Fiaba originale: La simpatica vecchina dei boschi

In un inverno freddo e innevato molto indietro nel tempo, una ragazza dalle guance tutte rosse e il nasino gelato si era persa di notte nelle grandi foreste di pini e abeti bianchi a nord della sua città, Letitia, e temendo di morire assiderata cercava di riscaldarsi stringendosi sulle spalle la sua mantella scarlatta. La neve però continuava a scendere e già le arrivava fino al calcagno, minacciando di superare lo stivale in pelle di alce e bagnare le calde calze verdi e arancioni: se non avesse trovato un riparo in fretta, non avrebbe di certo superato la nottata! Almeno la dolce luna le indicava il cammino, illuminando il soffice pavimento bianco su cui lei poteva così posare al sicuro i piedi, almeno quando i sinistri e scheletrici pilastri neri non la oscuravano. Infreddolita, con gli occhi arrossati e il naso sempre gocciolante, alla bella Anna dalle trecce ramate quasi non parve vero quando in lontananza vide il rossore del fuoco crepitante dentro a una grande casa nel mezzo della foresta.

Anna corse a bussare entusiasta, con i suoi lunghi respiri intervallati da grandi nubi. Quando vide un’arzilla vecchietta aprirle la porta, Anna non poté non sorridere di lieto sollievo e la ringraziò quando la donna la invitò a restare per la notte, proprio quando ormai i lupi in lontananza stavano iniziando a farsi sentire.

La casa era molto accogliente ma al tempo stesso soffocante, con grandi tappeti e tendaggi pesanti che risparmiavano dal freddo che permeava l’ambiente esterno ma che davano quasi un’idea di claustrofobia. Grande e scura, a illuminare l’ambiente del salotto c’era solo un camino acceso dall’altra parte della stanza nel quale un bel fuocherello crepitava donando il suo calore alla povera Anna che con le sue guance tutte rosse e il pallore della pelle sembrava più morta che viva. In centro al salotto c’erano un tavolino e alcune dure sedie attorno ad esso; su di una sedia si sedette l’anziana signora e sull’altra si sedette la ragazza sotto cortese richiesta dell’ospite.

Quando Anna si fu seduta, l’arzilla vecchina agilmente si rialzò e le tolse gentilmente la mantellina rossa; quindi la appese sull’appendiabiti ricavati da un bel palco di corna posto a fianco della porta, dietro alla ragazza. Soddisfatta, si sedette e sorrise alla ospite.

«Ma dimmi, cosa ci fa una così deliziosa ragazza tutta sola nella foresta?», chiese gentilmente la vecchia.

Anna scosse la testa ritraendosi contro lo schienale della sedia, si portò le mani a coprirsi il viso e pianse.

«Su, non piangere cara. Se non te la senti, ne parleremo più tardi…»

«No, tranquilla, sto bene. È che… Tre giorni fa era penetrato nella foresta il mio promesso sposo per cercare legna da ardere, ma non è più tornato. Sa, ho questa sensazione: penso gli sia capitato qualcosa!»

L’anziana signora le si avvicinò e strinse le proprie grinzose mani attorno a quelle morbide e giovani di Anna, sussurrandole «Tranquilla, sono sicura che il tuo promesso sposo ha solo avuto un contrattempo. Facciamo così, rimani qui almeno per cena in attesa che la nevicata finisca e poi potrai decidere se restare per la notte o tornare a casa tua. So esattamente in che direzione è Letitia, non manca tanto!»; quindi, la vecchia si alzò e si diresse in una sala attigua al salotto, finora invisibile a causa della porta chiusa nella penombra della casa e vi stette per lunghi minuti. Anna sbatté le palpebre pesanti: come aveva fatto a non notarla? Era pure delimitata da due grandi vasi, dai quali usciva una qualche fragranza odorosa molto forte; lavanda forse. Un buon profumo che rasserenava la situazione. Quando tornò dalla giovane, la vecchia sorrideva con un gran sorriso reso minaccioso dalla luce del fuoco, luce che accentuava ogni singola ruga e il lungo naso adunco. «Bene, ho acceso il fuoco, tra poco metterò il pentolone sul fuoco per la cena. Resti per cena, presumo: la neve scende ancora. Nel frattempo, vuoi che ti racconti una fiaba?»

Anna alla domanda della donna si sorprese, ma pensando di non avere nient’altro di meglio da fare acconsentì. Quindi cominciò a giocherellare con le trecce mentre ascoltava la narratrice.

«Tanto tempo fa, in una casupola di contadini viveva il piccolo Nanni con i suoi fratelli e sorelle e i genitori. Nanni era un discolo, un bambino capriccioso e viziato che non ascoltava mai nessuno, combinava solo marachelle e non passava un giorno che non li facesse dannare. Un giorno la mamma era così disperata che invocò l’Uomo Nero, un oscuro figuro nero dalla cima dei capelli fino alle dita dei piedi; perfino i bulbi oculari e i denti e la lingua erano tutti neri. Lo presentò al figlio e gli disse che se non si fosse comportato bene almeno fino a Natale, l’Uomo Nero se lo sarebbe preso e portato via per sempre; Nanni pianse per molte ore quando quel terribile figuro lo guardò leccandosi le labbra perché una sola cosa non era nera dell’Uomo Nero: il sangue fresco che gli colava dalla bocca! Così Nanni fece il bravo bambino e ubbidì ai genitori per molti mesi, ma ai primi fiocchi di neve le cattive abitudini tornarono a governarlo. Non voleva più aiutare la mamma a pulire la casa o il babbo con le mucche; voleva solo giocare con le sorelline e i fratellini, molte volte rompendo i vasi e liberando le galline dal pollaio. Fu due giorni prima di Natale, nella notte, che l’Uomo Nero mantenne la sua promessa: furtivo entrò nella cameretta del bambino, lo chiuse in un grande sacco e se lo portò dentro al proprio castello nel cuore della foresta più fitta e spaventosa. Lì con due enormi aghi gli cavò gli occhi, con una lunga pinza gli strappò la lingua e con un tagliente coltello da macello gli tagliò via dal corpo tutta la carne; tutto ciò accadde mentre Nanni era ancora vivo, almeno all’inizio ovviamente. Così, poi, l’Uomo Nero poté banchettare con le carni del discolo la sera di Natale e poté addobbare il proprio Albero natalizio con il teschio e le ossicine, mentre la calma e l’amore regnava nella famiglia del discolo Nanni, che per magia lo aveva dimenticato. Fine.»

