Challenge di Febbraio: Le maschere

«Eco qua, queo che gave’ ordina’, bei fioi. Un cafe’ par ti, dotor dea peste, e na ciocoeata calda par sto’ bel Arlechin. Steme ben!»

Maso sedeva agitato mentre osservava il ragazzo con cui si era dato appuntamento quel pomeriggio, un giorno come tanti per loro almeno all’apparenza, ma un giorno speciale nel profondo. Era a disagio mentre osservava le donne ingobbite nei loro foulard vendere rose rosse alle coppiette felici che li circondavano nei tavoli vicini. Era a disagio mentre le fanciulle esaltate dai gesti dei compagni aprivano pacchi piccoli o grandi, manifestazioni dell’animo innamorato. Maso osservava la camicia nera al tavolo al loro fianco che offriva un mazzo di ortensie alla sua bella, in un sorriso orgoglioso. Maso osservava tutto, in silenzio, dal volo dei piccioni sulla piazza alla Cattedrale che si stagliava sul mare, perfino il verso dei gabbiani e il vento impetuoso dalla laguna erano rifugi sicuri. Maso non osava guardare Gùsto in volto, ma Gùsto non aveva occhi che per Maso.

Gùsto sedeva eretto, attento a mostrare in tutta la loro maestosità quelle due spalle larghe che tanto si era guadagnato con il suo lavoro di gondoliere. Il corpo era completamente piastrellato di arcobaleni, il volto semicoperto da una maschera nera e in testa un tricorno bianco. Ma era là, con lui, in quel giorno tanto infelice per loro. Lentamente gustava il liquido caldo e denso, tingeva i baffi biondi di bruno, gli occhi neri non si spostavano di un centimetro dalla maschera dorata e adunca del suo conviviale.

Maso gli chiese se volesse assaggiare un cioccolatino da Perugia, dal nome Liù. All’assenso dell’Arlecchino, sorrise debolmente e dalle tasche estrasse un piccolo cubetto confezionato in rosa. Lo offrì. Gùsto allungò la mano, e mentre lentamente estraeva il cioccolatino dalle dita dell’offerente, con il pollice accarezzò il polso e mentre si allontanava le dita della mano; finalmente Gùsto scartò il velo di carta rosa e violetta, ne venne fuori un piccolo parallelepipedo dal color marroncino chiaro che gustò sotto lo sguardo incantato del dottore della peste.
Ora fu l’Arlecchino a chiedere se potesse offrire qualcosa: un sorso della cioccolata calda. All’assenso del dottore dorato, il gondoliere allungò lentamente la tazza e la porse. Maso l’accolse nelle due mani e se la portò alle labbra. Sulla tazzina bianca c’era un segno marrone dal quale il liquido aveva incontrato le labbra dell’Arlecchino e fu lì che beve, guardandolo negli occhi neri, e fu sempre da lì che l’Arlecchino bevve.

Restarono seduti ancora qualche momento, fino a quando la cameriera non ricomparve: «Fioi, voe’ calcossa in piu’? Na fritoea coea crema, forse?»

Dissero di no, Maso si alzò e andò dentro al bar per pagare. Gli interni erano spettacolari, i muri e i pavimenti d’Istria erano ricoperti con pregiati tappeti persiani, sui muri erano appesi numerosi specchi e nella grande sala imperavano due magnificenti candelabri verdi e rossi e bianchi di vetro pregiato. Maso si osservò allo specchio: un bel ragazzo, si poteva dire, non alto e nemmeno magro ma con due spettacolari occhi cangianti, occhi ora semicoperti dalla maschera. Era là, ma stava veramente vivendo il momento?

«Quanto era bello Scipione sul suo cavallo bianco! Egli fissava i romani con due occhi aperti e la bocca sorridente, ma con gesto forte e animatore e pareva che dicesse “Dobbiamo vincere ad ogni costo!”. Proprio come fa oggi il nostro amato Duce, quando parla ai nostri valorosi soldati. Però il Duce è più bravo e ancora più bello di Scipione!»

Fu il discorso della bambina dalla radio sul bancone a scuotere il rimuginatore dai propri pensieri: lui era là, stava vivendo quell’ora di magica luce con Gùsto e nulla avrebbe potuto rovinarla! Quindi, staccò gli occhi dallo specchio e posò lo sguardò oltre alla vetrina, oltre alla coppia di anziani impegnati a gustare insieme una mozzarella in carrozza, sull’Arlecchino. Ora che Maso non era più al tavolo con lui, Gùsto si era stravaccato sulla sedia, facendo scendere il sedere quasi oltre la fine di essa e appoggiando il capo sullo schienale. Maso sorrise: era così che lo aveva conosciuto due estati prima, alla spiaggia di Punta Sabbioni. Stravaccato e indolente.

Sorridente, si rivolse al barista. Chiese il conto e pagò.

