Ultima visione accademica prima della fine del periodo scolastico 2022-2023, l’esame di storia del cinema è tra 2 giorni! Ho scelto di completare i film del Grande Cinema Italiano degli anni ’60 potendo vantare almeno un film per autore italiano; dopo tutta la testa così che ci hanno fatto sul conoscere le nostre radici spero apprezzino.
Primo lungometraggio di Bellocchio, racconta di come Alessandro è diventato il serial killer della sua stessa famiglia. Se l’inizio serve a presentare il nucleo familiare e i loro problemi, già allora vediamo come questo psicopatico si diverta a sentirsi (falsamente) superiore con azioni cattive. Poi, da quando fallisce l’esame della patente l’Inferno si alza nella loro famiglia.
Se dovessi descrivere il film parlerei dei personaggi, essi non evolvono esattamente ma il loro legame sì. Soprattutto per i tre personaggi protagonisti: i tre fratelli Augusto, Giulia e Alessandro . Augusto è il primogenito e il capofamiglia, Giulia è la sorella di mezzo che sta con chi le fa comodo tra i due e poi c’è il psicopatico con manie di controllo e grandezza. Ecco, loro tre cambieranno spesso i rapporti, sia per il lutto sia per la paura.
Il film dura quasi 2 ore, e devo dire che le ho sentito. Ammetto che a livello narrativo esse passano bene perché le dinamiche relazionali sono spiegate molto bene ed è presente pure un certo quadro di vita, ma il film è lentino forte. Credo che il ritmo crolli tra l’omicidio del quarto fratello e la conclusione. C’è un momento di attesa, di rivelazione e orrore, ma l’attesa è molta. L’unico dettaglio positivo è che alla fine Alessandro ha la giusta punizione divina e schiatta abbandonato a se stesso dalla sorella.
Buongiorno! Se avete notato che sono un po’ sparito dalla blogsfera è che sono in piena sessione di esami: il 30 avevo il tema in classe per Internet, mentre dal lunedì successivo avrò 4 esami in tre giorni: attorialità, fotografia, inglese for cinema e storia del cinema. Una settimana piuttosto funesta, ma provo il mio meglio per non sprofondare e dare sempre il massimo! Comunque, oggi è il primo giugno e quindi, Top5 delle visioni migliori di Maggio! Buona lettura.^^
I soliti ignoti. Unica commedia del cinema italiano, anzi, del Grande Cinema Italiano del dopoguerra, è uno dei cult scritti dal duo epico di sceneggiatori Age & Scarpelli, con Mario Monicelli alla regia. Che dire? Tra l’ironia e il dramma, c’è sempre la commedia di fondo ma la situazione dell’Italia è molto povera e soprattutto complicata. Cast d’eccezione per un film molto carino. Più che altro mi sono sorpreso che la Cardinale fosse stata doppiata, sapevo che comunque oltre che bona era una brava attrice.
Wall-E. Quante lacrime, Wall-E non lo avevo mai visto veramente se non tanti anni fa ma ho molte cose legate al suo franchise, oltre ai videogiochi quando Disney.it aveva nel suo sito anche i giochi gratis legati ai suoi franchise. Poi hanno tolto tutto… Comunque, visto con gli occhi di uno studente di cinema, le lacrime sono rimaste e l’ho trovato un film veramente adorabile. Inoltre, ho studiato durante l’anno una base sui prodotti audiovisivi multimediali e in questo capolavoro sono condensate tante teorie che ho studiato: la realtà virtuale sempre più imperante, uno stato onirico sempre più presente, un continuo sfasamento dai valori reali in grado di distrarci con cose inutili. Inquietante pure l’IA, che in una scena porta il film a citare apertamente perfino 2001: Odissea nello spazio. Capolavoro, non c’è altro da dire.
