irritazione; infatti, non ho subito ricominciato la Nuova Partita Plus ma mi sono dedicato a finire Doom2.
E voi? Conoscevate la saga? Ciao!

SCREAM VI: La possibile conclusione di una lunga saga

Buongiorno! Oggi torno a parlare di cinema horror con l’ultimo film guardato in sala: Scream VI! Sempre diretto dal duo Bettinelli-Olpin e Gillett e con Vanderbilt sia alla produzione sia alla scrittura, Scream VI riesce a narrare una storia avvincente e con momenti di grande tensione! Da guardare assolutamente nelle sale!

PREMESSE:

Il film è ambientato un anno dopo gli eventi di Scream (’22) ad Halloween e le due sorelle Tara e Sam, assieme ai loro amici, si sono trasferite a NY per la carriera universitaria. Tuttavia, all’anniversario della strage a Woodsboro una nuova ondata di omicidi stravolge le loro vite già fragili, con un nuovo Ghostface che sembra conoscere bene i suoi predecessori.

Mettiamo subito le cose in chiaro per il cast: Neve Campbell non torna ma il suo personaggio è vivo e vegeto; invece, Courteney Cox torna e c’è pure in un ruolo importante Hayden Panettiere, che fino al film precedente pensavo fosse schiattata in Scream 4. Jenna Ortega e Melissa Barrera tornano a interpretare le sorelle protagoniste, con i loro personaggi molto più uniti e approfonditi.
Ghostface qui torna in una versione più feroce e aggressiva, non è più il fantasma che attacca quando la vittima è sola in casa, ma predilige i luoghi affollati! Un po’ come il prologo di Scream 2, per capirci.

PRO:

Scream VI come al solito è l’apoteosi del cinefilo, con una serie di omaggi al cinema di genere. Sono presenti un sacco di citazioni, riferimenti, omaggi, sia letterari sia nelle conversazioni sia come oggetti di scena.
In teoria, viene omaggiato pure il Darione Nazionale con il suo 4 mosche di velluto grigio, ma sinceramente essendo tutte le scritte nel film (messaggini, cartelli stradali, titoli) adattate e tradotte già in produzione per i principali Paesi di distribuzione non posso capire se in America Dario Argento fosse omaggiato o solo per i fan italiani. Ma fa sempre piacere vedere il cinema italiano omaggiato in altre produzioni, no?
Inoltre, con un guizzo metacinematografico viene allestito dentro alla narrazione un museo cinematografico e crime che riunisce i collezionabili di Stab (la saga fittizia di Scream) e dei dietro le quinte dei vari Scream. Così è complicato da spiegare, ma appena lo vedete capite.
E poi, un santuario a Stab e agli eventi realmente fittizi visti nei vari Scream è pur sempre un santuario a Wes Craven!^^

Le scene d’inseguimento tornano e la tensione regna sovrana, qui Ghostface è una presenza feroce che a tratti mi ha ricordato il killer di San Valentino di sangue 3D. Aggressivo, molto più fisico delle versioni precedenti e con attacchi violenti e mirati. In pratica è come l’Hell Knight di Doom2016: attacca di faccia, fa venire gli infarti. Certe volte la sua presenza è strana, nel senso che spesso porta a chiedersi: Ma come cavolo ha fatto ad entrare?

Poi vabbeh, il cast principale è di livello, con la Cox che ruba la scena ogni volta. Ortega invece mi è sembrata un po’ deboluccia, mentre la Barrera qui risplende con un personaggio molto più profondo e problematico.

Scena iniziale da manuale, semplice, d’effetto e che setta lo standard molto più moderno e dinamico del film.

CONTRO:

Sarò franco: la sceneggiatura è piuttosto pietosa. Soprattutto nella prima parte, quando si presentano i personaggi e si introducono le regole di gioco, i dialoghi sono imbarazzanti; non so se sia la resa italiana o la versione originale, ma nella prima parte ho proprio storto il naso. Poi, per fortuna, con l’inizio della caccia le conversazioni si accorciano, per cui il problema si relativizza.

Legati alla pessima sceneggiatura ci stanno i personaggi secondari. Spesso essi vivono nella dicotomia tra la carne da macello e il potenziale assassino di turno. Non sono personaggi, sono macchiette: l’FBI, il poliziotto, la zoccola, il belloccio e il verginello. L’unica che si salva è Anika, ma solo perché l’attrice mi stava simpatica. E’ un problema che il personaggio che muore alla prima scena sia più facile da ricordare rispetto a quelli che sopravvivono per l’intero film, eh!

