La mitologia gotica di Laurell K. Hamilton

Buongiorno! Oggi torno a parlare di letteratura gotica con il mio ultimo libro in madrelingua inglese: Bloody Bones. Il romanzo racconta un episodio della vita di Anita Blake, una necromante che vive in un mondo in cui i mostri della mitologia gotica convivono più o meno pacificamente con gli umani.
Il libro per me è molto interessante, la narrazione è molto più densa e piacevole di Merrick della Rice, e quindi mi è venuta voglia di analizzare la mitologia che l’autrice ha costruito per dare vita al suo mondo!

Nel romanzo, che finora è il quinto di una saga che scopro ora, ha come protagonisti del racconto la necromante Anita Blake (protagonista assoluta e voce narrante), il vampiro Jean-Cleaude, il licantropo Jason e l’umano Larry Kirkland. Comunque, vengono citati anche fate (Fairies in originale, folletti forse?), orchi, fantasmi, streghe e zombie.

Cominciamo.

Allora, il necromante è un umano con la capacità di parlare con i defunti e vedere le anime trasmigrare dai cadaveri nell’aere. Anita afferma che questa capacità è un dono innato, e spesso viene usato dalla polizia o per dispute legali: risvegliando il cadavere come zombie, è possibili far loro dire verità taciute o rivelare dettagli incriminanti. Interessante il fatto che un necromante non possa usare i cadaveri come arma, pena la condanna a morte.

I vampiri sono predatori di uomini, spesso viene accostato il loro atto di cibarsi di sangue all’atto sessuale. Convivono con gli umani rispettando le loro leggi: sono cittadini americani, non possono essere uccisi senza un motivo giuridico dai cacciatori ma nemmeno loro possono assassinare persone a caso, e se qualcuno sceglie di diventare vampiro legalmente deve avere minimo 18 anni. Suddivisi in caste, un Concilio supremo che sceglie i Master per ogni territorio di caccia, basano la propria gerarchia sulla propria capacità di soggiogare l’avversario: se un vampiro non riesce a sostenere lo sguardo (gaze, in originale) dell’avversario, ne diventa schiavo. Un vampiro, solitamente più bello di un umano, rimane dell’aspetto fisico del tempo della trasformazione, vive secoli ma non è immortale, mantiene la personalità che aveva da vivo; può essere ucciso con pallottole d’argento, allontanato con le croci e cose sante e per essere definitivamente distrutto bisogna bruciarne il cadavere. Interessante che durante il giorno, quando dormono indisturbati, sembrino veri e propri cadaveri, Anita afferma di percepire qualcosa simile a un’anima volare via dal corpo addormentato anche se il vampiro non ha più l’anima ed è un dannato.

I licantropi sono mutaforma, capaci sia di una natura antropomorfa sia di una figura canina. Sono più belli di un umano e sono fedeli a un loro padrona, qualora non abbiano un’identità Alfa; è normale che alcuni vampiri Master abbiano un licantropo personale come animale domestico che usano per ogni loro volere, dallo svago alla nutrizione. Sono molto forti e caratterizzati da un’alta velocità di guarigione.

Gli zombie sono cadaveri risvegliati da un necromante, maggiore è la massa risvegliata più importante deve essere il sacrificio di sangue. Appaiono come persone normali ma seguono solo gli ordini del proprio necromante, per questo è pericolosa come pratica e minacciata dalla pena di morte.

I fantasmi, come gli zombie, sono legati al proprio cadavere. Li si trovano tendenzialmente nei luoghi di sepoltura, danno problemi solo se la vittima dei loro scherzi concede loro attenzione, e quindi forza.

Le fate (l’unica mia traduzione di cui non sono convinto) si dividono in due categorie: la fata pura e i suoi discendenti. La fata pura è immortale e molto più imponente di qualsiasi altra creatura non sia un gigante, spesso antropofaga e vive nelle leggende che vengono raccontate ai bambini; la fata del romanzo è una mangiatrice di giovani vittime che giudica dal cattivo comportamento, come un moderno Uomo Nero. Le fate discendenti sono molto più belle di normali persone, sia uomini sia donne, possiedono tratti animaleschi che possono risvegliare e sono capaci di una sorta di illusione tipica della loro razza.