«Grazie, e tornate presto! Ma scusa, non è un po’ presto per le maschere? Oggi è il giorno degli innamorati, non Carnevale!», commentò il barista con un sorriso sornione.
«Mai. Noi, al contrario di molti, le maschere non possiamo mai toglierle. Arrivederci.» e tornò dal compagno.

Insieme Gùsto e Maso girovagarono un po’ per la piazza, osservando e commentando i turisti con i loro inutili libretti e le mille mappe con cui in teoria avrebbero dovuto essere in grado di attraversare Venezia.

Gùsto, con il suo lavoro, sapeva benissimo che in verità quelle cartine per i turisti ingenui erano inutili. Non che Maso, pur in terra straniera, non lo sapesse: non era raro che uscito a prendere il pane notasse una coppia di turisti dall’accento pesante e dalle vocali larghe, ci si fermasse a dar loro indicazioni per la stazione dei treni e quando tornava con la spesa e un po’ d’ombra in stomaco li trovasse a pochi metri di distanza dalla volta precedente, solo in una nuova calle.

Sorrisero insieme.

Stanchi di San Marco, i due costeggiarono il mare e si diressero verso un ponticello tutto bianco. Di solito era invaso dai turisti, ma in quel momento non c’era nessuno. Quindi salirono al vertice delle scalinate e si appoggiarono al parapetto, anch’esso di pietra bianca. La vista ovviamente era il Ponte dei Sospiri. I turisti lo adoravano, loro invece lo osservavano come monito: se fossero stati tranquilli, non sarebbe successo nulla; o almeno così speravano.

«Buon San Valentino…», bisbigliò Arlecchino.

«A te.», rispose il dottore.

E le mani, per una frazione di secondo, si sfiorarono. Una lacrima scese sotto alla maschera adunca e dorata.

Fu una giornata stancante, il mondo celebrava l’amore e l’unione, ma loro preferivano stare tranquilli. Erano persone normali, non volevano andare contro la legge. Non apertamente almeno. Si limitarono a godere l’uno della compagnia dell’altro. Camminarono avanti e indietro, parlarono molto, del tempo, del Duce, dell’imminente guerra, dei gabbiani, dei turisti. Ma non di se stessi. Quello lo fecero quando entrarono in un portone, salirono strettissime scale e Gùsto fece girare la chiave d’ottone nella serratura del proprio appartamento. Una casa piccola e stretta, eretta in un palazzetto a meno di due metri dal palazzo che gli si stagliava di fronte. Una casa piccola, ma almeno i due poterono togliersi le maschere.

Si abbracciarono.

Quella che avete appena letto è una storiella scritta per la Challenge di Febbraio di Raynor’s Hall, che aveva come temi il Carnevale e le cose proibite. Spero abbiate apprezzato. Ciao!

VISIONI SENTIERI SELVAGGI: Chiamami col tuo nome

Consigliato dal mio prof di mestieri nel cinema, Chiamami col tuo nome fa parte della sua lista di film da guardare assolutamente; uno dei pochi recenti, a dire il vero.

Chiamami col tuo nome è un bel film, solo un po’ lungo, e potremmo riassumerlo con l’andamento ormonale dell’estate di Elio.
In pratica, la prima parte è tutta basata sul raccordo di sguardo e semi-soggettive, mentre la seconda allarga la visuale alternando campi più lunghi a figure intere; potremmo dire che la cinepresa adora posarsi su Timothée Chalamet alias Elio, ma il personaggio di cui Elio è invaghito è Oliver e quindi ci sono un sacco di particolari sull’attore Armie Hammer alias Oliver.

And everybody’s watchin’ her But she’s lookin’ at you, ooh, ooh“, citando Rihanna.

Il film si dipana in tre atti, con la realizzazione carnale e non più platonica solo nell’ultimo, ironicamente. Un bel film. Ecco, schifo forte per la scena della pesca, poi io sono estremamente schizzinoso!
A livello visivo invece la cinepresa valorizza la bellezza maschile, sembra quasi di vedere le statue dei titoli di testa. Meglio Guadagnino che Schumacher, rimanendo in tema di come la cinepresa accarezza il corpo maschile, eh! Ma alla fine a parte qualche primo piano di chiappe, è più potente il fuoricampo: il sesso etero viene quasi reso imbarazzante dalla messa in scena, mentre quello tra i due è caricato di molta aspettativa ed espressività recitativa.

Personalmente ho visto abbastanza film del regista e posso notare alcune costanti: la natura preponderante, quasi bucolica; l’amore per il tempo passato; il gioco di sguardi; l’eleganza nella messa in scena; l’importanza della musica; la preferenza verso la bellezza maschile, con il nudo femminile presente ma mai oggettivato; l’amore e la passione come qualcosa di doloroso.

