VISIONI SENTIERI SELVAGGI: La corazzata Potëmkin

Studiata a scuola Sentieri Selvaggi per il cinema sovietico post WWI, ho ritrovato gran parte delle informazioni che già conoscevo:

  • una narrazione e un montaggio molto semplici per farsi capire da più plebei possibili
  • una reiterazione delle azioni per evidenziarne l’importanza
  • una grande cura verso i dettagli, spesso per allungare la durata delle scene madri
  • un’iperbolizzazione della crudeltà delle autorità zarista e la pessima vita della popolazione sfruttata
  • la non presenza di un protagonista lungo tutta la narrazione ma invece la presenza di masse viventi

La corazzata Potëmkin è un film molto più guardabile e digeribile (e soprattutto corto) di quanto Fantozzi, con la sua cagata pazzesca, avesse fatto credere in Italia. Un bel film, forse lunghetto nell’ultimo atto e non ho ben capito come si passi dalla corazzata ad Odessa, ma comunque si lascia guardare benissimo. Poi la musica, presente nel filmato che ho visto trovato su YT, è azzeccatissima; ho visto la versione restaurata. Per concludere, La corazzata Potëmkin riesce benissimo a creare la tensione soprattutto in due punti: ovviamente lungo la scalinata durante la strage e poi alla fine poco prima di scoprire che le corazzate che si stavano avvicinando erano alleate.

Un bel film comunque.

La Colomba si racconta: complesso di inferiorità

– Psicologo: …ma lei non ha nessun complesso di inferiorità!
– Fantozzi: Davvero?
– Psicologo: Lei È inferiore.

E’ con una citazione presa da Fantozzi alla riscossa che voglio cominciare questo blog personale. Ed è il lavoro grafico per un contest di Halloween ad aprire il post. Perché io, questo complesso di inferiorità, l’ho sempre sofferto fin dalle medie.
Chi mi legge e si ‘confronta’ con me da molto tempo avrà notato spesso l’uso dell’autoironia, strumento esorcizzante con cui cito ogni tanto i miei problemi e il mio vissuto; nulla di eclatante, sia mai, ma questa insicurezza di fondo c’è da anni e da anni cerco di combatterla.

Credo sia tutto cominciato alle medie, quando un bulletto mi prendeva in giro. Scuola nuova, quartiere nuovo, lontano da casa e dalle amicizie, che con il tempo ho perso. Continuava a prendermi in giro, e lui era del posto: i miei compagni di classe erano suoi amici e nel migliore dei casi lo tolleravano. Perfino l’unico mio amico che avevo a scuola, con cui avevo condiviso il percorso dei Lupetti, preferì quel bullo a me.

D’altro canto in quegli anni ho iniziato gli Scout: campeggio, nodi, vita all’aperto, scomodità varie e voglia di vivere. Chi mi conosce, sa che sono un pantofolaio con una memoria e una capacità pratiche pari a zero. Anche se in fin dei conti il primo anno negli Scout è stato il migliore, grazie al mio caposquadriglia, già allora si era delineata la linea di condotta che avrebbe caratterizzato la mia esperienza di quell’associazione: incapace, intimorito, estraniato. Potete capire i complessi quando l’anno seguente tre quarti dei novizi del mio stesso anno erano diventati Vicecapisquadriglia e io no.
Anche perché così si creava la setta: l’alta squadriglia (chi aveva il nome che finiva in -iglia e i più ‘vecchi’ del reparto) facevano riunioni, uscite e campi per conto loro. Anche quando mi fecero entrare nell’alta squadriglia al quarto anno non fui mai completamente accettato.

E quindi, perché non imparo nulla? Perché se mi sforzo non riesco ad imparare un singolo nodo? Perché gli altri non mi fanno dormire nella tenda con loro ma invece mi cacciano in quella dei più piccoli? Mi accetteranno mai? Ho forse sbagliato qualcosa?

Poi ci furono le superiori, altre delusioni di tipo sociale (e non dimentichiamoci che negli Scout -stile campeggio adolescenziale, non Rover- ci sono stato fino ai 16 anni). Tutti uscivano tra di loro, si formavano i gruppetti, io no. Io vedevo gli altri pianificare le uscite, ma al massimo ottenevo la pietà, qualche commento di incoraggiamento dalle ragazze in stile pre-materno e ciaone. Ecco, ho un chiaro ricordo che ero io che scattavo la foto ricordo al gruppetto che mi faceva compagnia alle uscite; non hanno mai voluto una foto con me. Nemmeno hanno voluto trovarci per studiare assieme: ora io studio da solo, la gente attorno mi infastidisce; ma è genetica o abitudine coatta?
Senza dimenticare il lato dello studio. Oltre al fatto che in storia sono sempre stato negato, come in fisica e matematica, se ero giù di morale non studiavo, non avevo nemmeno il sentore della necessità. Ho questo ricordo dell’umiliazione alle interrogazioni: quattro studenti attorno alla cattedra, tutta la classe a scrutarmi mentre balbettavo e mi mettevo a piangere con quella di italiano e latino.

E poi l’università, quando tutti passavano gli esami e si vantavano mentre io ingoiavo il rospo e sorridevo: i miei genitori sanno bene che il primo anno all’università è da buttare. Poi il rendimento è migliorato, durante la pandemia sono riuscito a diminuire lo stacco, ad alzare i voti, a prendere i 30, ad avere la relazione di Falcade accettata al primo colpo, a superare gli esami (di chimica) più ostici e a ricevere i complimenti dal controrelatore per la mia tesina di laurea triennale.
Ma rimanevano sempre le domande scomode.