La strega è un essere magico. Viene citata per studiare le protezioni magiche affinché una bestia non scappasse.

Gli orchi sono considerati bestie aggressive, citati come possibile causa di una grande distruzione di alberi.

E siamo giunti alla fine della mitologia gotica della Hamilton. Trovo molto approfondita la sua costruzione e il fatto che si capisca molto bene anche al quinto libro della saga, bello il dettaglio che tutti questi mostri sono comunque in grado di provare sentimenti ed emozioni: infatti, molti di questi sono cittadini riconosciuti. Tutte queste categorie se feriscono o uccidono persone o altri mostri sono condannabili a vari gradi di sentenza, in questo mondo esistono squadre di soppressione.

E voi? Avete letto qualcosa dell’autrice? Vi è piaciuto questo piccolo approfondimento? Se volete cliccando qui potete la mitologia gotica di Anne Rice! Ciao!^^

Racconto originale: La fiaba di Ermenegilda

Tanto tempo fa, sulla sponda dorata di un lago sereno, abitava una famigliola di pescatori composta dai due genitori e tre sorelline: Rodolfa, Genofrida ed Ermenegilda. Se Rodolfa e Genofrida erano molto graziose e si muovevano come sorrette dagli angeli, Ermenegilda invece era goffa ma dall’indole molto dolce e affettuosa: trattava sempre con le massime cure il gattino selvatico che avevano accolto in casa, fin da quando lei lo aveva trovato da cucciolo su un ramo del loro abete. Così, il gattino seguiva le tre sorelle dappertutto. Mentre andavano a scuola nel villaggio nella valle vicina, quando facevano il bagno nel lago, quando andavano a fare le passeggiate tra le montagne. Là, Rodolfa e Genofrida giocavano a fare le spose, mentre la sorella e il gatto ammiravano insieme il panorama.

Un brutto giorno, però, si presentò alla porta uno strano signore accompagnato da tre ancelle; alla vista di tali genti, il padre sbiancò e la madre, ripresasi dal torpore iniziale, ricacciò le figlie a letto sebbene fossero le due del pomeriggio. Dalla loro cameretta, le tre sorelline sentirono tuoni e rombi provenire dalla cucina, ma ubbidienti rimasero dove era stato ordinato loro di stare per ore, fino a quando la calma tornò a regnare nella loro casetta.
Ma poi, le tre sorelline furono sorprese da ciò che scoprirono: nessuno, non c’era nessuno in cucina o in veranda o in soggiorno quando discesero dalla cameretta. «Mamma? Papà? Dove siete?», continuavano a singhiozzare, ma a testimonianza della loro presenza era rimasto solo il tortino di patate nel forno a legna…

Confuse, le tre sorelline non si persero d’animo e uscirono dalla casetta per dirigersi verso le miniere, a chiedere consiglio alla strega: una strana signora che dormiva nelle miniere di ferro, capace di rispondere a qualsiasi domanda e a profetizzare gli eventi futuri.

Per arrivarci dovettero attraversare un fitto bosco ricolmo di alberi e radici contorte, con cespugli rigogliosi e roveti minacciosi. Rodolfa e Genofrida, con le loro gambe agili e le loro figure snelle, ci passavano facilmente; Ermenegilda invece inciampava e cadeva. Ci misero ore ad attraversare i boschi, ma alla fine unite arrivarono alle miniere oscure. Un intricato sistema di cunicoli stretti e bagnati, nei quali le gocce d’acqua conferivano un rivestimento sonoro alquanto inquietante. Forti della loro compagnia, le tre sorelline però non badarono alle ombre che le minacciavano e, finalmente, dopo un periglioso peregrinaggio per quelle vie scavate nella pietra, trovarono la strega.
Dopo essersi presentate, le tre sorelline si inchinarono e porsero alla donna le uniche monete d’oro che erano riuscite a reperire, una moneta nella mano destra di ciascuna bambina. La strega, allora, si alzò e le osservò. Quindi, un’aura azzurra la pervase e lanciò un urlo profetico: «I vostri genitori sono stati portati via per i loro debiti e le loro cattive intenzioni. Volete salvarli? Cercate un modo per ripagare i loro debiti e quando avrete trovato la cifra, sarà Lei a trovarvi. Ora andate!» e le bambine si ritrovarono fuori, nei boschi.