Mentre l’anziana donna concluso il racconto era scoppiata in una sonora risata, la giovane Anna la guardò mortificata; sapeva benissimo che le fiabe avevano una morale e servivano a insegnare ai bambini di comportarsi bene, ma quella era terribile! Quindi per cortesia sorrise brevemente all’anziana ospite e per non pensarci si alzò e si avvicinò al fuoco, per guardarlo crepitare e riscaldarsi bene.

«Senti…», le fece la vecchia mentre si alzava e si dirigeva in cucina, «Ora il fuoco sarà pronto, ci metto sopra il pentolone per far bollire l’acqua. Perché quando torno non mi canti una bella canzone natalizia? Ormai mancano pochi giorni a Natale e visto che nevica ancora potresti allietarci gli spiriti. Che ne dici?»

Anna non ebbe il tempo di rispondere, perché la sua ospite era già sparita dietro alla porta della cucina prontamente richiusa. Invece, curiosò sul ripiano sopra al camino e notò una serie di piccoli oggettini di vario valore: qualche ossicino levigato, uno o due anelli, un coltello da caccia e alcuni borselli in cuoio. Ne stava per aprire uno quando la donna tornò e le chiese di cantare; lei allora si sistemò il vestito di lana verde e scelse una bella canzone che parlava di due innamorati separati:

«Dove vai, dove vai?

Neanche tu ciò lo sai

Dove vai, dove vai,

io ti aspetterò qui per sempre!

Natale è alle porte, i regali sono fatti.

Natale è alle porte, le vivande sono pronte.

Manchi solo tu, manchi solo tu,

Dove sei? Perché non qui con me?

Dove vai, dove vai?

Neanche tu ciò lo sai

Dove vai, dove vai,

io ti aspetterò qui per sempre!

La neve scende già, Natale si farà

Ma che dico mai, senza di te non lo è.

Manchi solo tu, manchi solo tu.

Dove sei? Perché non qui con me!

Dove vai, dove vai?

Neanche tu ciò lo sai

Dove vai, dove vai,

io ti aspetterò qui per sempre!

Io ti manco sì lo so, ma non sei qui però!

Tu mi manchi questo sì, ma perché non sei qui!

Un Natale, senza di te, io ti penso,

Arriva presto per me!

Natale è alle porte, i regali sono fatti.

Natale è alle porte, le vivande sono pronte.

Manchi solo tu, manchi solo tu:

Natale per me sei solo tu!»

Anna aveva cantato dolcemente, con una voce celestiale, perché pensava al suo Alfredo smarrito da giorni nelle foreste e di cui non aveva più sentito notizie. Quando l’anziana donna proruppe in un plauso per l’esibizione, la ragazza prese le balze che contornavano il lembo con il quale il vestito verde finiva e si protrasse in un inchino soddisfatto ma malinconico: le si era nuovamente dipinto il sorriso sul bel volto, anche se gli occhi erano tornati lucidi. Quindi tornò a sedersi e respirò lentamente, per quietarsi.

«Hai una voce stupenda, devi essere molto dolce!», le fece la vecchia offrendole una tazza di tè, che si era portata dalla cucina.

Anna arrossì, bevendo a piccoli sorsi la calda bevanda. «Dovrebbe sentire mia sorella, lei canta nel coro di Letitia. Sembra un angelo! Quindi… Manca molto alla cena? Inizio ad avere un leggero appetito.»

L’anziana sorrise e ribatté che mancava pochissimo, ma che nel frattempo le serviva una mano per portare cinque casse molto pesanti dalla cantina al salotto; «La cantina si trova dopo una scala dalla mia camera da letto. Lo so, chi ha progettato questa casa non doveva essere un gran architetto!», aggiunse ridendo. Anna accettò timidamente e le due scesero a prenderle; ci misero un po’, soprattutto perché le cinque casse erano effettivamente molto pesanti perfino per Anna, una fanciulla nel fiore degli anni. Ma riuscirono a portarle in salotto, dove le voleva la vecchia.

Anna dunque soddisfatta del lavoro si sedette, evidentemente affaticata mentre l’arzilla vecchietta sorrideva sempre più arzilla.

«Wow!», mormorò Anna sentendosi la fronte come per capire se avesse la febbre, «Sono proprio stanca… Mi sta venendo una stanchezza, un sonno, incredibile. Devono essere le casse. Lei, lei non è stanca signora?»

L’anziana donna le si avvicinò e si sedette sulla sedia accanto a quella della ragazza. La stava osservando.