Poi, come avevo citato secondo me la Panettiere era legnosa, non so come fosse la voce ma la postura e le espressioni non mi hanno minimamente convinto.

E il finale… Parliamone.

Da un lato è molto carico emotivamente, mi è piaciuta la messa in scena e la regia. Dall’altro il reveal di Ghostface era… meh, e la sua motivazione era campata in aria, oltre a rendere Scream VI un remake diretto di Scream 2. Ma alla fine, questi sono sempre problemi di sceneggiatura.
Diciamo che questo film non è più un whodunit perché lo spettatore non può più studiare chi ha fatto cosa e quando, mentre i primi capitoli della saga erano molto più studiati per i movimenti dei personaggi. Ormai è solo un thriller, ha perso parte della sua unicità.

CONCLUSIONI:

Scream VI è un bel film e va visto al cinema. Violento ma con parecchia violenza fuoricampo, claustrofobico e con molti posti affollati. Abbraccia il cambio di location scegliendo di settare gli inseguimenti nei tipici appartamenti newyorkesi o nei vicoli bui. Volendo sarebbe anche un finale perfetto per la saga, io spero che vogliano farla finire in bellezza e non per un flop al botteghino.

E voi? Lo andrete a vedere? Avete visto gli altri capitoli della saga? Beh, se volete approfondire, vi lascio qui sotto altri due articoli a tema. Ciao!

LINK UTILI:

Articolo sulla saga di Scream, fino a Scream (’22): clicca qui.
Riflessione sul genere Slasher: clicca qui.

10 bei personaggi femminili in Film e Serie TV!

Buongiorno e buona festa della donna a tutte le donne e ragazze là fuori!
Per festegguare, ho deciso di portare 10 bei personaggi femminili in Film e Serie TV! Una lista a tema che ripercorre i film e le serie televisive che più ho amato, tutte opere audiovisive che ho quantomeno citato spesso nel blog essendo parte della mia cultura popolare!
Buona lettura.^^

Una poltrona per due. Jamie Lee Curtis interpreta Ophelia, prostituta e vero motore narrativo del classico natalizio: Jamie interpreta una donna intelligente e indipendente, con un piano d’azione, un cuore e una condotta che la porterà a essere una multimilionaria alla fine del film.

L’amore non va in vacanza. Se c’è un personaggio che amo e con cui empatizzo sempre è l’Iris a cui Kate Winslet dà il volto: una donna che è distrutta da un amore infelice e che durante la narrazione scopre di nuovo se stessa, riuscendo a lasciarsi andare a una speranza più promettente. E poi, il percorso di rinascita lo inizia grazie al cinema, non si può non amarla!

La rivincita delle bionde. Biondissima e simpaticissima, Reese Witherspoon interpreta una biondona che studia ad Harvard per dimostrare al mondo intero che essere bionda non vuole dire essere stupida! Una commedia leggera ma molto interessante, coronata da interpretazioni impeccabili e uno dei plot points (il finale nel tribunale) più belli delle legal comedies!

Batman Returns. E se ho sempre citato commedie, qui si passa al dramma supereroistico: Michelle Pfeiffer interpreta una donna divisa tra il desiderio d’amore verso Bruce Wayne e il sentimento di rivalsa contro un mondo di uomini che l’ha uccisa molte volte, sia fisicamente sia metaforicamente parlando. Poi Michelle risplende nel tipico trucco burtoniano, regalandoci una delle Gatte più iconiche della storia DC.

Mine Vaganti. Unica citazione italiana della lista, Mine Vaganti è una commedia che fa riflettere molto, a tratti anche claustrofobica nelle tematiche. La donna che risplende per saggezza e visione progressista è la nonna, la matrona della famiglia interpretata da una bravissima Ilaria Occhini. Sarà lei a riunire la famiglia, mostrando ancora una volta una forza che i suoi figli devono aver dimenticato che lei un tempo possedesse.

Il diavolo veste Prada. Altro ruolo iconico, questa volta portato da una sensazione Meryl Streep. E che altro dire del film che non sia stato già detto e che io non abbia già detto? Iconico e, citandola, ground-breaking!