Quel pazzo venerdì. Jamie Lee Curtis interpreta la madre, Lindsay Lohan la figlia e un giorno si risvegliano l’una nel corpo dell’altra. Cosa succederà? Commedia fresca e divertente, remake migliore del film originale. Capace di creare situazioni molto divertenti con battute a raffica, le due attrici interpretano benissimo i ruoli: se nell’originale i due personaggi erano fin troppo simili, qui invece madre e figlia utilizzano linguaggi diversi e posture diverse, dimostrando un grande lavoro alla base della loro caratterizzazione. Poi Chad Michael Murray interpreta un ragazzo che si innamora della figlia nel corpo della madre, creando situazioni molto divertenti; il problema? A giorni la madre, o in questo caso la figlia nel corpo della madre, si dovrebbe sposare! Molto carino, ve lo consiglio.
The day after tomorrow. Chi mi segue avrà capito che a me i disaster movies non dispiacciono affatto, uno dei pochi generi angoscianti e realistici che amo. Poi di Emmerich ho già visto alcuni film: Stargate, Godzilla, 10000 AC, 2012, Moonfall e recentemente pure Independence Day; The day after tomorrow e 2012 sono senza dubbio i miei preferiti. Lui è il regista americano per eccellenza alla fine, i suoi sono film in cui la famiglia vince sempre e comunque e qui il padre compie un vero e proprio viaggio per ricongiungersi – letteralmente e metaforicamente – con il figlio distante. Molto bellino, pure qui c’è il tipico tsunami, e poi pure la bora che gela tutto. Bellino, bellino. Il finale ricco di tensione e suspense di quando lui arriva in biblioteca è stupendo, come sono belli i rapporti interpersonali che si vengono a creare in quel micromondo di sopravvissuti.
Renfield. E dopo tanto cinema alto, si scade nella serie B. E io adoro. Ho visto Renfield al cinema il giorno stesso in cui è uscito, una rivisitazione splatter e azione in chiave comica della storia di Dracula; Nicholas Hoult molto figo, Nicolas Cage con un ruolo cucito su misura solo per lui e tanti arti umani che volano grondanti sangue. Che volere di più?
Piccola anticipazione sul mio esame di attorialità
E siamo giunti alla fine dell’articolo. Conoscevate tutti i film che ho citato? Qual è la vostra Top5 del mese? Ciaone e alla prossima!
Quasi 3 ore di film e come sentirle tutte. Complimenti al mio PC, che grazie anche alla bassa qualità di caricamento del film se le è fatte tutte prima di scaricarsi.
Di Fellini ho sempre sentito parlare molto, perfino sul Topolino da piccolo. Poi negli anni molti suoi film sono stati citati nelle guide di cinema e il mio cinema d’essai ha un’immagine di Sylvia – Anita Ekberg – sul muro esterno. Poi a scuola ho visto Lo sceicco bianco, e a casa ora a ridosso degli esami questo: La dolce vita.
Che due coglioni eh.
Mi ricordo che il prof parlava del film come l’incomunicabilità: inizia con frasi assordate dalle eliche dell’elicottero e termina con frasi assordate dalle onde. E’ un film episodico con Marcello Mastroianni come anello di tutta la catena.
Credo che la vicenda da me preferita sia quella con Sylvia, quella più allegra e sognatrice. Questa diva che non ha perso lo sguardo da bambina nonostante il corpo chiaramente da donna. Una freschezza che mi ha ricordato Marilyn Monroe, che in quegli anni era al culmine della celebrità. Invece, l’episodio più triste è quello con il padre. Altra incomprensione, alla fine.
Un film caratteristico, onirico e circense. Promette tanta fantasia e lussuria ma alla fine è estremamente conservatore.
Buongiorno! Pronti per l’articolone di dopodomani? E la ricetta al cioccolata dei prossimi giorni? Beh restate attenti alle mie uscite allora! Oggi torno a parlare di visioni accademiche con un film proposto dalla nostra prof di fotografia, che è stato diretto da Yuri Ancarani. Per me è un’opera artistica che si ispira al neorealismo: un film fittizio più simile al documentario che alla narrazione classica. Un esercizio estetico e la testimonianza (non so quanto attendibile perché non è il mio mondo culturale stretto) di Venezia.