Schitt’s Creek: quando i ricchissimi diventano poveri

Buongiorno! Oggi torno a parlare di serie televisive con Schitt’s Creek, una delle sitcom canadesi recenti più premiate degli ultimi tempi! Parla di una famiglia di divi che cade in disgrazia e si rifugia a Schitt’s Creek, un paesino dimenticato da Dio in Canada nel quale iniziano a gestire un motel.

Da sinistra: Johnny Rose, Moira Rose, David Rose, Patrick, Stevie, Alexis Rose

Per chi ama il cinema americano e quello canadese, la serie presenta alcune ricchezze: il cast è interamente canadese; è stata ideata, scritta e recitata da Eugene Levy (il papà in American Pie) insieme al figlio Dan Levy; come coprotagonista c’è Catherine O’Hara, che potreste aver visto in cosucce come Mamma, ho perso l’aereo e Beetlejuice.

Nell’arco di sei splendide e spiritose stagioni, la trama ruota attorno ai 4 componenti della famiglia:
– Johnny Rose, un imprenditore che cerca di risollevarsi cogestendo il motel, con Roland e Stevie;
– Moira Rose, un’ex attrice televisiva e teatrale che pian piano si integra nella vita della località;
– David Rose, il figlio pansessuale e futuro gestore di un emporio che offre i prodotti tipici del luogo;
– Alexis Rose, la bella figlia che dopo aver ripreso gli studi inizia una carriera nella pubblicità e nel management.

Oltre ai quattro componenti della famiglia nel cast principale ci sono pure Emily Hampshire nel ruolo di Stevie e Chris Elliott, che interpreta il socio, al motel di Johnny, Roland Schitt. Dalla terza stagione viene introdotto anche il personaggio di Patrick, interpretato da Noah Reid.

Schitt’s Creek è una piccola perla. L’ho adorata: era il mio appuntamento il martedì notte dopo il mio turno di lavoro!

Ho iniziato a guardarla dalla seconda stagione, a pezzi e quando capitava, ma è dalla terza stagione che ho provato un forte interesse quando viene introdotto il personaggio di Patrick e shippavo tantissimo lui e David. E spoiler, la foto che ho scelto ritrae il cast nell’ultimo episodio, quando giravano il loro matrimonio!
Infatti, Schitt’s Creek è una sitcom esplicitamente queer, dove la storia d’amore tra David e Patrick è volutamente normalizzata senza alcun accenno di omofobia nel villaggio: i Levy hanno voluto regalare una serie che possa mostrare una romance senza ostacoli e drammi nel mezzo, coronata da una serie di battute.

Quindi, le tematiche sono:
– la caduta dalla ricchezza alla povertà, con la costruzione di nuove abitudini e legami affettivi e sociali;
– la comunità queer;
– tutto il gossip e il dietro le quinte del cinema, della televisione e del teatro;
la ricerca dell’amore e della propria identità;
– tante risate, anche interne alla trama.

Come avrete capito, io ho adorato la serie, mi faceva sognare e martedì scorso quando è andata in onda l’ultima replica mi si è spezzato il cuore. Dovevo parlarne sul blog!

Comunque, Schitt’s Creek non si concentra su un solo personaggio ma dà spazio a tutti: vediamo i drammi esagerati di Moira alla povertà e come il marito cerca di rincuorarla mentre manda avanti il motel, il percorso di maturazione dei figli.
Anzi, il personaggio meglio caratterizzato è Moira Rose, incarnata da una Catherine O’Hara in splendida forma. Mi è dispiaciuto aver guardato la serie in italiano perché in originale era l’attrice stessa a modificare il proprio copione utilizzando un antico linguaggio anglo-canadese; non mi sorprende che abbia catalizzato la quasi totalità dei premi: lei è elegante, iperbolica, una diva delle soap che prima si deve adattare e poi con il proprio narcisismo si butta a capofitto nella vita sociale e artistica del villaggio. Da adorare.

Gli episodi, inoltre, sono molto corti e con un ottimo ritmo. Riescono a mostrare la progressione delle loro vite alternando tutto ciò con grandi dosi di umorismo sempre ilare e graffiante. E la storia procede bene, con continui paragoni tra il lusso della bella vita e la ruralità della località.
Alexis, poi, nei dialoghi continua a citare le feste e le celebrità che era solita incontrare in quanto ereditiera mentre i genitori confrontano spesso la loro realtà attuale agli sfarzi del passato. Solo David apprezza la nuova vita: trova la scopamica Stevie, che diventa poi la sua migliore amica, apre il suo emporio e conosce Patrick. A fine serie, sarà David l’unico a rimanere a Schitt’s Creek col marito e l’amica.

La theme song è molto ritmata con dei tamburi tipo da orchestra militare (quelli piccolini da suonare con le bacchette, per capirci) e pur essendo molto carina mi ha sempre ricordato una cosa militare per l’appunto; la colonna sonora generale invece è molto pop e varia diventando funzione narrativa della scena.