Scream Queens. Torna Jamie nel ruolo del Decano Cathy Munsch. Femminista, milf mangiauomini, donna capace di tener testa a tre assassini con la metà degli anni e politica approfittatrice. Personaggio carismatico che ha sempre le battute più sagaci, stupenda la scena della doccia dove omaggia sua madre Janet Leigh.

Le follie dell’imperatore. Come poteva mancare il mio spirito guida? Classico Disney metacinematografico e dissacrante, Yzma con la voce italiana di Anna Marchesini è stupenda, crudele e divertente! E poi è la nonna brutta di Dracula, come si può non amare una parente del grande Nosferatu?

Nightmare – Nuovo incubo. Secondo me è il punto più alto della saga, dove fantasia e realtà si mescolano in un film che con il passare del tempo diventa sempre più metacinematografico. Qui gli attori iniziano con l’interpretare se stessi e finiscono con interpretare i ruoli che recitarono nel primo Nightmare, ma lo spirito materno della Heather Langenkamp non svanisce quando torna a essere Nancy: l’amore di una mamma per il proprio figlio vince tutto!

Streghe. Beh, sono cresciuto con le Halliwell e Rose McGowan è sempre stata la sorella preferita. Con lei la serie ha avuto una svolta e nuovi poteri che hanno rinfrescato il trio.

E siamo giunti alla fine! Auguro a tutte le donne una bellissima giornata, sia oggi sia i domani futuri. Ciao!

PS: Preferireste, dovendo scegliere, un articolo su God of War, la mia ultima Nuzlocke o Doom? Fatemelo sapere, ciao!

VISIONI SENTIERI SELVAGGI: Lo sceicco bianco

Questo è il secondo film di Fellini che vedo, dopo I vitelloni. Invece, la filmografia di Sordi (che interpreta lo Sceicco Bianco) non mi è nuova, anzi! Di questo film avevo saputo grazie al biopic sul celebre attore: Permette? Alberto Sordi. Lo sceicco bianco è stata una bellissima visione, tra sogno e realtà e un’amalgama tragicomica.

Commedia felliniana del 1952, parla di una crisi di coppia durante il viaggio di nozze a Roma: la mogliettina sparisce per andare a trovare il suo idolo cinematografico (anche se avevo capito fossero romanzi, boh) lasciando il marito solo ad affrontare i parenti romani mentre la sta cercando. Tra sogno e realtà, assistiamo alle vicende di queste due persone fino al finale riconciliante.

Sordi qui interpreta lo Sceicco Bianco, figura fittizia impersonata da un artista a cui il nostro attore dà corpo.
E’ in questo segmento che potremmo riassumere l’intero film: qui Wanda, interpretata da una mogia e sognatrice Brunella Bovo, finalmente incontra il suo idolo e se all’inizio tutto sembra un sogno improvvisamente si scontra con la dura realtà di un approfittatore vigliacco. Il sogno si infrange. Il suo di sogno, però! Fin dall’inizio delle riprese si capiva che la fantasia del cinema era puramente terrena, con attori che litigano con i bambini, gli attori come deportati su furgoni per andare sul set, totalmente in balia degli umori del regista; tuttavia Wanda è sognante, le pare di vivere un sogno e solamente sulla barca si accorge dell’errore di valutazione che ha commesso senza nemmeno accorgersene.
Dulcis in fundo, la lettera che le ha concesso tante speranze potrebbe essere il tipico formato che le produzioni mandano ai fan.

Dall’altra parte c’è il marito, che si ritrova abbandonato (per un solo giorno, tra l’altro), a gestire gli zii autoritari e che vogliono conoscere la nipote acquisita. Pure con lui ci sono sequenze dove realtà e finzione si mescolano: quando telefona in camera e finge di parlare con la moglie, oppure quando cerca di convincere gli zii che Wanda sta dormendo in camera. Incarnato da Leopoldo Trieste, che ho recente visto in Sedotta e abbandonata, l’uomo rende benissimo sia lo stress di dover sempre mentire cercando di stare all’immagine che deve fornire di se stesso sia il terrore di vedere il priprio onore distrutto dalla moglie fuggita.
Ironia della sorte, lui avrebbe anche avuto ragione perché tutti gli uomini che interagiscono con Wanda si rivelano porci approfittatori. Ulteriore ironia, lei rifiuta sempre perché ama il marito e gli è fedele.