Anna non capiva, quindi si ripeté: «Lei non è stanca, signora? Forse ho la febbre, o forse sono solo stanca, tutto questo calore dopo il gelo della foresta. No?»

La donna ora aveva uno sguardo mortificato, rabbioso, severo. Lentamente si alzò incurvandosi minacciosa verso Anna e le tirò uno schiaffo in pieno volto: «Piccola ingrata. Ti ho salvata, ti ho aperto la porta di casa mia, ti ho riscaldata e perfino intrattenuta. E tu non mi hai nemmeno mai chiesto come mi chiamassi. Una piccola serpe, come tutti gli altri. Una maiala, una scrofa. E da scrofa sarai trattata: bollita nel mio pentolone!»

Anna, che all’inizio non capiva, dal terrore raccolse tutte le forze e spinse via la donna facendola sbattere contro il tavolino. Prontamente si avventò verso la porta principale della casa dalla quale era entrata ma la scoprì chiusa a chiave (quando era stata chiusa?) e vedendo minacciosa la sconosciuta che le si avvicinava, barcollando si diresse verso la cucina. Sempre più stanca e tremante.

Non lo avesse mai fatto.

Quella cucina era il luogo degli orrori della casa! Appese alle pareti su ganci da macellaio stavano gambe umane secche e rigide, sulle mensole lungo il muro a destra si trovavano numerosi strumenti di tortura e cucina intrisi di sangue essiccato, le tendine delle finestre erano in pelle umana mentre sul tavolo c’era un cadavere con le interiora esposte e i polmoni rimossi e il viso scorticato! «Alfredo, no!», urlò Anna riconoscendo i capelli corvini e ricci e la pelle olivastra del proprio promesso sposo. Isterica, si voltò alla propria sinistra e indietreggiò urlando: l’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi fu l’enorme calderone al centro della sala nel quale l’acqua ribolliva minacciando di bagnare l’immenso falò ai piedi di esso; la strega la raggiunse e le sussurrò «Fossi in te morrei ora nel sonno, dicono non sia piacevole essere bolliti vivi!» per poi scoppiare a ridere crudelmente.

Così, a Letitia la giornata di Natale non fu segnata dalle risa gioiose dei bambini che pattinavano sul lago ghiacciato o dai deliziosi profumi uscenti dai salotti addobbati a festa per il cenone in famiglia. No, altre due persone erano scomparse nel fitto bosco e un velo di terrore e malfidenza era calato sulla cittadina. Solo nel bosco innevato sinistre risate risuonavano, mentre un’arzilla vecchina si preparava il proprio Presepe personale, unico nel suo genere: una moltitudine di bambole, bambolotti e bamboline a cui erano stati cuciti i visi strappati ai cadaveri degli sciagurati che erano andati a farle visita; e quell’anno finalmente l’arzilla vecchina aveva pure trovato la Maria perfetta!

Buon Natale, amici miei, state solo attenti alle foreste e alle vecchine ospitali o loro staranno attente a voi! Buon Natale e felice anno nuovo!

10 film ispirati alle fiabe o ai racconti popolari

Come ci spiega mamma Treccani, le fiabe sono racconti fantastici caratterizzati da una trama lunga e complessa. Di origine popolare, le fiabe sono racconti tramandati per via orale, solo negli ultimi secoli raccolti nei libri di narrativa e codificati in un genere ben preciso.

I racconti popolari, invece, rappresentano una narrazione ben più inclusiva: racconti popolari sono tutti quei miti, tutte quelle storielle che vengono narrati nei momenti di comunità. Possono avere numerosi generi, variando dalle credenze di superstizione fino alle paure più ancestrali dell’essere umano come la morte e l’abbandono.

Così, oggi condivido con voi 10 film ispirati a fiabe o a racconti popolari. E no, non tratterò di produzioni blasonate come i cartoni Disney o film fedelissimi all’opera originale: questi sono lavori che riescono a lavorare sull’immaginario del racconto originale fornendo una visione propria.

Buona lettura.

I fratelli Grimm e l’incantevole strega (2005). Iniziamo dagli albori: come sono state create le fiabe? Questo inquietante film narra della fittizia storia dei fratelli Grimm in un mondo fantastico e di come le più grandi fiabe europee, storicamente raccolte dai fratelli Grimm, siano in verità il frutto degli orrori che i due fratelli hanno vissuto in un villaggio per colpa di un’affascinante strega. Realtà che si inchina alla finzione per una narrazione quasi eziologica.

Hansel e Gretel – Cacciatori di streghe (2013). Tutti conoscono la fiaba di Hansel e Gretel, di come i bambini vengano prima sequestrati dalla strega cannibale per poi salvarsi uccidendola con furbizia. Ma poi? Cosa succederà a quei bambini, giustamente traumatizzati a vita? Ma ovviamente diverranno cacciatori di streghe e di altri mostri dell’oscurità, come questa divertente commedia fantasy e splatterosa non teme di mostrarci!

Nightbooks (2021). Tutti amano scrivere e raccontare, no? Tu racconti la tua grande passione, scrivi fan fictions, disegni la figura che ti ha conquistato la mente. Ma… se questa tua passione diviene la tua sola ragione di vita, tu che fai? Ce lo racconta questa simpatica commedia moooolto creepy per pre-adolescenti, dove magia e letteratura si uniscono in un finale che è un sorprendente omaggio a una delle fiabe più celebri della letteratura europea!