Ora le tre sorelline volevano capire come salvare i loro genitori, ma non si chiesero mai chi fosse quella Lei citata dalla profetessa.

«Rapiniamo la banca Titania! Siamo piccole, chi mai arresterebbe delle ragazzine? Con tutti quei lingotti potremmo ottenere così tante monete d’oro che non solo salveremo mamma e papà, ma anche potremo comprare un castello intero!», argomentava Rodolfa. «No, andiamo a supplicare il Re! Con il nostro bel visino e gli occhioni impauriti nessuna persona con un cuore pulsante nel petto oserà negarci ciò che pretendiamo!», ribatté Genofrida. Ermenegilda le osservava tutta piena d’ansia con i suoi occhietti marroni, mentre proponeva di cercare aiuto dalla loro Fata Madrina: secondo la leggenda, tutti i bambini ne avevano una a proteggerli. «Naaaah!», risposero le due sorelle in coro e lei da quel momento tacque. Tuttavia, Rodolfa, Genofrida ed Ermenegilda non riuscivano a trovare un punto comune sul da farsi e decisero di separarsi; usarono il patto di sangue per sapere cosa sarebbe successo l’una all’altra nell’immediato futuro: tutti sanno che un fiore intriso del sangue di una persona rivelava la sorte della stessa, giusto? E così le tre si separarono, ognuna andandosene con due fiorellini in tasca, scarlatti del sangue delle altre due sorelle. Ermenegilda rimase sola, i suoni delle campanelle appese ai rami erano la sua sola compagnia; esse rappresentavano il segnale dell’accesso alle gallerie in cui la strega risiedeva, a cui però Ermenegilda non poteva più chiedere aiuto.

Sola e sconsolata partì a sua volta.

A dire il vero, Ermenegilda della loro Fata Madrina non aveva grandi ricordi: le famiglie povere, a parte la benedizione al momento del parto, non avevano diritto a molte visite di quella signora. E di quella fatina, la bambina aveva solo un’impressione, un’immagine impressa nella memoria: dalla culla l’aveva scorta una volta sola. Si trattava di una figura sfavillante in un cappuccio rosa, che sembrava emanare luce propria. Uno sguardo dolce e premuroso, le aveva posto parole affettuose mentre le toccava la fronte con la mano calda e morbida. E il dolce profumo dei garofani proveniva dalla fata, quel sentore dolce e vanillato che Ermenegilda percepiva nei momenti bui. Sì, Ermenegilda non aveva mai più incontrato la sua Fata Madrina ma era sicura della sua esistenza! Inoltre, la bambina conosceva il posto in cui le leggende narravano abitasse la Fata Madrina: al mare!

Era verso il mare che infatti voleva dirigersi!

Purtroppo la strada per il mare era lunga e, arrivata la sera, Ermenegilda era fin troppo lontana sia dalla sua casetta sia dal mare tanto agognato: goffa com’era continuava a cadere sui sentieri nei boschi, sulle radici dei grandi pini e dei bianchi abeti, sui massi piatti e scivolosi del torrente che seguiva a ritroso. E in tutto questo non si era ancora nemmeno allontanata dalla valle! Senza accorgersene, al posto di scendere e raggiungere la pianura era salita e aveva scalato il pendio.

Aveva camminato tanto, fino ad arrivare alla fine della giornata ad un altopiano su cui si stagliava una ricca locanda in roccia. E ora? La locanda era un ottimo posto per passare la notte, ma lei non aveva più danaro! Come fare?

«Ma come puoi anche solo chiedermi di ospitarti se non hai i soldi con cui ripagarmi?», le rispose la locandiera prima di chiuderle la porta in faccia.  Sconsolata, Ermenegilda sedette su uno dei gradini di pietra del palazzo ed scoppiò in lacrime, almeno fino a quando una donna gentile non uscì dalla casetta di cristallo a fianco della locanda e le rivolse parole pietose.

«Ma come mai una così brava bambina si mette a piangere tutta sola di tardo pomeriggio? Cosa, non hai i soldi per pagare l’alloggio? Beh, se mi raccogli la legna posso darteli io!»