I costumi, il trucco e gli ambienti invece rispecchiano perfettamente i personaggi e la loro astrazione sociale: se perlopiù le scenografie sono semplici perché rispecchiano i gusti di un quartiere canadese immerso nella campagna, i costumi sono caratteristici e descrivono perfettamente i personaggi che li indossano.
Moira, David e Alexis in particolare sono caratterizzati da un vestiario specifico: Moira è la diva che indossa sempre parrucche, trucco pesante e abiti appariscenti e d’alta moda; David è fissato con i maglioni e gli abiti scuri; Alexis è la modaiola che veste sempre sexy e tiene al suo look.
E fanno contrasto con i look più semplici degli abitanti di Schitt’s Creek.

Schitt’s Creek quindi è una perla della televisione canadese che vorrei recuperare guardandola non più dalle 11 all’1:30 di notte ma in prima serata con calma e freschezza; in inglese sub inglese, se possibile.
Una serie fresca, pop, con numerose citazioni e tanti giochi di parole, mai oscena e con tante buone intenzioni che vengono sempre portate avanti con successo grazie a una scrittura intelligente e un cast di primordine. Consigliatissima!

The Xmas Carols: Fantascienza a Natale

Buongiorno, un saluto tutto di fretta; ho guadagnato tempo grazie a un’imbecille in camice, se volete approfondisco nei commenti. Anche oggi, a una settimana da Natale esatta, abbiamo un nuovo contributo: Tricoli Sara ci racconta una storia di fantascienza ambientata a Natale!

LINK: Festa di Natale

Questa storia è molto interessante e rientra sia nel dramma sia nella fantascienza per un particolare della cerchia socio-sentimentale del mondo che disegna; una fantascienza già vista ma che colpisce sempre, originale nel contesto scelto per la collaborazione.^^

Non posso dire molto perché la potenza del racconto si basa proprio su questo concetto che non posso spoilerare, quindi mi limito ad autoreferenziarmi con un piccolo link a una mia lista di film, che potrebbe darvi un’idea alla lontanissima di cosa stiamo parlando.

Link interessante: 10 Queer Movies

Bye e andate a leggere il racconto. Ciaoo!

The Xmas Carols: Il buon Doriano

Tanto tempo, in una terra lontana lontana, in un giorno soleggiato nasceva dentro a una casupola di pastori il piccolo Doriano, chiamato così perché il buon Dio nel momento della sua nascita aveva mandato gli angeli a disegnare un arcobaleno nel cielo azzurro. Così, Doriano crebbe forte e sano e più cresceva e più mostrava quante virtù avesse in corpo e in mente: folti capelli neri come il più duro zoccolo di capriolo, due occhioni verdi come il pino più rigoglioso e un sorriso splendente come la cima più innevata colpita dal sole impreziosivano un animo gentile e laborioso, che mai si tirò indietro dall’aiutare i genitori con il gregge. Già, povero di nascita ma ricco di spirito il ragazzo era una gioia per i suoi genitori e giorno dopo giorno riusciva a trovare un nuovo modo per allietar loro le tristi giornate di lavoro, aiutandoli e facendoli sorridere. Tanto Doriano lavorava come pastore che ormai tutti i giorni da quando aveva sedici anni si svegliava all’alba per portare le sue greggi sulla più splendida e rigogliosa altura cosicché esse si potessero rinvigorire e produrre la lana più soffice e resistente, mai vista altrove nella contea; e se una di loro si faceva male, il buon Doriano senza pensieri se la metteva sulle spalle per permetterle di muoversi e sopravvivere in agiatezza e senza ulteriori malanni. E quando il buon pastorello stava fuori con il suo gregge, mai una goccia di pioggia o una raffica di vento o un fulmine avevano neppure provato a sfiorarne la sua bella figura, nemmeno un tronco caduto, un terreno poco agevole o una fiera feroce: chiunque nella natura apprezzava quel dono che il buon Dio aveva elargito alla povera famiglia di pastori.

Un giorno, però, tra le alte alture presso cui il buon Doriano portava a pascolare con amore e dedizione il suo gregge apparve un giovane principe al trotto del suo stallone bianco. Quando i due si videro, si incontrarono e dalle prime parole che si scambiarono entrambi capirono che avevano trovato l’anima gemella. Così, segretamente, ogni settimana per parecchi mesi il principe cavalcava fino a quelle montagne in sella al suo destriero per rivedere quel Doriano che tanto amava per passare insieme la giornata, sempre cullati dalla più piacevole brezza glaciale.