Sarò sincero: che due coglioni. Se la prof di fotografia ci mostra un film che LEI trova interessante, di sicuro è interessante a livello tecnico, dopotutto lei è specializzata in fotografia e grafica. Ma è un film antinarrativo ed estremamente lungo.
Qua in pratica è facile esercitarsi sul tipo di lenti usate: teleobiettivo o grandangolo? Le luci sono bellissime e i fotogrammi sono spesso quadri. A livello estetico e visivo è molto bello. Ma dopo un’ora l’attenzione crolla.
Se volete guardarlo è su Raiplay. E’ un’opera pluripremiata, girata durante molti mesi. Io l’ho trovata parecchio noiosa, ma per cinefili puristi della fotografia e della ripresa può essere interessante. Per ulteriori info guardate la pagina Wikipedia del film che è abbastanza approfondita.
Grande cinema italiano, 1960, regia di Antonioni e Monica Vitti che svetta nel cast. Un dramma per la ricerca dell’umanità e dell’affetto, dove alla fine a regnare è la solitudine.
L’avventura è un film che non mi è piaciuto molto. Non perché sia riflessivo ma perché non è narrativo: non succede nulla, sono sequenze di loro che dialogano o esplorano posti sconosciuti. Ho preferito Il posto, mentre per lo stesso motivo non mi è piaciuta la trama de Il Gattopardo.
Il film in sé è molto interessante. Concordo con chi definisce Antonioni il regista dell’incomunicabilità. Nel film sono tantissime le conversazioni interrotte, non comprese, osservazioni di oggetti e persone che vengono notati solo da certe persone e non da altre. Il motore stesso della vicenda, la scomparsa della ragazza, è incomunicabilità: la ragazza scompare e nessuno ne sa nulla, dopo settimane quasi nessuno ne parla più, potrebbe essere morta in fondo a una gola in mare oppure in Egitto, per quanto ne sanno.
Interessante invece il personaggio di Monica Vitti. Lei interpreta l’amica della scomparsa, che durante le ricerche si avvicina al fidanzato della scomparsa per intrecciarci una relazione. Mi ha dato la sensazione di essere quasi un fantasma senza storia o anima che pian piano entra nella vita dell’amica scomparsa e quasi rimpiazzandola. Sappiamo dal film che lei ha avuto un’infanzia povera, e quindi le amicizie molto altolocate che frequenta sono ospiti. Lei di suo non ha nulla. E’ stata presentata ad aspettare prima l’amica e poi la coppia (amica e fidanzato che scopano); pure dopo è spesso la terza in comodo. E dopo la sparizione dell’amica? Parla con il padre della scomparsa indossando la camicia dell’amica. In seguito, indossa una parrucca mora che la fa assomigliare all’altra. E poi intreccia la relazione con il fidanzato della scomparsa.
Per concludere, a scuola ci avevano mostrato la scena di loro che visitavano il villaggio fantasma. La scena poteva essere benissimo di uno slasher – Le colline hanno gli occhi – per le inquadrature distanti che sembravano rappresentare un POV di qualcuno di misterioso. Il fantasma dell’amica? La loro colpa?
Prossimo alla fine delle lezioni, nelle ultime settime prima degli esami, a storia del cinema abbiamo pure parlato del periodo in cui il cinema italiano era considerato grande: dal Neorealismo fino alla fine degli anni ’70. E ovviamente abbiamo citato pure questo film. Che mi ha trasmesso un senso di alienazione e tristezza molto profondo.
Il film è un dramma esistenziale, quasi, perché vediamo il mondo attraverso gli occhioni di Domenico. Domenico è un giovanissimo ragazzo, interpretato da Sandro Panseri, alla ricerca del posto fisso a Milano. Dal suo punto di vista mogio e intimidito dalla vita osserviamo il mondo degli adulti, senza veramente comprenderlo.
Sarò sincero, vi ricordate all’inizio degli anni dieci del 2000 che Lady Gaga e Katy Perry portavano quel trucco per cui gli occhi sembravano rotondi? Ecco, lo stesso è lo sguardo di Domenico: un cerbiatto spaurito. Che poi, è l’unico della sua età: vediamo gente più giovane, gente più vecchia, ma tutti sono capaci di parlare e agire; solo lui subisce in silenzio.