Ad Ermenegilda non sembrava vero: se avesse raccolto una cesta di legna grossa e fine avrebbe ricevuto cinque monete di bronzo! Felice che la fortuna finalmente le irridesse, smise di piangere e ringraziò la gentile signora.
Piena di energie per la nuova speranza che l’era apparsa, la bambina si guardò attorno e vide una fitta pineta a un centinaio di metri dalla locanda, vicino allo strapiombo roccioso. Veloce e attenta, con la cesta di vimini in mano, raggiunse il bosco e fece incetta di legna secca di pino; tornata dalla vecchina, le porse la pesante cesta e sorrise, nonostante le botte che aveva preso sulle radici degli alberi. Dopo averla ringraziata, prese le monete e si pagò la stanzetta nella locanda a fianco. Stanca e sola com’era, mangiò tantissimo: prima un piatto di stufato di cerbiatto e polenta bianca, poi una bella torta di mirtilli. Soddisfatta e satolla, finalmente le venne sonno. Prima di ritirarsi nella stanza che tanto faticosamente si era guadagnata, volle uscire e cedere alla gentile vecchina un pezzo della fetta di mirtilli che le aveva lasciato da parte ma, al chiaro di luna, notò che oltre alla locanda sull’altopiano non c’era altra costruzione; confusa, Ermenegilda andò a dormire per prepararsi alla lunga camminata che l’attendeva.

Fattasi spiegare per bene le indicazioni per il mare dalla locandiera, Ermenegilda il mattino presto partì e si diresse di buona leva verso il mare, nella direzione giusta, questa volta; felice notò che il gattino selvatico cui aveva dedicato molte attenzioni la seguiva, l’aveva sempre seguita fin da quando aveva lasciato la loro casetta, forse. Non essere più sola durante un viaggio tanto grande la rese immensamente felice, accolse tra le braccia il compagno di avventure e stando attenta a dove metteva i piedi -per non inciampare ancora- arrivò in pianura, lontana dalle montagne: per la prima volta in vita sua era uscita dalla valle!

Ora le bastava solo seguire il torrente cristallino che attraversava le cime rocciose delle montagne e attraverso una bellissima cascata si congiungeva a un laghetto e infine al mare salato e sterminato.  Era quasi arrivata, Ermenegilda se lo sentiva! Pure il gattino fremeva e ronfava tra le sue braccia, con le orecchiette morbide che captavano la luce balzante sull’acqua e gli occhi che osservavano il rinfrescante sciabordio del torrente sulle rocce!

Il ruscello li aveva portati davanti a una strettoia di roccia nera.

Ermenegilda notò come il flusso d’acqua improvvisamente si riduceva a un velo che spariva nella fessura di una delle due pareti nere. La bambina, allora, capì che doveva attraversare la gola, ma quando stava per penetrarvi sentì una stranezza: in tasca, uno dei fiorellini scarlatti di sangue stava appassendo! Sconvolta, Ermenegilda si fermò, posò a terra il gattino bianco e nero ed estrasse il fiorellino. Una lacrima le scese lungo la guancia, mentre lo sguardo si posava sui petali del fiore non più scarlatti. Aveva perso il colore rosso! Era successo qualcosa a Rodolfa! Ma cosa? Aveva veramente provato a rapinare la banca ed era stata impiccata? O le avevano mozzato le mani? Spaventata, la bambinella decise di affrettarsi ed entrò nella gola di roccia nera.

Ermenegilda, però, si era sbagliata!

Quella che pensava fosse la gola tra due valli o una strettoia tra due monumenti in pietra nera si era rivelata l’entrata per un autentico labirinto scavato nell’ossidiana! Infatti, davanti a quella che si era rivelata come un’entrata al labirinto non si stagliavano le distese pianeggianti verso il mare ma un’intricata ramificazione di costruzioni e pareti nere, lucide ma rocciose! E quando svoltava, Ermenegilda si trovava sempre davanti ad altri dieci corridoi stretti tra i quali scegliere, oppure in stanzette circolari piccole e opprimenti. Una volta, si era ritrovata in un vicolo cieco e senza accorgersi della parete c’era andata a sbattere con il naso!