Tuttavia, un giorno il principe non andò più a trovare il buon Doriano e lui, sconvolto dalla solitudine, pianse senza smettere mai: piangeva quando si svegliava, piangeva quando usciva con le greggi e piangeva quando tornava. I suoi genitori, che non sapevano nulla del principe, lo guardavano con il cuore in frantumi e anche il resto del mondo sembrava che lo compatisse, con una sfumatura di grigia tristezza che lo avvolse nel silenzio. Fu solo quando un’aquila lo raggiunse presso le rigogliose alture dove il buon Doriano stava con il suo gregge che egli poté riacquisire il suo sorriso e così sollevato proruppe in una risata più simile al suono di una cascata cristallina che ad una risata prodotta da un uomo. L’aquila all’orecchio gli aveva sussurrato:

Su non piangere mio buon Doriano,

il principe non ti ha dimenticato

ma il re lo costringe a palazzo per vederlo presto sposato.

Vai a corte, mio buon Doriano,

e in nome del vostro amore reclama la sua mano.

Il buon Doriano rincuorato da tali parole aspettò che venne sera per riportare a casa al sicuro le sue pecorelle e poi, avvisati i genitori, partì per la grande corte del suo principe. Lungo di notte fu il viaggio e stanche le sue membra divennero quando perfino la luna andò a dormire, così, il buon Doriano trovò una piccola casupola abbandonata e ivi si abbandonò al più profondo dei sonni. Ma mentre era addormentato una compagnia di loschi figuri comparve proprio in quella casetta e vedendo un povero pastore addormentato ne ebbero compassione e lo lasciarono in pace partendosene nella notte. Ma mentre era addormentato una dama dalle vesti canute e un velo celeste sul capo entrò in quella casetta e vedendo un così caro ragazzo esausto nel cuore e nella mente, ne ebbe compassione e gli infilò all’anulare un anello d’oro che avrebbe esaudito un suo desiderio e se ne andò. Ma mentre era addormentato un lupo dalle possenti zampe e dalle larghe fauci entrò in quella casetta e vedendo un ragazzo tanto buono e sereno, si addormentò rannicchiato ai suoi piedi.

Il giorno dopo, il buon Doriano aprì gli occhi e notò come prima cosa la belva feroce che dormiva ai suoi piedi. Senza scadere nel terrore, riuscendo a scorgere l’opera del santo Padre perfino in quelle enormi fauci sporche di sangue, lentamente aprì il fagottino che si portava dietro e donò alla creatura l’unico pasto che i suoi poveri genitori avevano potuto offrirgli per il viaggio. La fiera feroce mangiò tutto con grande soddisfazione e poi si lasciò pure accarezzare, per poi sparire nel bosco. Il buon Doriano rimasto solo riprese il cammino e finalmente entro sera arrivò alla corte del suo amato principe il quale, finalmente ritrovato il suo amore, non poté contenere di fronte al re suo padre e a tutti i cortigiani la contentezza di rivederlo e di amarlo. Il re, davanti a tale visione si arrabbiò moltissimo e minacciò il buon Doriano di impiccarlo per l’oltraggio ricevuto e, quando in risposta il pastorello gli disse che voleva sposare il figlio e che il figlio voleva sposare lui, le minacce si fecero quasi concrete; fu solo la compassione per un animo tanto gentile e una presenza così virtuosa che gli fece cambiare idea. Quindi, lo mandò a dormire nelle gattabuie, dove però il principe non gli fece mancare il pasto e un pagliericcio per dormire meglio dopo il lungo viaggio. Il mattino seguente, il re convocò i due amanti e fece un proclama: avrebbe concesso di sposare il figlio, ritroso di natura al matrimonio, a chiunque che fosse uomo o donna gli avesse portato il seme dell’albero della vita; sennò il principe sarebbe diventato re celibe per la vita.

Il buon Doriano, per niente scoraggiato da tali parole, partì subito alla ricerca del seme dell’albero della vita, anche se il suo principe lo supplicò in ginocchio di non cercare un oggetto che probabilmente nemmeno esisteva. Ma il pastorello partì.

Camminò per numerosi mesi, dai ghiacci delle foreste innevate fino ai miraggi delle dune del deserto, si fece marinaio per cercare nell’oceano e scavò nelle miniere delle montagne che tanto aveva amato sperando di trovare una grotta nascosta. Ma fu tutto invano, anche se il mondo cercava di aiutarlo fornendogli cibo e conforto, nessuno poteva indicargli la posizione di quell’albero tanto misterioso. Così, il buon Doriano dovette tornare a palazzo e dare la triste notizia al suo principe. Il principe sconsolato gli propose di restare alla corte come amico e consigliere ma il buon pastorello gli rispose che lui teneva una famiglia che amava un gregge da accudire e che era quello il suo posto. Si abbracciarono e il buon Doriano si apprestò a lasciare la corte, a tornare a casa.

Tuttavia, proprio quando stava per lasciare le ultime gradinate per uscire dal palazzo, una fiera feroce e veloce lo raggiunse tra le urla e i gemiti delle persone presenti: se il buon Doriano riusciva a vedere in chiunque la maestosità del Padre, gli altri notavano solo un animale feroce, una bestia, che era riuscita a penetrare nella corte per le sue malefatte! Ma il pastorello riconobbe nella bestia il lupo che aveva accudito, patendo la fame per lui, e senza timore si chinò   accarezzarlo. Il lupo, allora spalancò le sue fauci e gli pose sulla mano un piccolo seme che fino a quel momento aveva tenuto al sicuro sulla propria lunga lingua e disse:

Mio buon Doriano, mio buon amico,

dopo che tu mi salvasti io sono scappato

ma quando tu partisti per la tua ricerca un messaggio mi è giunto.