Un po’ potrei pensare che Il posto sia stato d’ispirazione per Villaggio alla creazione di Villaggio. Qui si vede la vita grigia dell’impiegato, senza vere interazioni sul lavoro e un cumulo di effetti personali o aziendali alla morte. Il finale è esplicito: Domenico è condannato a una vita sicura, con colleghi cordiali ma non amichevoli, un lavoro monotono e poche occasioni di socializzare all’esterno.
Diciamo che il personaggio di Antonietta è tutto ciò che lui non è. Un po’ mi sono rispecchiato in Domenico.
La cinepresa comunque (tranne in rarissimi casi descrittivi) è sempre subordinata allo sguardo del protagonista, tutte le scene cui assistiamo sono sempre con lui in scena, lui che osserva, lui che imita quello che fanno i grandi, gli esperti della vita. Con quegli occhioni grandi e spauriti. Vediamo la sua vita, la sua routine, i suoi tempi morti e le sue piccole speranze, che vengono ogni volta infrante.
Il prof ha descritto il film Il posto come la storia di un ragazzo alla ricerca di un posto di lavoro fisso, ma che non dispone nemmeno di un proprio posto nel mondo. Io concordo, ma aggiungo che quel posto lo troverà: pian piano si sta adattando, ma questo il film non ce lo dice!
Buongiorno e un buon primo Maggio! Queste sono le ultime ore del mio weekend che passo in famiglia, nel pomeriggio ho il treno per tornare a Roma. Aprile è passato, e come sempre oggi condivido 5 film che ho guardato e apprezzato durante il mese appena concluso! E con Disney+, la scelta è stata ardua. Buona lettura.^^
Pomi d’ottone e manici di scopa. Visto in madrelingua, è una pellicola deliziosa invecchiata benissimo. Angela Lansbury è bravissima e le si addice perfettamente il ruolo, anche se alla fine il suo personaggio finisce castrato: da donna indipendente e strega, si ritrova compagna che abbandona la magia in favore della famiglia. Comunque, il film ci regala sequenze fantasiose e un’incantesimo di locomozione epicissimo. Da vedere assolutamente.
Abbasso l’amore. Commedia romantica con Renée Zellweger e Ewan McGregor, riprende la moda e gli stilemi romantici del cinema anni ’60, con un montaggio intelligente e una sceneggiatura brillante. Qui i due attori sono ottimi, danno due ottime prove recitative con il protagonista che utilizza più accenti (visto in originale), mentre i personaggi di contorno riescono a ritagliarsi una loro storia accattivante. Una perla.
Aliens. Protagonista del mio prossimo articolo, in senso lato, finora è il mio preferito della saga (e forse del franchise?). Se Alien è uno slasher, Aliens è un film di guerra ed elabora pesantemente l’ecologia degli Xenomorfi, regalando pure una delle frasi più iconiche (VENGONO FUORI DALLE FOTTUTE PARETIIIII) e una scena ansiogena allo stato puro (i due Facehuggers). Inoltre, il personaggio di Sigourney Weaver, Ellen Ripley, continua a vivere la sua femminilità riscoprendo questa volta il proprio lato materno, senza che questo ne intacchi le capacità o ne influenzi la caratterizzazione. Grande film, violento ma mai ovvio.
Pane, amore e fantasia. Grande cinema italiano, questa volta su Raiplay. Bello, leggero da guardare ma comunque interessante nel sottotesto. E’ la prima volta che guardo una commedia con la Lollobrugida, mentre De Sica l’ho visto in parecchie occasioni, soprattutto in commedie. Bellino, è sulla piattaforma gratis se pagate il canone.
Mon crime. Ieri sono stato al cinema, con mia mamma, e ho visto questo film francese di Ozon. Per chi mi legge, è risaputo che apprezziamo le commedie francesi d’importazione, in famiglia. Poi, i costumi sono stupendi. Ambientato negli anni ’30, c’è tutto: cinema, commedia, teatro e un giallo dalla struttura molto particolare. Un po’ mi ha ricordato il musical Chicago, ma questo è un film che dovete sicuramente recuperare nelle sale. Andate, su!