Lo sceicco bianco quindi gioca sui registri della commedia e del dramma, dividendosi in due parti ben distinte: se la prima è più dialogica, con una musica più lieve e d’atmosfera sognante, la seconda diventa più impetuosa.
Anche la regia e il montaggio giocano molto con noi spettatori, creando situazioni comiche anche nel dramma, come quando Wanda si vuole suicidare, il montaggio fa capire lei si trova su un ponte, si butta e scopriamo che si trovava sulla riva del fiume. Non è morta, si è solo fatta un bel bagno! E io sono scoppiato a ridere, la musica prima di quell’attimo era tetrissima!

Il film è stupendo, credo che tra i due di Fellini che ho visto sia il mio preferito. E non fatemi una testa tanto per La dolce vita, 8 e mezzo, Casanova, Amarcord e altri: quando sarà il momento li recupero. Ciao!

Challenge di Febbraio: Le maschere

«Eco qua, queo che gave’ ordina’, bei fioi. Un cafe’ par ti, dotor dea peste, e na ciocoeata calda par sto’ bel Arlechin. Steme ben!»

Maso sedeva agitato mentre osservava il ragazzo con cui si era dato appuntamento quel pomeriggio, un giorno come tanti per loro almeno all’apparenza, ma un giorno speciale nel profondo. Era a disagio mentre osservava le donne ingobbite nei loro foulard vendere rose rosse alle coppiette felici che li circondavano nei tavoli vicini. Era a disagio mentre le fanciulle esaltate dai gesti dei compagni aprivano pacchi piccoli o grandi, manifestazioni dell’animo innamorato. Maso osservava la camicia nera al tavolo al loro fianco che offriva un mazzo di ortensie alla sua bella, in un sorriso orgoglioso. Maso osservava tutto, in silenzio, dal volo dei piccioni sulla piazza alla Cattedrale che si stagliava sul mare, perfino il verso dei gabbiani e il vento impetuoso dalla laguna erano rifugi sicuri. Maso non osava guardare Gùsto in volto, ma Gùsto non aveva occhi che per Maso.

Gùsto sedeva eretto, attento a mostrare in tutta la loro maestosità quelle due spalle larghe che tanto si era guadagnato con il suo lavoro di gondoliere. Il corpo era completamente piastrellato di arcobaleni, il volto semicoperto da una maschera nera e in testa un tricorno bianco. Ma era là, con lui, in quel giorno tanto infelice per loro. Lentamente gustava il liquido caldo e denso, tingeva i baffi biondi di bruno, gli occhi neri non si spostavano di un centimetro dalla maschera dorata e adunca del suo conviviale.

Maso gli chiese se volesse assaggiare un cioccolatino da Perugia, dal nome Liù. All’assenso dell’Arlecchino, sorrise debolmente e dalle tasche estrasse un piccolo cubetto confezionato in rosa. Lo offrì. Gùsto allungò la mano, e mentre lentamente estraeva il cioccolatino dalle dita dell’offerente, con il pollice accarezzò il polso e mentre si allontanava le dita della mano; finalmente Gùsto scartò il velo di carta rosa e violetta, ne venne fuori un piccolo parallelepipedo dal color marroncino chiaro che gustò sotto lo sguardo incantato del dottore della peste.
Ora fu l’Arlecchino a chiedere se potesse offrire qualcosa: un sorso della cioccolata calda. All’assenso del dottore dorato, il gondoliere allungò lentamente la tazza e la porse. Maso l’accolse nelle due mani e se la portò alle labbra. Sulla tazzina bianca c’era un segno marrone dal quale il liquido aveva incontrato le labbra dell’Arlecchino e fu lì che beve, guardandolo negli occhi neri, e fu sempre da lì che l’Arlecchino bevve.

Restarono seduti ancora qualche momento, fino a quando la cameriera non ricomparve: «Fioi, voe’ calcossa in piu’? Na fritoea coea crema, forse?»