Subito corsi dove l’uomo non può arrivare,

Ho trovato il seme dell’albero della vita. Eccolo qui, mio buon Doriano,

 fanne buon uso ora che lo tieni in mano.

E così, con i primi fiocchi di neve che scendevano dal cielo, il buon Doriano consegnò il seme dell’albero della vita al re che con fastidio e sdegno si ritrasse al tocco; ma acconsentì alle nozze. Così, il giorno di Natale meravigliose nozze si celebrarono in quella corte e se la felicità dei due e della famiglia di pastori riempiva il mondo intero fino ad arrivare al buon Dio, il cuore del re era ancora freddo. Fu solo quando il buon Doriano desiderò che anche il re trovasse la felicità per sé e il figlio che la gioia proruppe in quel vecchio arido cuore! Così, tutti insieme vissero felici e contenti, sotto alle mirabili fronde dell’albero della vita che con il passare degli anni divenne una delle meraviglie concesse all’uomo grazie all’amore di un povero pastorello.

Fine.

10 Queer Movies

Buongiorno, oggi mancano tre giorni all’ipotetico esame di Microbiologia; ipotetico perché la mia università potrebbe fare <<Non c’è due senza tre!>> ed essere chiusa pure la settimana dell’11. Quindi, parlando di sicurezza e di cose certe, buona Festa delle donne, my miladies!

Nelle incertezze che questo bellissimo Coronavirus ci lascia, oggi voglio condividere una lista da me molto sentita; molte volte se vedo un film che presenta personaggi gay, lesbo o generalmente queer che sento portati male mi offendo nel profondo e quindi la lista sarà più vicina alle mie Top di inizio mese che a una normale lista perché voglio esprimere cosa mi ha colpito di questi film!

PS: ovviamente ci sono spoiler sui film, alcuni sono inevitabili.

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Brokeback Mountain, uno dei film più romantici e tristi