Dopo numerose ore di smarrimento e peregrinazioni, con il cielo che iniziava a tingersi di rosa, il gattino iniziò a comportarsi in modo strano: si agitò tanto per scendere dalle braccia della bambina e fischiò nervoso contro un corridoio che svoltava minaccioso alla destra della bambina! Proprio in quel momento dal corridoio maledetto proruppe una terrificante creatura vermiforme! Spaventata dai mille occhi con cui il mostro bramava le sue carni paffute, la bambina si mise a correre con il cuore che le impazzava in petto e il gattino che la seguiva a ruota!  Corse e corse ancora, corse tra le molte salette circolari con le pareti lucide che inesorabili le mostravano le fauci del mostro più vicine a lei per ogni secondo che passava. Corse a perdifiato, anche inciampando e rimettendosi a correre, corse dietro gli angoli di molti corridoi mentre il mostro cercava di ghermirla con i tentacoli delle fauci. Solo quando l’uscita dal labirinto fu visibile, anch’essa un’apertura tra due pareti lisce, Ermenegilda poté sorridere anche se sfinita: con un ultimo sprint lei e il gattino superarono l’agognata uscita dal labirinto.

Insieme caddero nel dirupo al di fuori del labirinto nero e impenetrabile. Subirono un volo spaventoso e lungo, ma almeno si erano lasciati il verme dai mille tentacoli ad osservarli impotente da lontano.

Per fortuna, lei e il gattino erano precipitati dentro a una pozza di acqua salmastra: si trattava della congiunzione tra la cascata al di fuori del labirinto e il mare dal quale i pescatori riempivano le grandi reti a strascico e le gabbiette di rame intrecciato poste sul fondo del mare.

Stanca e provata, Ermenegilda nuotò con il gattino sulle spalle fino alla riva e uscì dal laghetto: al concludersi della giornata di cammino e di striscianti paure, finalmente la bambina era giunta alla grande città sul mare, lo aveva capito dalla lieve brezza marina che aleggiava in quel bellissimo posto! Infatti, non appena si inoltrò fuori dal parco ai piedi del monte di roccia nera e dentro alla prima strada battuta, Ermenegilda si ritrovò dentro a un centro urbano sul mare, costruito su canali e ponticelli.

Felice di essere finalmente giunta alla meta agognata, la bambina si diresse verso il centro, costeggiando uno dei canali: tutti sanno che le Fate Madrine vivono al centro delle città, nella parte più antica e al tempo stesso più splendida, vero? Lo sanno tutti, ma proprio tutti!

Infine, dopo un’oretta scarsa di cammino, con i lampioni che venivano accesi da smilzi ometti vestiti di arancione, eccola là: una reggia interamente in marmo bianco e rifiniture d’oro, costruita sulla collina artificiale al centro della città, sulla vista panoramica del bacino marittimo a pochi passi da essa e dalla piazza. Davanti alla reggia era stato costruito un grande pilastro nero, alto più di dieci metri e scolpito in bassorilievo con i segni raffiguranti lingue sconosciute e straordinarie creature del Cielo. La Fata Madrina doveva essere dentro al palazzo, Ermenegilda ne era certa. Ed essendo il cancello delle basse mura di mattoni viola spalancato, la bambinella sgusciò nel giardino della Fata Madrina e, piena di speranza, entrò finalmente nel portone di cristallo verde.

Il gattino miagolò: un grande evento stava per compiersi, lei lo sapeva!

Ma nella reggia niente era come Ermenegilda si era immaginata! Non c’erano ampie sale ricolme di mobili d’avorio e statue di divinità immortali e illuminate dalle grandi finestre che aveva scorto dalla strada, né maestosi arazzi o pregiati tappeti o gli splendidi affreschi raffiguranti intrichi di garofani e roseti, neppure le scalinate e i corridoi che un edificio con così tanti piani e ali lasciava presagire. C’era solo uno spazio buio, come se entrando nel tramonto dentro a quel palazzo avesse varcato la soglia della landa dei morti. Spaventata, Ermenegilda stringeva il gattino al petto con tutte le forze, fino a quando il micio quasi non la graffiò al volto; allora, scusandosi con lui per la propria sbadataggine e il proprio egoismo, lo pose a terra. Ma si tenne vicina a esso: quel posto la spaventava enormemente! Era tutto avvolto nella nebbia! E nella nebbia Ermenegilda poteva scorgere orripilanti figuri, corpi scuri che aleggiavano sopra al pavimento impegnati a  fissarla con occhi fiammeggianti!