Scarpette rosse e i 7 nani (2019). Intelligente film d’animazione Sud Coreano che fonde le fiabe di Scarpette Rosse e Biancaneve nel tema della body-positivity e dell’accettazione reciproca. Con una rilettura moderna della fiaba di Biancaneve e una strega molto più determinata a perseguire lo scopo di una vita piuttosto che vanitosa o crudele, la Biancaneve e i sette nani di questo film ricordano le icone con cui noi tutti li conosciamo solo quando di mezzo c’è la magia: Biancaneve è ricercata dalla matrigna perché mentre scappava le ha rubato un paio di scarpette rosse, che la rendono bella e magra quando le indossa; i sette nani d’altra parta sono sette principi maledetti da una fata per la loro arroganza a essere sette nanetti quando lo sguardo di qualcuno si posa su uno di loro.

Shrek (2001). Cult moderno dell’animazione al computer, Shrek è uno dei casi più famosi di rielaborazione satirica delle fiabe e dei film e dei libri più amati dal pubblico. Già scegliendo come protagonista un orco brutto e cattivo e come co-protagonista un asino parlante possiamo capire come la fedeltà al riferimento letterario sia molto lontana come indirizzo artistico per creare, invece, un percorso di miglioramento originale e moderno. Perché qui la vera domanda è: dobbiamo definire mostro chi nasce mostro o chi sceglie di esserlo?

Biancaneve e il cacciatore (2012). “A gorgeous queen that looks exactly like Charlize Theron is so mentally ill that a mirror tricks her into believing that Kristen Stewart is prettier than her”. Meme a parte, questo film ha il merito di allontanare la fiaba di Biancaneve dal mero tema della bellezza e della giovinezza e di spostarlo sul tema politico: Biancaneve prima di tutto è una principessa e l’erede al Regno tenuta prigioniera dalla matrigna assassina, che dopo un colpo di stato ha ucciso il marito e si è impossessata del regno; ed è questo il vero pericolo che rappresenta Biancaneve! Poi è interessante in generale che le attrici che interpretano la Regina Cattiva nel corso dei film siano sempre più belle o affascinanti delle attrici di Biancaneve, ma quello è un discorso a parte.

In fondo al bosco (2000). Interessante slasher francese che utilizza la fiaba di Cappuccetto Rosso prima come soggetto teatrale per bambini (teatro nel cinema) e poi come maschera per l’assassino di questi attori e attrici giovani e belli. Uno slasher che ricorda molto Suspiria nelle ambientazioni ma caratterizzato invece da un ritmo e sensazioni molto più stranianti e onirici, con un Lupo Cattivo che punisce i ragazzi solo perché sono belli, giovani e pieni di vita. Soprattutto perché nella pellicola si parla di teatro, attori e spettatori, da evidenziare il tema del voyeurismo.

A cinderella Story (2004). Una delle rivisitazioni più originali della fiaba di Cenerentola, stranamente targata Disney, ambientata ai giorni nostri. Qui la protagonista è orfana di padre ed è costretta dalla matrigna a lavorare nel pub di famiglia per pagarsi il college e l’iconico ballo con il principe con annessa la fuga allo scoccare della mezzanotte vengono spiegati con il semplice turno notturno che la matrigna le impone, turno notturno che ovviamente viene schivato dalla protagonista con la complicità dei colleghi! Una trama semplice e lineare con protagonisti due degli attori adolescenti più amati del momento, cast impreziosito inoltre dalla presenza della spassosa Jennifer Coolidge.

Urban Legend (1998). Avevo parlato anche di racconti popolari no? Eccolo qui, il racconto popolare moderno per eccellenza: la leggenda metropolitana. Questo interessante slasher di fine millennio vanta qualche nome importante nel cast (Robert Englund per citare il più famoso, all’epoca) e una serie di uccisioni veramente originali e splatter, almeno se non conoscete le urban legends! Un bel film, con l’interessante dettaglio che non è presente nudo femminile e che l’intera trama è sorretta dalle donne. E sono sicuro che molte ragazze saranno sorprese dal vedere l’affascinante giornalista del college.

Boogeyman – l’Uomo Nero (2005). Quale figura del nostro immaginario si fonde tra fiabe, racconti per dormire, leggende metropolitane, racconti popolari? Ma ovviamente l’Uomo Nero! E questo horror di inizio millennio racconta proprio delle paure ancestrali che prendono vita nelle tenebre con una serie di scene legate al buio e al mostro che il buio nasconde e che si nutre delle nostre paure: perché crescendo non estirpiamo la paura, saremo sempre prede in attesa di un predatore, ma solamente impariamo a conviverci.

E con questo ultimo tocco allegro, si conclude la mia lista di 10 film ispirati alle fiabe o ai racconti popolari. Ce ne sono a migliaia se non a milioni di pellicole del genere, fin dagli albori del cinema. Per me l’esempio perfetto è Biancaneve, che come messa in scena e casting è sempre la mia fiaba preferita su schermo: ne esiste perfino una versione gotica con Sigourney Weaver nel ruolo della Strega Regina! Se questo non è iconico non so cos’altro lo sia.


Quindi vi saluto e me ne vado. Se vi è piaciuta questa mia lista di film tratti dalle fiabe, vi consiglio di leggere le mie due fiabe: La Terra del Caos e Il buon Doriano. Ciao!

Dark Shadows

Dark Shadows è un film fantasy a tinte horror diretto da Tim Burton e ambientato nel 1972; con un cast stellare che vanta nomi del calibro di Johnny Depp, Michelle Pfeiffer ed Eva Green, riesce a narrare con piacevolezza e interesse la lotta ideologica tra un vampiro e una strega nella modernità.