Perché ancora non ho trovato un gruppo che mi accetti? Perché mi sono laureato con un anno di ritardo, mentre la mia amica d’infanzia finiva la magistrale? Riuscirò a tirare avanti? Perché sono così stupido?

Ormai quando incontro una persona la squadro e noto subito dove è migliore di me: è più bello, è più socievole, è più intelligente, è più preparato, sa far ridere, sorride, riesce a ballare, a lasciarsi andare, beve, è invitato a bere dalle altre persone, fa gruppo, è richiesto, ha una vita eccezionale. Una vita a cui non avrò mai accesso.

Ho questo senso di inferiorità dal quale non mi liberò mai. MAI!

Forse è per questo che ho sempre sognato il cinema, ma non solo per rifugiarmi in narrazioni altrui che non mi rispecchiano. Anche perché c’è sempre questa figura del divo depresso, estraneo, famoso ma con poche che lo comprendono, solo. Forse non sono sbagliato io, forse sono solo una stella che deve sbocciare! O forse sono solo uno sfigato di ventiquattro anni che tra qualche anno sarà dimenticato in un McDonald, senza amici e senza soldi.

Sarò io.

La tragedia di Fantozzi + The Xmas Carols: XIV

Buongiorno! Come state?

Oggi torniamo a parlare di cinema, cinema italiano per l’esattezza: vorrei condividere qualche riflessione sul celebre personaggio di Fantozzi! Sono anni che ogni tanto mi guardo la saga di Fantozzi, quando riesco a trovare un suo capitolo alla televisione o come ora su TimVision; tragico e inetto, Fantozzi è un personaggio creato apposta per subire e non riuscire a elevarsi come invece fa sua moglie per colpa del proprio terribile e iracondo carattere.

Fantozzi è un ragioniere sposato con una donna che non ama ma a cui è affezionato, forse perché lei lo tratta sempre con profondo rispetto, preferendo a lei una collega ugualmente cessa ma pure cafona ed egoista; lui e i suoi colleghi lavorano in una grande Ditta, che nel primo film nella primissima scena viene mostrata più come un grande e minaccioso alveare che come un edificio, arrivando a subire diverse umiliazioni e schiavismi pur di tenersi il lavoro.

Così la vita di Fantozzi si divide tra giornate di stremanti giornate lavorative ed umiliante esperienze private tra amici e parenti.

Fantozzi secondo me basa la propria forza narrativa sull’italianità facilissima da scorgere del personaggio unita però alla costruzione di un mondo dove il concetto greco del ‘bello e buono’ è esaltato alla massima forza: qui i ricchi sono belli, potenti e fortunati (quasi divini) mentre i poveri sono imbruttiti e soffrono anche quando di compiere le scelte più caritatevoli o realizzare il loro unico sogno. Se da una parte spesso per i dirigenti e coloro che sembrano vivere una vita agiata sono scelti attori carismatici e affascinanti o direttamente modelli, per la gente normale sono scelti attori poco prestanti o imbruttiti, dove il trucco riesce ad esaltare ogni difetto fisico fino a creare una classe dirigente invidiabile come aspetto fisico e agiatezza e un’altra di inferiori indegni di qualsiasi empatia.

E se da un lato Fantozzi è vittima di (un complesso di) inferiorità verso i suoi aguzzini a lavoro, pure dal lato personale e privato non se la passa meglio; ma questa volta la colpa è unicamente sua.

Fantozzi ha un carattere remissivo verso coloro che reputa superiori ma aggressivo contro coloro che sono gentili con lui, arrivando a picchiare e insultare la figlia e denigrare e tradire la moglie. Fantozzi fin dalla presentazione della propria famiglia nella prima celebre pellicola mette in chiaro come non ami la moglie Pina e preferisca corteggiare la tanto sognata signorina Silvani, arrivando spesso ad accettare gli insulti che l’agognata donna rivolge a lui e alla moglie e spendendo capitali per cercare di soddisfarla. E alla moglie cosa fa? Le si rivolge con sufficienza, maltrattandola quando lei invece lo tratta con gentilezza (perché lei sa benissimo quanto il mondo sia crudele con un inetto come lui); e da uomo insensibile e piccolo qual è della figlia (e poi della nipote) riesce a scorgere solo la bruttezza.

Fantozzi, quindi, è una figura tragica senza possibilità di riscatto perché pur partendo da una situazione svantaggiata non potrà mai elevarsi per mancanza di spirito e iniziativa, preferendo rincorrere piccoli sogni destinati a infrangersi per poi sbollire su coloro che invece lo sopportano e supportano.

E voi? Cosa ne pensate del personaggio? Per me il personaggio più simpatico è la signorina Silvani, mia guida spirituale. E il vostro?

Cambiando argomento, anche oggi continua la collaborazione natalizia tra blog! Oggi è la fondatrice del blog La Corte a partecipare con un bellissimo disegno (credo sia ufficialmente la prima a proporre questo media, tra quelli attivamente in ‘gara’) fatto a tecnica mista: disegno a mano unito al photoshop!

Se volete guardarlo anche voi, questo è il link: LA NUOVA CORTE DEI MIRACOLI.

Ciao! E fatemi sapere cosa ne pensate di Fantozzi e qual è il vostro capitolo della saga preferito.^^