Forza, esci dalla stanza e vai al cinema!
E ora vi saluto! Questo è l’ultimo mese pieno di lezioni. A giugno avrò gli esami e poi tornerò a casa, traslocando definitivamente dal mio residence col cesso rotto. Almeno, qui, a casa mia, il bagno non ha nessun problema. Lo stesso non posso dire per il Wi-Fi. Ciaone!
Credo sia il film neorealista che ho maggiormente apprezzato, e il film di Rossellini che ho digerito maggiormente: una trama, personaggi con archi narrativi, un linguaggio abbastanza classico e un valore storico molto importante. Bellino.
Oggi finalmente torno a parlare di visioni accademiche, con un film che volevo guardare da un po’. All’inizio avevo provato a visionare Roma città aperta qualche settimana fa, perché avendo studiato il Neorealismo il film era stato caricato sul drive della scuola; lo apro e… orrore: il film era in francese senza sottotitoli!! Allora giorni dopo lo avevo detto alla segretaria e finalmente ce lo caricò in italiano. Non essendo fan di Rossellini (Paisà e Viaggio in Italia…) ho tentennato parecchio, fino a oggi! E devo dire che mi è piaciuto!
Roma città aperta è un film storico nel senso che è quasi documentaristico e non ha paura di uccidere i propri protagonisti prima della fine nel nome del vero storico, ma è pure un dramma. Il dramma di una nazione. Non ha una vera struttura in atti, anche se una certa codificazione in segmenti narrativi è apprezzabile, ma vede la vita e la resistenza all’occupazione di un certo numero di cittadini romani: partigiani, preti, donne e bambini; ognuno che cerca di sopravvivere nel suo piccolo.
Anna Magnani qua non ha quella romanità che la contraddistingue, perché qui prima di tutto è una donna, una quasi moglie e una madre. Ho apprezzato molto che qui fosse molto contenuta, anche nell’accento, e la sua storyline è veramente triste. Grande personaggio anche quello di Aldo Fabrizi, un prete che si mette a favore della causa e attivamente combatte nell’ombra gli oppressori.
Ho apprezzato che tra i rifugiati non ci fossero solo italiani ma pure tedeschi e austriaci disertori/in fuga, e che i tedeschi non fossero diavoli in Terra. Un vero film documentaristico, se vogliamo.
A me il film è piaciuto, certo siamo ben lontani dalle vere intenzioni originali del Neorealismo (soprattutto per le musiche che influenzano parecchio la visione), ma il ritratto d’Italia c’è tutto e mi sembrava di essere lì. E c’era pure spazio per alcune scene di ironia, perché la vita è fatta anche di questo.
Credo che le prossime Visioni Sentieri Selvaggi riprenderanno la Nuovelle Vague, che secondo me è l’argomento che abbiamo trattato meno in Storia del cinema. Forse ci sarà poco da dire, ma devo vedere qualche film per capire bene. Ciaone e alla prossima!
Buongiorno! Buon primo aprile, e no: oggi nessun pesce d’aprile. Anzi, sono venuti a trovarmi a Roma i miei genitori per cui sono costretto a fare turismo, auguratemi buona fortuna… Comunque, tornando alle cose importanti, nuovo mese, nuova Top5 dei film più belli visti a Marzo! Quattro su cinque li potete trovare su Raiplay, mentre del quinto ne avete già letto tra le mie visioni accademiche.^^
Il mio sabato
Mine Vaganti. Vi ricordate il primo di Marzo, quando paragonai Sedotta e abbandonata a Mine Vaganti? Ecco, la sera stessa che scrissi quell’articolo mi sono ispirato e mi sono riguardato Mine Vaganti! Che dire? Secondo me il paragone ci sta tutto, mostra l’omofobia di un’Italia che non è sparita del tutto, con una Lunetta Savino bravissima. E la Crescentini è proprio figa, non dice nessuna battuta ma rimane impressa più di altri personaggi con più minuti di girato.