Ermenegilda urlò, si mise a correre a tentoni nel buio fino a quando non trovò una porta, la aprì e se la chiuse a chiave alle spalle: di certo non avrebbe più messo piede in quel posto maledetto, dove gli spettri infestavano l’aria, dove essi potevano sputarle addosso il loro alito di morte sussurrandole le peggiori profezie e maledizioni!

Sola nella stanza, con il gattino bianco e nero che la osservava muto, Ermenegilda trasalì: nella tasca della gonnella la bambina percepì di nuovo l’essiccarsi di un fiore, l’ultimo fiorellino scarlatto di sangue che poteva essiccarsi! Piena di ansie e desiderosa di conferme, affondò la mano nella tasca e ne estrasse quello che doveva essere l’ultimo fiorellino scarlatto rimasto, ma di esso era rimasto solo un filo marrone e secco con attaccati alcuni foglietti di carta scura e screpolata!

Qualcosa era successo pure a Genofrida! Non poteva più aspettare!

Ironia della sorte: la stanza nella quale si era rifugiata Ermenegilda era una semplice biblioteca di piccole dimensioni, senza altre uscite se non quella da cui era entrata. Per trovare quindi la Fata Madrina e salvare le sue sorelle, la bambina inspirò profondamente e, noncurante del cuore che le batteva forte in petto, si girò verso la porta e la spalancò, affacciandosi verso quella che doveva essere la stanza con la nebbia e le creature inquietanti: nient’altro poteva spaventarla ormai!

Tuttavia, quando Ermenegilda rientrò nel luogo che l’aveva terrorizzata, notò con meraviglia che la nebbia e la tenebra erano scomparse. Al loro posto si trovava un campo di grano, con le spighe che ondeggiavano al vento. In mezzo al campo di grano, sopra a una pedana in granito viola, si stagliava una scalinata a chiocciola che si avviluppava su se stessa fino a incontrare il cielo azzurro che rischiarava la scena. E, sempre sulla pedana e davanti alla scalinata impossibile, era posizionata una porta. Quando Ermenegilda si avvicino alla porta, la sua meraviglia crebbe: la porta era di fine legno chiaro, forse di rovere bianco, ne aveva viste molte giù in paese a casa della sua amica Claretta, e incastonata nella porta si trovava una vetrata verde e rosa. Oltre quella vetrata, Ermenegilda poteva vedere una donna bellissima in abiti petalosi ricamare docile e gentile; tuttavia, oltre la porta, si stagliava la scala a chiocciola verso il cielo e, oltre la scala a chiocciola verso il cielo, Ermenegilda poteva scorgere il campo di grano. Poteva odorare il profumo del frumento, era sicura di essere in mezzo alle piante, in pianura. Con una porta magica davanti a una scalinata impossibile.

La bambina si portò le dita agli occhi e se li stropicciò: forse stava sognando! Ma quando li riaprì, si trovava ancora là, in mezzo al campo di grano. Che stava succedendo?

«Ehi, brava bambina, sono qui!», proruppe improvvisamente una vocina. Lei non capendo da dove potesse provenire si guardò intorno spaesata: non c’era nessuno là con lei, a parte il suo gattino! «Sono qui! In basso, mi vedi? Ecco, brava, sono qui. Sono la chiave che apre la porta per le stanze della Fata Madrina! Se mi acchiapperai potrai accedere al tuo consulto. Prendimi!» e come per magia la chiave d’argento si animò e iniziò a salire la spirale.

Ermenegilda, confusa ma risoluta a catturare la chiave d’argento, salì la pedana di granito viola, superò la porta di rovere bianco per le stanze della Fata Madrina e si slanciò sulla scala a chiocciola che saliva ripida verso il cielo: doveva raggiungere la chiave parlante!

La povera infelice cercava di raggiungerla, ma la chiave era veloce, lei era lenta e incespicava su quei gradini così lisci e inclinati, le sembrava ogni volta di stare per cadere all’indietro, e il corrimano era troppo largo per le sue mani sì paffute ma piccine, non sarebbe riuscita ad afferrarlo se fosse caduta! E così, dopo qualche minuto di rincorsa, Ermenegilda proprio come aveva temuto mancò il gradino successivo e si sbilanciò verso il terreno, rotolando giù per le scale.

Batté la testa e svenne.