Se dovessi descrivere il film con due parole lo definirei un gotico moderno: infatti, Dark Shadows riesce a portare la mitologia gotica ai giorni nostri e facendo ciò riesce anche a elogiare i traguardi che la modernità e la tecnologia hanno portato con sé. Sono tanti i mostri che vengono citati, anche se ovviamente quelli di maggior spicco sono la Strega e il Vampiro. Interessante che tutti i mostri di Dark Shadows siano legati a una maledizione e che la vera perfezione stia nella natura umana.

A me Dark Shadows piace soprattutto per il cast, che riesce a regalare ottime performances (soprattutto il trio citato all’inizio), le scenografie e tutto il reparto luci e trucco.

Invece, la pellicola soffre terribilmente per la sceneggiatura di Seth Grahame-Smith che è caratterizzata sì dai temi cari a Tim Burton – solitudine, incomprensione, inadeguatezza alle esigenze – ma scivola anche su battute di dubbio gusto e situazioni al limite sorpassato del trash e del volgare, come più o meno tutto l’arco narrativo della dottoressa.

Credo che siano i personaggi femminili a farla da padrone: Eva racconta una donna crudele e cinica, incapace di amare e ossessionata, mentre Michelle offre agli spettatori una donna temprata dalla situazione e che cerca in ogni modo di proteggere la famiglia; si può dire che siano donne antitetiche. E poi c’è Barnabas, interpretato da Johnny Depp, che è ricordabile solo per gli omicidi o le sequenze con altri personaggi, perfino il suo linguaggio dopo un po’ diventa troppo ridondante!

Tim Burton ci regala una nuova fiaba nera che come tematiche mi ha ricordato l’inglese La famiglia omicidi, vecchio di sette anni rispetto a questa pellicola.

Ho notato alcuni errori di regia e luci che sommati a una sceneggiatura che a volte perde acqua allagando il tutto inficiano di molto il buon esito della storia; per fortuna, Dark Shadows è ambientato in un edificio sublime (ma che mi ha ricordato la casa di Haunting-Presenze), i truccatori e costumisti hanno fatto un ottimo lavoro e la desolazione di quell’ambiente martoriato dalle onde e dalla fotografia scura e gelida hanno conferito un’aria sognante e austera a quel mondo triste che piace al regista.

E a voi? E’ piaciuto? Lo reputate una trashata immane o lo salvate?

La Terra del Caos

La Terra del Caos

C’era una volta, nella Terra del Caos, in una valle mortifera insidiata tra le montagne, un regno governato dal Diavolo. In questo regno il caos e l’orrore proliferavano indisturbati, i demoni piagavano le loro vittime con torture e tormenti indicibili e tutto procedeva ferocemente nel buio più assoluto dell’anima. Nessuno dei dannati, perché uomini condannati a soffrire erano, poteva vedere gli angusti paesaggi di quest’ antico regno, ma ai dannati neppure sorgeva nella loro mente annebbiata dal dolore di scappare perché il vento sferzante sporcava i loro occhi -a chi rimanevano ancora- con la sabbia delle dune e i loro orecchi venivano dilaniati dai versi mostruosi delle creature osservatrici! Nessuno poteva vedere nulla, perché il buio inghiottì ogni cosa millenni prima, tranne il Diavolo dal suo abisso; là egli, incastrato a dirigere gli orrori di quel mondo perso ma mai dimenticato, con occhi smorti, vedeva tutto.

L’Invasione Celeste

Un giorno, però, una luce si introdusse prepotentemente nella vallata in cui il Regno del Caos dilaniava le proprie anime tormentate. All’inizio sembrava che le nuvole stessero ribollendo con una serie di pustole e lacerazioni sulla loro densa superficie, ma poi esplosero liberando il sole che come un lama distrusse le tenebre di cui i demoni avevano fatto casa propria. Un’onda di creaturine alate e pure discese dalle nubi rosse e dense evaginate e si frappose tra i demoni e le loro vittime, inondandoli con una luce che i primi non avevano mai visto e i secondi avevano dimenticato. Subito, le creature delle tenebre urlarono dal dolore come se la loro pelle venisse bruciata a fuoco vivo e si ritrassero, lasciando il sollievo nel cuore delle anime tormentate! E se tutto ciò non fosse abbastanza, le creature alate presero il controllo del regno sostenendo che non sarebbe più esistito perché tutti meritavano una seconda chance: catene spezzate, edifici eretti per soccorrere i dilaniati e un nuovo sistema governativo! Il Diavolo, a tale splendido spettacolo, sprofondò dalla vergogna ancora di più nella voragine in cui fino a quel momento si era trovato fin sopra ai lombi.

Il Caos venne sconfitto dall’Ordine e dalle Leggi; il Purgatorio nacque.

Un eroe sorse a combattere

Per fortuna, un eroe riuscì a fuggire prima della catastrofe! Uno dei suoi mille occhi aveva notato in tempo la scia luminosa che forava le nuvole dense e rosse, le sue gambe si erano preparate a correre, il muscolo cardiaco si era arrestato dalla paura; solo quando il baldo giovane era uscito dal deserto che circondava il regno nella Terra del Caos, sudato e morente per via della pancia sballonzolante, il suo cuore del riprese a funzionare… solo per farlo svenire quando notò ciò a cui era appena sfuggito: la distruzione della propria casa e il rintanamento dalle forze nemiche dei suoi simili di tenebra… solo perché quelle creature avevano portato il Leviatano a custodire il Paese invaso! Cosa fare? Dove andare? Come fermare la luce se si è un’ombra? Tante domande affollavano la mente del baldo eroe, ma neanche grattandosi il grande corno che gli nasceva sulla fronte egli poteva trovare risposte. Fu così che scese nelle profondità della terra per cercare il suo Maestro sconfitto e infossato.