  • 3 Generations. Nonna lesbica, madre etero e figlia trans; senza veli ci racconta il processo di maturazione della protagonista che fin da piccola s’è sentita nel corpo sbagliato: lei non è una ragazza ma un ragazzo! Interessante è il fatto che la nonna femminista veda fino alla fine la scelta della nipote come maschilista perché disprezza il suo corpo femminile mentre la madre, che lo tratta come lui vuole, deve invece convincere il padre a firmare per l’operazione. Molto bello, molto commovente.
  • Brokeback Mountain. La storia d’amore gay per eccellenza nei tempi in cui era meglio non esserlo e dramma capace di aprirti una diga all’altezza degli occhi. Il film completo devo averlo visto una volta sola-preferisco fermarmi alla loro prima notte di sesso per motivi legati alle lacrime-, ma è una cosa assurda il livello di empatia che la storia mi trasmette, il loro innamoramento è veramente struggente e forse anche trasmesso dalle necessità (uno se sta bene dopo mezzo anno vorrebbe anche scopa’ LOL) ma è bello come il loro legame tornati nelle loro vite non si dissolva come invece succede in film come Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’Agosto.
  • Queer as Folk. Ok, non è un film ma una serie televisiva; ok, ci sono più scene sexy che dialoghi; ma è bello e la storia d’amore tra i due protagonisti è tenera. In pratica, parla di un ragazzino che va in un pub gay e viene abbordato dallo stallone di turno; la cosa interessante è che con il tempo il ragazzino si dimostra più scafato di quanto non sembrasse, riuscendo a non essere l’avventura di una notte, ma invece inizia a far riflettere lo stallone su varie importanti questioni (come cedere o meno la paternità su un bambino) e ad avere una relazione aperta con lui; lo stallone, dalla sua parte, lo inizia alla vera comunità queer, lo aiuta contro l’omofobia e lo fa crescere. Di questa serie purtroppo sono riuscito a vedere solo la prima stagione ma è veramente bellissima, adoro Gale Harold e come porta sullo schermo il suo disinibitissimo Brian Kinney.
  • The Rocky Horror Picture Show. Prometto che prossimamente vedrete il mio commento su questo CAPOLAVORO e quindi non mi dilungo come con gli altri film; devo solo rivederlo al PC con le cuffie per prendere una seconda ondata di note e ad aprile ve lo commento. Il film è un’iniziazione al sesso per i protagonisti da parte degli alieni dal pianeta Bisesso; è bello che il travestito non sia necessariamente gay (va a letto pure con Jane) ma apprezzi tutto il sesso senza distinzioni interpretando quindi il maestro che la coppia necessita per rendere il loro futuro matrimonio un successo. Intenso, selvaggio, esilarante e ribelle, è sicuramente un film da vedere per togliersi qualche pregiudizio.
  • Fuga dalla Casa Bianca. In questa commedia leggera leggera in cui due ex presidenti americani devono fermare un complotto, c’è un dettaglio che mi è piaciuto parecchio: durante la fuga, finiscono in un Gay Pride e dei travestiti li aiutano fraternizzando con loro; inutile dire che uno dei soldati della Casa Bianca che avrebbe dovuto ucciderli durante la loro fuga a fine film li riconosce come i veri ex presidenti americani e non come impostori perché era uno dei travestiti al Gay Pride! NOVANTA MINUTI DI APPLAUSI, non solo per aver mancato lo stereotipo ma anche per aver dato un twist finale inaspettatissimo!
  • Jojo Rabbit. Quando ero andato a vedere il film al cinema avevo già ascoltato la recensione di Barbiexanax, che è specializzata in minoranze e rappresentazione, per cui già lo sapevo; ho potuto gustarmi tutte le loro scene veramente tenere con piacere. In pratica, uno degli ufficiali nazisti è gay e ha il sottoposto che è il suo partner; ovviamente devono nascondere la loro relazione. Molte volte li vediamo in azioni che sembrano normali ma che guardate in una prospettiva di coppia sono tenerezze, come quando vediamo l’ufficiale mangiare una torta (ma osservando bene la forchetta, essa era indirizzata verso il viso del sottoufficiale, che gli stava di fronte, e quindi gliela stava offrendo) e alla fine, alla fine, durante il conflitto finale e la sua ultima scena, fa uno struggente coming out in stile eroe romantico. Bellissimo personaggio, solidale, costretto a mostrarsi etero e nazista, cerca sempre di aiutare il piccolo protagonista a cambiare mentalità e alla fine, con un fiume di lacrime, lo salva dagli americani decretando la propria fine. Altro fiume di lacrime!
  • Insieme per caso. Film sulla diversità, una commedia a tinte thriller con cast stellare; parla di una donna sola che alla morte del suo cantante per cui aveva una cotta assieme alla nuora nana va in Inghilterra per il funerale e scopre che il cantante era gay con il compagno molto più giovane; inutile dire che essendo il cantante stato ucciso, i tre (protagonista, nuora e compagno) si uniranno per scoprire il colpevole. Alcune scene sono veramente belle, come quando il ‘vedovo’ va al pub dopo mesi, perché il villaggio è omofobo, e la gente gli alza i calici di birra in segno di lutto e condoglianze; bellissimo film, da vedere per l’esilarante citazione di A Venezia… un dicembre rosso shocking.
  • Piume di struzzo. La commedia gaia per eccellenza: ragazzo si innamora di una ragazza e le chiede di sposarlo, lei dice sì; problema? I genitori di lei sono politici repubblicani, i genitori di lui sono gay e proprietari di un locale di punta gay. Quando i genitori gay cercheranno di sembrare ‘normali’ cercando pure la madre del ragazzo, durante la cena calerà sulla tavolata l’irrealismo, l’esasperazione e un mare di risate!
  • La belle epoque. Essere gay o lesbica non significa andare solo con uomini o donne, ci sono molti gay e lesbiche che lo hanno scoperto dopo o hanno avuto qualche avventura con l’altro sesso in determinate condizioni sentimentali o fisiche; il cinema e la televisione già hanno portato esempi simili come Mamma mia, la dodicesima stagione di Bones, Sai che c’è di nuovo? e tanti altri ancora. Dico ciò perché questo film molto divertente e vincitore di parecchi Goya, si immette in questo filone: una delle quattro sorelle protagoniste è il classico maschio mancato, lo stereotipo della lesbica tutta muscoli e poco trucco; in pratica, durante una festa di paese i cinque protagonisti si travestono e mentre lei si veste da generale, il ragazzo (l’unico della casa con quattro sorelle, molto belle, non sue attorno) si veste da cameriera sexy convinto dalle ragazze; in pratica, la lesbica si eccita e se lo scopa -poverino, è usato sessualmente da tre sorelle su quattro e nessuna se lo vuole poi sposare anche se lui vorrebbe LOL. Questo film è molto bello e secondo me è importante per togliere qualche stereotipo, consigliatissimo per farsi due risate con una bella trama.
  • Il Club delle prime mogli. Rivisto una settimana fa, l’ho trovato nuovamente ben costruito e con bellissimi temi di rinascita personale e di riappropriazione della vita rubata da altri; inoltre, la figlia di una delle protagoniste è lesbica e la madre, interpretata da una fulminante Diane Keaton, lo accetta benissimo arrivando a salutare la figlia in un locale lesbo notturno. La scena è veramente bella perché normalizza il tutto mentre avrebbe potuto benissimo ridicolizzarlo: Diane si presenta alle amiche della figlia come la sua fiera mamma, Bette Midler (che interpreta una donna mollata dal marito per una più giovane) si confida con una lesbica in una situazione simile alla sua, Goldie Hawn (che interpreta un’attrice con la paura di invecchiare) finalmente trova qualcuno che la apprezzi in quel pub e ci diventa la reginetta buttandosi a ballare in mezzo alle fan. Il tutto quindi normalizza la situazione e anzi ci mostra che la vita di un gay o una lesbica è uguale a quella di un etero e che non tutte le nostre relazioni sono solo sesso o idilliache essendo persone normali.

