– Psicologo: …ma lei non ha nessun complesso di inferiorità!
– Fantozzi: Davvero?
– Psicologo: Lei È inferiore.
E’ con una citazione presa da Fantozzi alla riscossa che voglio cominciare questo blog personale. Ed è il lavoro grafico per un contest di Halloween ad aprire il post. Perché io, questo complesso di inferiorità, l’ho sempre sofferto fin dalle medie.
Chi mi legge e si ‘confronta’ con me da molto tempo avrà notato spesso l’uso dell’autoironia, strumento esorcizzante con cui cito ogni tanto i miei problemi e il mio vissuto; nulla di eclatante, sia mai, ma questa insicurezza di fondo c’è da anni e da anni cerco di combatterla.
Credo sia tutto cominciato alle medie, quando un bulletto mi prendeva in giro. Scuola nuova, quartiere nuovo, lontano da casa e dalle amicizie, che con il tempo ho perso. Continuava a prendermi in giro, e lui era del posto: i miei compagni di classe erano suoi amici e nel migliore dei casi lo tolleravano. Perfino l’unico mio amico che avevo a scuola, con cui avevo condiviso il percorso dei Lupetti, preferì quel bullo a me.
D’altro canto in quegli anni ho iniziato gli Scout: campeggio, nodi, vita all’aperto, scomodità varie e voglia di vivere. Chi mi conosce, sa che sono un pantofolaio con una memoria e una capacità pratiche pari a zero. Anche se in fin dei conti il primo anno negli Scout è stato il migliore, grazie al mio caposquadriglia, già allora si era delineata la linea di condotta che avrebbe caratterizzato la mia esperienza di quell’associazione: incapace, intimorito, estraniato. Potete capire i complessi quando l’anno seguente tre quarti dei novizi del mio stesso anno erano diventati Vicecapisquadriglia e io no.
Anche perché così si creava la setta: l’alta squadriglia (chi aveva il nome che finiva in -iglia e i più ‘vecchi’ del reparto) facevano riunioni, uscite e campi per conto loro. Anche quando mi fecero entrare nell’alta squadriglia al quarto anno non fui mai completamente accettato.
E quindi, perché non imparo nulla? Perché se mi sforzo non riesco ad imparare un singolo nodo? Perché gli altri non mi fanno dormire nella tenda con loro ma invece mi cacciano in quella dei più piccoli? Mi accetteranno mai? Ho forse sbagliato qualcosa?
Poi ci furono le superiori, altre delusioni di tipo sociale (e non dimentichiamoci che negli Scout -stile campeggio adolescenziale, non Rover- ci sono stato fino ai 16 anni). Tutti uscivano tra di loro, si formavano i gruppetti, io no. Io vedevo gli altri pianificare le uscite, ma al massimo ottenevo la pietà, qualche commento di incoraggiamento dalle ragazze in stile pre-materno e ciaone. Ecco, ho un chiaro ricordo che ero io che scattavo la foto ricordo al gruppetto che mi faceva compagnia alle uscite; non hanno mai voluto una foto con me. Nemmeno hanno voluto trovarci per studiare assieme: ora io studio da solo, la gente attorno mi infastidisce; ma è genetica o abitudine coatta?
Senza dimenticare il lato dello studio. Oltre al fatto che in storia sono sempre stato negato, come in fisica e matematica, se ero giù di morale non studiavo, non avevo nemmeno il sentore della necessità. Ho questo ricordo dell’umiliazione alle interrogazioni: quattro studenti attorno alla cattedra, tutta la classe a scrutarmi mentre balbettavo e mi mettevo a piangere con quella di italiano e latino.
E poi l’università, quando tutti passavano gli esami e si vantavano mentre io ingoiavo il rospo e sorridevo: i miei genitori sanno bene che il primo anno all’università è da buttare. Poi il rendimento è migliorato, durante la pandemia sono riuscito a diminuire lo stacco, ad alzare i voti, a prendere i 30, ad avere la relazione di Falcade accettata al primo colpo, a superare gli esami (di chimica) più ostici e a ricevere i complimenti dal controrelatore per la mia tesina di laurea triennale.
Ma rimanevano sempre le domande scomode.
Perché ancora non ho trovato un gruppo che mi accetti? Perché mi sono laureato con un anno di ritardo, mentre la mia amica d’infanzia finiva la magistrale? Riuscirò a tirare avanti? Perché sono così stupido?
Ormai quando incontro una persona la squadro e noto subito dove è migliore di me: è più bello, è più socievole, è più intelligente, è più preparato, sa far ridere, sorride, riesce a ballare, a lasciarsi andare, beve, è invitato a bere dalle altre persone, fa gruppo, è richiesto, ha una vita eccezionale. Una vita a cui non avrò mai accesso.
Ho questo senso di inferiorità dal quale non mi liberò mai. MAI!
Forse è per questo che ho sempre sognato il cinema, ma non solo per rifugiarmi in narrazioni altrui che non mi rispecchiano. Anche perché c’è sempre questa figura del divo depresso, estraneo, famoso ma con poche che lo comprendono, solo. Forse non sono sbagliato io, forse sono solo una stella che deve sbocciare! O forse sono solo uno sfigato di ventiquattro anni che tra qualche anno sarà dimenticato in un McDonald, senza amici e senza soldi.
Sarò io.