La grotta

La strada per la conoscenza lo aveva lasciato in un fiume di sangue dorato; quel sangue sarebbe filtrato oltre il centro della terra e raccoltosi in una miniera sarebbe stato scoperto da qualche uomo e il suo piccone. Trovata in mezzo alle montagne la cava verso le profondità degli orrori della mente umana, l’eroe del Regno decaduto si era inabissato e per arrivare a capire cosa fare, aveva attraversato labirinti di spine, nidi di serpenti e vertigini solcate da ponti esigui. Ma alla fine ce l’aveva fatta: di nuovo nell’oscurità più completa, poté vedere i diamanti di cui il Suo tornace era composto, prezioso scrigno di sapienza e orrori, e fu allora che il Maestro si strappò le budella ed esalò le sue sibille.

La profezia

«L’orrore della purezza non può essere fermato dalla gioia del sangue: qui è la mente che impera e il nostro potere carnale di natura infernale, langue. Tuttavia, il nostro opponente ha lasciato incustodite quattro armi per noi potenti, quattro magie contro lui nocive per i suoi eserciti allora marciscenti. L’acqua mistica devi cercare e al mollusco la devi ghermire; con il fuoco purificatore, di dolore immenso, devi nutrire il nostro spirito volgare; la brezza marina protetta dall’arpia li spazzerà via e le rocce aguzze sui nostri dannati li riporteranno, riconquistato il Regno, alle ragioni per cui sono stati qui mandati! Il Leviatano soccomberà, il Caos tornerà e festeggeremo con arroganza e viltà. Vai orrida creatura, fai che in terra orrorifica torni la sciagura!»

Gli elementi

Proferite queste sibille, il Maestro ritornò al suo silenzio, il silenzio di un re senza più nemmeno la corona; e senza i suoi lumi, la grotta in cui i due si trovavano ripiombò nel cuore di tenebra del monte. E quando il demoniaco eroe si stava per disperare consapevole di non conoscere il proprio futuro e come avrebbe potuto ottenere quelle preziose armi divine, nel buio i diamanti toragici di Satana si illuminarono improvvisamente al fine di mostrare al futuro viaggiatore la strada per riportare ciò che più bramava ottenere: il Regno del Caos, giusto quel giorno salvato dalla carità, nell’oblio dell’anima. Al baldo eroe, allora, non restò altro che abbandonare la propria casa del dolore e avventurarsi verso l’ignoto.

FINE PRIMA PARTE

Un volto segnato

Tanto tempo fa, un viandante viaggiava. Era stato in lungo e in largo per il mondo divino, per cercare elementi che potessero aiutare la sua gente e, dopo anni di peregrinazioni, la sua missione stava svolgendo verso la propria conclusione: finalmente aveva trovato la soluzione alla luce lucente e luminosa che li stava uccidendo. Se all’inizio aveva faticato a camminare per colpa della grande massa sballonzolante addominale e per gli occhi i quali lacrimavano sangue a causa del dolore di osservare le cose, finalmente dalle pene subite il viaggiatore senza patria era dimagrito vistosamente e la lunga coda, di ossa spesse neurali, remava nel mare di spazio che ogni giorno il poveretto doveva attraversare. Ma almeno, parte della missione era finalmente compiuta: ogni volta che poneva la mano lacera sulla sacca abbondante, un nero sorriso viscido e gelatinoso gli compariva sul volto.

Le rocce aguzze

Ora il viandante dai mille occhi si dirigeva verso il Vulcano delle Emozioni, dove l’animo umano ribolliva furente per creare senza discernimento morte e nascita dalle ceneri. Tutto era più chiaro e limpido – dalle nuvole ora bianche e canute al suolo fertile e fecondo – da quando il cielo si era aperto con l’invasione delle creature celesti e la seguente caduta del Regno del Caos; tuttavia, se con proprio dolore il viaggiatore demoniaco poteva osservare dove andare chiaramente, ciononostante il cammino verso l’antro dell’uccello di fuoco richiedeva la scalata di rocce laviche lisce e fragili, poco resistente e con la pessima tendenza allo scivolamento interno: non poteva concludere la vetta del masso prima che questo si staccasse dalla parete e si schiantasse al suolo! Fortunatamente, almeno, per le rocce aguzze era stato molto più semplice: si era recato nella Foresta di pietra e le aveva picconate. Ma qua, doveva raccogliere una delle piume della Fenice, animale sacro al Signore del Cielo e metafora di forza e rinascita, che risiedeva immortale dentro al masso caldo di calore proprio alla base del vulcano, proprio sopra alla camera magmatica. L’unica nota positiva dopo ore di scalata non erano le mani nere di schegge o la gola rovente, ma la pelle trasudante sempre più sudore acre: l’aria sempre più calda e le rocce sempre più roventi e ustionanti indicavano che egli era vicino alla meta!