Questa è la mia sentitissima lista di dieci film queer. Spero di essere stato abbastanza chiaro perché ho scelto uno stile discorsivo (se così è su carta figuratevi parlare con me dal vivo quando divago!). Se conoscete film di questo genere anche voi, potete propormeli sotto, nei commenti. Ciaone.^^

giphy
Queer as Folk, i due teneri protagonisti

Vallo: quando l’amore diventa storia

grecia 2017 063

L’Imperatore Adriano è famoso per la sua politica tuttalpiù di tolleranza e apertura, il suo famoso Vallo con cui cercava di difendere i confini della Britannia romana dalla gente del nord e per alcune sue riforme.

Non tutti sanno che Adriano, pur essendo sposato con Vibia Sabina, aveva avuto una relazione con Antinoo. Questo ragazzo della Bitinia era riuscito a entrare nelle sue grazie e stava sempre in sua compagnia, accompagnandolo nei viaggi; almeno fino a quando Antinoo non cade disgraziatamente nel Nilo.

Adriano, allora, non lo rinnega o dimentica: lo fa ascendere a dio e fa costruire decine di statue in tutto l’Impero allo scopo di ritrarlo e onorarlo.

Infatti, la statua che ho allegata qui la ho scattata in Grecia, a Delfi.

I segreti di Brokeback Mountain

Gran bel film, anche se triste.

Ieri ho visto la prima oretta scarsa ed è stato interessante vedere la formazione del legame che segnerà profondamente la vita dei due protagonisti. Lo ho trovato molto interessante, anche perché secondo me, perfettamente plausibile: chi dopo settimane di isolamento non cederebbe? Secondo me, il primo a vedere il partner sotto un’altra prospettiva è stato Jack Twist, visto che ogni giorno diventava sempre più espansivo e fisicamente vicino all’amico.

A me piace questa parte proprio perché non ha bisogno di essere parlata: sono le azioni a raccontare, con il lento avvicinamento dei due.^^

Tu cosa ne pensi di questo film?

Il mostro

 

Era una splendida giornata d’estate. Il 6 giugno 2014, per essere precisi.

Me lo ricordo perché la mattina fu molto afosa e la classe era una sauna.
Me lo ricordo perché la nostra prof di latino continuava a borbottare che poteva vedere il nostro sudore evaporare fino a creare un’enorme pentola a pressione.
Me lo ricordo perché il Mostro aveva chiaramente mostrato interesse nel rendere la splendida Isabella, la mia migliore amica, una delle sue povere vittime.

Lo sapevo! Lo sapevo che ce l’avrebbe fatta!
Lo avevo iniziato a temere mentre venivano consegnate le nostre terribili versioni di latino. Dopo che l’insegnante ci aveva comunicato che non le aveva nemmeno corrette da quanto schifo facevano, mi ero voltato alla mia sinistra per parlare con Isabella ed era stato allora che me ne ero accorto: i profondi occhi marroni del Mostro la stavano fissando.

Il Mostro ha iniziato a colpire sei anni fa. Da allora, sono decine i ragazzi rimasti improvvisamente soli. Alcuni hanno provato a vendicarsi, ma Lui è perfetto e i Suoi seguaci rimettono chiunque nel silenzio. Sempre.

A malincuore, vidi le ore passare tra le versioni catastrofiche di latino e le interrogazioni sulla Seconda Guerra Mondiale e infine le due ore di educazione fisica.

In classe, ci sono solo quattro maschi (io, il Mostro e due Suoi seguaci) e diciotto femmine, tutte splendide.
Quel giorno in spogliatoio eravamo noi due.

Sapevo che avrebbe provato a fare la sua mossa durante quelle due ore di ginnastica. Dovevo fare qualcosa. Non volevo perdere Isabella.

Lo osservai mentre depositava lo zaino sulla panca.
Non mi veniva in mente niente.
Ormai era a petto nudo, con la maglietta tra le mani.
Dovetti fare qualcosa. Mi sedetti e mi chinai a sciogliere i lacci delle scarpe.
Avevo la mente vuota!
Si sbottonò i jeans e…

Il Mostro di bellezza, uno dei più famosi playboy della scuola, mostrò una faccia che ai più era nascosta: fece di me una vittima.
Il Mostro aveva colpito ancora.

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