Dissero di no, Maso si alzò e andò dentro al bar per pagare. Gli interni erano spettacolari, i muri e i pavimenti d’Istria erano ricoperti con pregiati tappeti persiani, sui muri erano appesi numerosi specchi e nella grande sala imperavano due magnificenti candelabri verdi e rossi e bianchi di vetro pregiato. Maso si osservò allo specchio: un bel ragazzo, si poteva dire, non alto e nemmeno magro ma con due spettacolari occhi cangianti, occhi ora semicoperti dalla maschera. Era là, ma stava veramente vivendo il momento?

«Quanto era bello Scipione sul suo cavallo bianco! Egli fissava i romani con due occhi aperti e la bocca sorridente, ma con gesto forte e animatore e pareva che dicesse “Dobbiamo vincere ad ogni costo!”. Proprio come fa oggi il nostro amato Duce, quando parla ai nostri valorosi soldati. Però il Duce è più bravo e ancora più bello di Scipione!»

Fu il discorso della bambina dalla radio sul bancone a scuotere il rimuginatore dai propri pensieri: lui era là, stava vivendo quell’ora di magica luce con Gùsto e nulla avrebbe potuto rovinarla! Quindi, staccò gli occhi dallo specchio e posò lo sguardò oltre alla vetrina, oltre alla coppia di anziani impegnati a gustare insieme una mozzarella in carrozza, sull’Arlecchino. Ora che Maso non era più al tavolo con lui, Gùsto si era stravaccato sulla sedia, facendo scendere il sedere quasi oltre la fine di essa e appoggiando il capo sullo schienale. Maso sorrise: era così che lo aveva conosciuto due estati prima, alla spiaggia di Punta Sabbioni. Stravaccato e indolente.

Sorridente, si rivolse al barista. Chiese il conto e pagò.

«Grazie, e tornate presto! Ma scusa, non è un po’ presto per le maschere? Oggi è il giorno degli innamorati, non Carnevale!», commentò il barista con un sorriso sornione.
«Mai. Noi, al contrario di molti, le maschere non possiamo mai toglierle. Arrivederci.» e tornò dal compagno.

Insieme Gùsto e Maso girovagarono un po’ per la piazza, osservando e commentando i turisti con i loro inutili libretti e le mille mappe con cui in teoria avrebbero dovuto essere in grado di attraversare Venezia.

Gùsto, con il suo lavoro, sapeva benissimo che in verità quelle cartine per i turisti ingenui erano inutili. Non che Maso, pur in terra straniera, non lo sapesse: non era raro che uscito a prendere il pane notasse una coppia di turisti dall’accento pesante e dalle vocali larghe, ci si fermasse a dar loro indicazioni per la stazione dei treni e quando tornava con la spesa e un po’ d’ombra in stomaco li trovasse a pochi metri di distanza dalla volta precedente, solo in una nuova calle.

Sorrisero insieme.

Stanchi di San Marco, i due costeggiarono il mare e si diressero verso un ponticello tutto bianco. Di solito era invaso dai turisti, ma in quel momento non c’era nessuno. Quindi salirono al vertice delle scalinate e si appoggiarono al parapetto, anch’esso di pietra bianca. La vista ovviamente era il Ponte dei Sospiri. I turisti lo adoravano, loro invece lo osservavano come monito: se fossero stati tranquilli, non sarebbe successo nulla; o almeno così speravano.

«Buon San Valentino…», bisbigliò Arlecchino.

«A te.», rispose il dottore.

E le mani, per una frazione di secondo, si sfiorarono. Una lacrima scese sotto alla maschera adunca e dorata.

Fu una giornata stancante, il mondo celebrava l’amore e l’unione, ma loro preferivano stare tranquilli. Erano persone normali, non volevano andare contro la legge. Non apertamente almeno. Si limitarono a godere l’uno della compagnia dell’altro. Camminarono avanti e indietro, parlarono molto, del tempo, del Duce, dell’imminente guerra, dei gabbiani, dei turisti. Ma non di se stessi. Quello lo fecero quando entrarono in un portone, salirono strettissime scale e Gùsto fece girare la chiave d’ottone nella serratura del proprio appartamento. Una casa piccola e stretta, eretta in un palazzetto a meno di due metri dal palazzo che gli si stagliava di fronte. Una casa piccola, ma almeno i due poterono togliersi le maschere.

Si abbracciarono.

Quella che avete appena letto è una storiella scritta per la Challenge di Febbraio di Raynor’s Hall, che aveva come temi il Carnevale e le cose proibite. Spero abbiate apprezzato. Ciao!