La Fenice

Il vulcano era alto parecchi chilometri, con un cratere di forma ovale e la struttura in roccia nera, in un tutto il suo spessore, era attraversata da una scalinata spiralata dall’apice fino alla base; alla base la camera magmatica si era solidificata a formare un pavimento di grandi massi neri e ruvidi, pieni di piccoli sassi e pori, formatisi con l’esalazione dei gas da quelle rocce. In mezzo a tutti quei massi neri, un macigno risplendente di luce arancione si stagliava in mezzo alla vista: era quello il nido della Creatura! Al viaggiatore toccò scendere le migliaia di gradini stando bene attento a non fare alcun rumore; quindi, iniziò ad avanzare verso l’uccello di fuoco e, trovatosi alla presenza del grande macigno, posò a terra la sacca che portava sempre al collo. Da lì, ne tirò fuori uno scalpello e un martello e li usò per rompere nel suo punto critico il macigno; inutile dire che da esso razzolò fuori la Fenice che, ancora stordita, non si accorse del furto di una sua piuma dal ladro il quale, ripresi i sensi, ormai era già fuori dal cratere.

La palude

Così, con la piuma di fuoco e le rocce aguzze al sicuro nella borsa, ora il viaggiatore dai mille occhi si apprestava a inseguire la sua terza meta: l’Isola dell’Agonia. Quel luogo di grande mistero e agonia era protetto da una creatura straordinaria, dotata di tentacoli uncinati, zanne e un solido guscio a proteggerne le debolezze. Un terribile guardiano di una grandiosa ricompensa: la possibilità di poter raccogliere una fiala di Acqua Mistica, un fluido dalle proprietà corrosive o curative, fonte di vita o di morte al volere del suo possessore! E così, il baldo giovane, prosciugato ormai delle proprie energie, esplorava terreni fangosi dove le sabbie sembravano volerselo divorare senza pietà… egli doveva pure districarsi in mezzo ai labirinti di scheletri e nebbie, canne e salici, acque stagnanti e pozze nere. Solo quando intravide un isolotto poté riprendere fiato, perché sapeva fin dentro al suo cuore marcio che quell’isolotto era la casa della fonte da lui tanto ricercata e ultimo elemento da reperire oltre alla Brezza Marina.

Il Guardiano

Se da un lato il viaggiatore dai mille occhi era felice di avere trovato la fonte dell’Acqua Mistica, dall’altra il suo cuore sprofondò nella paura che probabilmente i dannati erano soliti provare ogni giorno prima della liberazione celeste: ad attenderlo un mostro gigantesco e affamato era stanziato sulle rive tanto bramate! Era un essere rivoltante, dotato di tentacoli alla cui fine era posizionato un uncino di almeno tre metri, un corpo molle e violaceo e una lunga fila di denti in mezzo ai quali sbucava una terribile lingua dentata; e se tutto ciò non fosse abbastanza, una conchiglia ne proteggeva le viscere mentre due occhi grandi e sviluppati gli consentivano di osservare il mondo che dominava con immensa facilità. Un guardiano temibile, sicuramente un’eguale fonte di prodigi.

L’immersione

Il baldo giovane dal corpo ormai prugneo con i suoi mille occhi bianchi calcolò l’ambiente circostante e non vedendo altra soluzione, si denudò di tutto tranne della sua lama; si immerse. Quelle acque stagnanti sembravano non finire mai di addensarsi, più che nuotare in apnea la sensazione che provava era quella di scavare in un fluido denso e quasi solido; le uniche sensazioni percepibili erano tattili, con quella massa che continuava ad opprimerlo invadente. Era come se qualcosa lo mandasse sul fondo ad ogni bracciata ed il fondo non sembrava il posto migliore: molti scheletri e carcasse animali o antropomorfe galleggiavano toccandolo maliziosamente. Ma se la nuotata era stata terrificante e deprimente, l’emersione fu ancora peggio: ad attenderlo ci furono le fauci del Guardiano, che si aprirono a maciullarne le carni! Nessun uomo sarebbe potuto sfuggire a un tale orrore.

FINE SECONDA PARTE

Due lunghi boccoli biondi

Tanto tempo fa, il Regno del Caos era caduto sotto le gioie dell’armata celeste e una donna dai lunghi boccoli biondi raccolti in due code laterali imperava con amore e giustizia. I deserti le cui sabbie erano solite ferire i lobi oculari erano state rimpiazzate da rigogliose colline verdi brulicanti di piante e tanti ecosistemi diversi, le nubi rosse pregne di sangue evaporato a causa delle altissime temperature erano diventate bianche depurate, come tutto il paesaggio del Regno Decaduto. Ora i dannati soffrivano un tempo e poi lasciavano le lande fiorescenti verso terre a loro ignote; tutto era dovuto a quelle creature di luce che avevano invaso e conquistato l’Inferno, ma nessuno sapeva che qualcosa sarebbe cambiato definitivamente.

Nascosti nelle ombre

Ormai erano passati anni da quando la Terra del Caos era abitata da queste creature capaci di raschiare le turpitudini dell’animo degli uomini e la loro signora si godeva il panorama di esseri dannati, nascosti all’ombra di rientranze rocciose o sotto alle piante: niente e nessuno sembrava potersi opporre alla loro grande magia. Così, come tutti le giornate, era distesa sulle proprie belle ali minie, le mani a sciogliere i lunghi boccoli che le ricadevano sulle sue candide gambe femminee; come tutti i giorni i suoi luccicanti ocelli cerulei guardavano il cielo, dove il suo esercito volava elegante a sorvegliare quel mondo perfetto, mentre il delicato nasino all’insù faceva ombra alle labbra piccole. Quando arrivò il vento che tutto spazza via, l’Inferno parve materializzarsi tutto d’un tratto.