Divorzio all’italiana. Se bisogna parteggiare per qualcuno, è la moglie la vera vittima: innamorata, affezionata, servile, vive per il marito ma in cambio del suo amore subisce una macchinazione che la porta alla morte! Daniela Rocca subisce make-up veramente ignobili, fornendo sempre interpretazioni notevoli. Una commedia veramente malinconica ma d’effetto.
Professore per amore. Io l’ho detto anche in classe: chissenefrega di The Fabelmans, non ho mai voluto dirigere o interpretare un film! A me piacciono le storie di sceneggiatori, scrittori, disegnatori e pittori! E le commedie, romantiche o nere o comiche. Qui Hugh Grant interpreta uno sceneggiatore in declino che accetta di insegnare sceneggiatura in un college pubblico, c’è la commedia romantica con Marisa Tomei, qualche battuta sagace e tanto mi basta! Mica serve spendere centinaia di milioni di dollari per fare una bella commedia, eh.
Ying (Shadow). Blockbuster cinese dello stesso regista de La foresta dei pugnali volanti, Lanterne rosse e La città proibita. Una storia sullo Ying e lo Yang, sugli opposti e sugli specchi, dove i colori sono così desaturati da avere in tutto il film sono la scala di grigi. Questa è una tragedia nel senso greco del termine, dove l’onore e il senso di libertà vengono prima di tutto, dove anche le donne all’apparenza fragili spettatrici si rivelano capaci di decidere il proprio destino. Una perla, da recuperare assolutamente.
Il bacio della pantera. Gotico, semplice, atmosfere e una storia drammatica. Una perla del cinema di serie B che è riuscita a meritarsi perfino un remake (purtroppo odiato da molti). Ne ho già parlato abbondantemente nella mia reaction, ma ci tenevo a farlo rientrare nella mia Top5!
E siamo giunti alla fine. La quota mensile di film visti è precipitata recentemente, ma sono riuscito comunque a stilare una bella lista di film consigliati. E i vostri, quali sono? Ciaone e alla prossima!
Buonasera! Oggi finalmente torno a condividere le mie visioni accademiche con Paisà, uno dei cult di Rossellini. Che a me non è piaciuto.
Paisà è il secondo film neorealista che guardo, molti anni fa guardai pure Riso amaro ma di quel film non ho grandi ricordi. Paisà è un film celebrato, posso anche capire perché, ma se volevo guardare un’opera di tal genere tanto valeva che mi guardavo un documentario: un film episodico sulle vicissitudini degli italiani rispetto alla fine della Seconda Guerra Mondiale in Italia.
La sequenza che ho preferito è stata la prima, con Carmela e John, che si conclude con un’amara ironia. Quella che mi ha fatto riflettere invece è stata nel monastero. La seconda, invece, mi ha lasciato perplesso: ok, il nero si accorge della distruzione nella quale vive il bambino ma lui in quanto nero in America non credo vivesse tanto meglio. No?
La sequenza del monastero poi mostra quanto i monaci, o almeno quei monaci, fossero ipocriti: cercare di convertire o pensare di dover convertire due ‘anime perse’ li rende veramente concettualmente dai Nazisti o dai Fascisti? Soprattutto perché un’anima persa è un ebreo! Per fortuna, a mostrare una Chiesa più aperta c’è il prete americano, anche se ricordiamoci del razzismo in America prima di santificarlo.
Io ho trovato Paisà noioso e lento. Poi è da stronzi mettere i sottotitoli bianchi su scene in bianco e nero al sole. Vuol dire che è bianco su bianco! E poi che realismo c’è se il film si basa su una sceneggiatura originale? Non bastano attori non professionisti (credo pure doppiati) o vicende verosimili per renderlo simile all’idea originale del movimento neorealista. E non c’è nemmeno una linea narrativa costante, veramente un film pesante. Forse però sono io che non sopporto Rossellini, visto che sopportai a malapena pure Viaggio in Italia.
Prossimamente vedrò Umberto D e vedo se cambiando regista il discorso migliora. Alla prossima!