“Are there any sea fisheries which are exhaustible, and, if so, are the circumstances of the case such that they can be efficiently protected? I believe that it may be affirmed with confidence that, in relation to our present modes of fishing, a number of the most important sea fisheries, such as the cod fishery, the herring fishery, and the mackerel fishery, are inexhaustible. And I base this conviction on two grounds, first, that the multitude of these fishes is so inconceivably great that the number we catch is relatively insignificant; and, secondly, that the magnitude of the destructive agencies at work upon them is so prodigious, that the destruction effected by the fisherman cannot sensibly increase the death-rate.”
Testo estratto da un discorso tenuto in occasione della Fishery Exhibition di Londra sulla pesca del 1882 tenuto da Thomas Henry Huxley.
Fin dagli albori della sua storia l’uomo si è evoluto sfruttando le risorse naturali, attraverso le attività di caccia, coltura, raccolta e pesca. La Terra per l’umanità ha significato fonte di energia, cibo e sicurezza: dopotutto, l’uomo si è sempre considerato come l’apice della catena alimentare, creato da Dio per ergersi sopra a tutti gli esseri viventi. Nei millenni quindi l’uomo ha preso per sé senza pensare o riflettere, con la sua popolazione sempre in aumento e sempre più efficacie nella sua predazione di risorse, sia rinnovabili sia non rinnovabili, anche grazie al continuo progresso tecnologico. Ma se con il passare dei secoli è pervenuta una certa comprensione dello sfruttamento delle risorse geologiche e terrestri, il mare è stato sfruttato fino ai giorni nostri senza ulteriori remore se non ai giorni nostri. Anzi, per decenni si è pensato che il mare offrisse infinite risorse da prelevare e infinite quantità di pesci e gruppi di crostacei e molluschi da pescare: purtroppo, si è seguita la tesi del ‘mare inhexaustum’ del filosofo e biologo Thomas Henry Huxley, ritenuta attendibile fino a tempi molto più recenti.
Questa tesi dell’infinita possibilità delle risorse marine ha portato i pescatori a sovrasfruttare il mare, arrivando anche a estinguere localmente o mondialmente diverse specie, impossibilitate a riprodursi ad un tasso sufficiente per colpa dei dissennati tassi di cattura. Un esempio di ciò è la storia del merluzzo del Nord Atlantico, lungo la costa orientale canadese del Newfoundland, 1992: il tasso di predazione da parte dei pescatori eccedeva la capacità di recupero della popolazione di quel pesce, arrivando a estinguere localmente quella popolazione animale (Smith e Smith, 2017). Ma i casi simili sono innumerevoli, almeno fino a un recente passato.
Fino a poco tempo fa, infatti, lo scarso utilizzo di metodi quantitativi finalizzati a una verifica effettiva dello stato delle risorse naturali e un’impostazione di breve periodo delle politiche gestionali, ha comportato che il sistema di gestione della pesca non fosse virtuoso ma invece caotico e sostanzialmente ingestibile. In questo contesto, quindi, era presente uno scarso dialogo tra il mondo della ricerca, amministrazioni e portatori di interesse, e il tentativo degli operatori di concordare con l’Amministrazione soluzioni di breve periodo per far fronte alla crisi. Il panorama delineato non è di tipo reattivo ma di tipo adattivo.
Un cambiamento di mentalità, verso un approccio più proattivo, è stato attuato negli ultimi decenni a livello comunitario con lo sviluppo di norme sempre più stringenti, legando le azioni gestionali alle verifiche dello stato delle risorse ed esplicitando la relazione tra misure gestionali e obiettivi da seguire.
Una gestione sostenibile delle risorse è molto importante perché si pone l’obiettivo di soddisfare le necessità attuali senza compromettere le risorse per uno sfruttamento futuro (FAO, 2003).
La pesca artigianale, o piccola pesca, è il tipo più antico e classico della pesca, spesso basato sull’investimento di un piccolo capitale e a conduzione familiare, e per questa attività. Si tratta di uno degli approcci più sostenibili: questi metodi di pesca fanno uso di strumenti da posta, ad esempio, tramagli, reti ancorate ai fondali o sospese lungo la colonna d’acqua, trappole come le nasse e sono caratterizzate da una selettività maggiore (la selettività è la capacità dello strumento di catturare la specie bersaglio e di ridurre lo scarto e il rigetto, ed è regolata grazie alla grandezza delle maglie delle reti o delle entrate delle trappole oppure dalla dimensione e forma degli ami) e minori impatti, garantendo un risultato sicuramente più sostenibile. Queste sono tecniche che si basano sulla conoscenza della specie bersaglio, sulla versatilità degli strumenti utilizzati e sulla stagionalità del pescato; non per niente, le tecniche e gli strumenti usati sono chiamati dai pescatori nel loro insieme l’arte.
Quando avrete letto questa introduzione alla mia tesi di laurea, leggermente rielaborata, avrò concluso la proclamazione in piazza San Marco a Venezia. Spero la apprezziate e che sia spunto di riflessioni. Ciao!^^