Il lupo

Un ululato aggredì feroce e furente la valletta, sradicando intere zolle di terra, spargendo nel vento centinaia e migliaia di cadaveri senza braccia,senza gambe, senza alcuna appendice che potesse essere strappata con facilità, dritti in cielo; quando il lupo smise di emettere i suoi versi, una pelle scuoiata della propria pelle vedeva i propri batteri alieni privi dei piaceri che avevano portati con sé: edifici crollati, piante strappate al suolo, pozze idriche prosciugate, tutte le riserve spazzate via. Nell’aria, già più secca a causa delle alte temperature e dell’umidità portata via prima che riuscisse a rendere l’ambiente più vivibile, già frammenti di ossa, cortecce e rocce volavano liberi di ferire qualsiasi organismo trovassero. Il Purgatorio era caduto.

Il pianto

E se qualcuno degli esseri angelici fosse ancora rimasto a mantenere la guardia, improvvisamente le nuvole si raggrumarono tutte e, pregne della linfa dei cadaveri, si tinsero di rosso. Il caos tra le file celesti cresceva con il passare dei secondi, gli esseri di luce costretti a camminare con podi insviluppati e muscoli artropizzati: solo il loro luogotentente dai lunghi capelli biondi poté far fronte alla situazione, anche perché dal basso poté notare in tempo quello che lei interpretò il pianto del Signore dei Cieli. Grandi gocce pregne d’un’acqua magica piombarono sull’esercito celeste; ogni tocco di quei granuli era tortura perché scioglievano con estrema facilità le epidermidi arrivando arcigne alle ossa di cui non avevano pietà. E così, di quel corpo scorticato non rimasero nemmeno le carni a causa dei grandiosi solchi che il pianto proveniente dalle nuvole sanguigne lasciò dopo di sé sul terreno ormai privo di suolo.

Il bruciore

L’orrore brutale e repentino dell’Apocalisse in quel luogo, poco prima quasi paradisiaco, aveva lasciato a terra diversi cadaveri angelici; i loro fotoni ormai si disperdevano nell’universo, non avendo più un’anima che li governasse. La donna dai lunghi boccoli d’oro non smetteva di muovere i suoi meravigliosi ocelli da una parte all’altra della valle protetta dalle alte montagne, ma la tempesta aveva decimato i suoi protettori e aveva reso possibile che le ombre uscissero dai loro giacigli ora che il sole stava uscendo per sempre da quel posto; qualcosa doveva avere scatenato la tempesta, ma cosa? Cosa poteva andare contro il volere pulito e giusto del Leviatano? Chi mai poteva sconfiggere o provarci solo, contro una figura tanto mistica e temuta? La fanciulla non sapeva cosa rispondersi, ma ebbe la certezza che qualcuno tramava nell’ombra quando le nuvole mostrarono la sagoma di un enorme uccello rosso di fiamme che abbatté la propria furia sui rimanenti sottoposti celesti sopravvissuti. I lunghi boccoli dorati si muovevano al vento perfettamente intatti, ma, a parte le anime dannate, era sola.

Il ritorno

Improvvisamente, in mezzo al fumo del terreno ancora ardente, una viaggiatore delineò la propria figura.

FINE DELLA TERZA PARTE

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Una lama emanava una luce propria nei riflessi rossi lampeggianti delle nuvole sopra ai due contendenti; era stata sfoderata una volta che la donna dai lunghi boccoli biondi aveva sceso l’altura su cui la sua villa fino a qualche momento si trovava intatta. Dall’altra parte, in mezzo ai fumi neri della terra ancora fumante, il viaggiatore restava immobile a osservare l’infida creatura che gli si parava di fronte.

Gli ocelli cerulei si mossero impercettibilmente mentre si avvicinavano nei fumi alla sorgente del suono. Si era scurito dal loro ultimo incontro, non riusciva più a scorgerlo; era dimagrito dalla loro ultima apparizione insieme, si poteva nascondere facilmente; la sua voce era più acuta ma anche molto più controllata: era una minaccia che doveva essere fermata prima che potesse reclamare qualcosa che i suoi simili, trovata in lui la forza di osare, non avrebbero tardato a reclamare anche loro. E lei era sola.

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Un fendente illuminò di giallo citrino, ma solo l’aria venne tagliata a pezzi. Allora la giovane donna si chinò leggermente sulle ginocchia e portò la lama sulla spalla destra; era pronta a scattare nuovamente ma aveva un problema in tutto quel fumo: non vedeva nulla.

La giovane donna allora si fermò ad ascoltare, chiudendo gli occhi. Non sentiva passi, erano soli, non sentiva il suolo vibrare al passaggio nel fumo del nemico; poteva percepire un battito, però. Ali enormi. Sopra di lei. Quando alzò la testa, dove il fumo era rado, il demone si era levato in volo. Lo vide aprire il sacco e cacciò un urlo.

E un’ultima pioggia si abbatté sulla valletta che per anni era fiorita con ogni gemma immaginabile nata dai resti dei dannati squartati e appesi agli alberi annodati tra loro. E un’ultima pioggia videro le ombre dai loro giacigli che, oscurato dopo anni il sole, poterono uscire e unirsi in libertà senza essere viste alle e nelle tenebre. E un’ultima pioggia di rocce aguzze dilaniò in mezzo ai fumi il grandioso Leviatano dai lunghi capelli d’oro come la luce della speranza e dell’intelligenza, mentre da una nuova voragine al centro della valletta Satana si issava nuovamente nella sua chilometrica figura.

L’Inferno era tornato.

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