«Una così brava bambina non dovrebbe stare qui a farsi male: dovrebbe essere a scuola o a giocare, non credi?»
Una voce gentile e delicata la svegliò, Ermenegilda si trovava in un letto di piume di pavone e oca, con il gattino che dormiva beatamente al suo fianco. Le stava parlando una donna estremamente bella, aveva gli occhi come i pini della valle in cui Ermenegilda era cresciuta, e i lunghi capelli biondi erano intrecciati con mille garofani blu.
«Ma come ci sono arrivata qui, gentile signora?», chiese allora Ermenegilda, non sentendosi ancora pronta a rispondere alla domanda della donna.
«Il tuo gattino. Questo micetto ti si è affezionato moltissimo e devo dire che ha sempre avuto buon gusto! Sai che Rodolfa è stata beccata dalle guardie a rubare tre lingotti alla banca? E Genofrida dopo essere stata cacciata dalla corte e messa in orfanotrofio, per il suo bene intendiamoci, vista la sua posizione, si era messa a fare l’incendiaria! Dopo che l’avevano ospitata con tanto amore e tanta pazienza! Proprio questa mattina. Mentre tu, sbadata sì ma con un gran cuore, hai perseguito la tua causa e quello che credevi giusto nel modo migliore a cui potevi aspirare! Sono veramente colpita, mi hai colpita, Ermenegilda. Questo bel micetto poteva lasciarti ruzzolare giù per le scale, ma invece ha preferito salvarti e prendere la chiave al posto tuo. Lo hai impressionato, e io mando i gatti a controllare tutte le mie protette!»
La donna sorrise, dalla poltrona sulla quale era seduta.

Ermenegilda a quell’ultima informazione guardò stupefatta la donna: era lei la Fata Madrina! E sapeva tutto fin dall’inizio! Certo, un po’ era orgogliosa di come si era complimentata per come aveva trattato il gattino, ma quella donna per quanto gentile sapeva tutto e non aveva fatto nulla! Ed Ermenegilda questo non lo poteva sopportare, non dopo quello che aveva subito in quei due giorni. «Come mai non ha mai fatto nulla? I nostri genitori sono stati portati via, le mie sorelle sono state punite per qualcosa di cui non hanno colpa! Volevamo solo cercare di salvare mamma e papà!»
La Fata Madrina sorrise, anche se il suo sguardo si indurì. «Io non potevo fare nulla. I vostri genitori si erano impoveriti per conto loro, sono stata io a mandare loro le mie ancelle accompagnate da una guardia: vi stavano per vendere per ripagare i debiti! E poi volevo vedere fin dove vi sareste spinte, conoscere la vostra vera natura.» «E qual è la risposta?», chiese subito laconica Ermenegilda.
«Tu sei un capolavoro. Anzi, tieni questi, come ricompensa!»

Ermenegilda cadde in un sonno profondo.

Tanto tempo fa, sulla sponda dorata di un lago sereno, abitava una famigliola di pescatori. Questa famigliola era composta dai due genitori e tre sorelline: Rodolfa, Genofrida ed Ermenegilda. Se Rodolfa e Genofrida erano molto graziose e si muovevano come sorrette dagli angeli, Ermenegilda invece era goffa ma dolce: trattava sempre con le massime cure il gattino selvatico che era solito appostarsi su uno dei rami del loro abete. Tutti andavano d’amore e d’accordo in quella famiglia, ma un male in verità minacciava di romperla in mille pezzi: la povertà! Quell’anno le trote di cui si nutriva e con le quali sopravviveva la famiglia di pescatori erano molte meno degli anni precedenti e lentamente i debiti avevano invaso le tasche dei due poveri genitori. Loro erano sempre allegri e amorevoli con le loro tre figlie, non volevano interrompere i loro felici pomeriggi e la scuola era importantissima, lo sapevano bene! Così, facevano buon viso a cattivo gioco.

 Almeno fino a quando Ermenegilda scese sola dalla cameretta da letto per parlare con la sua mamma e il suo papà.

Girava a piedi scalzi sul ruvido pavimento di pietra della loro bella casetta, con la sua camicetta da notte tutta rossa. Teneva in mano due grandissime corna da renna, di quelle renne grandi come quelle di Babbo Natale, ma solo tutte sfavillanti e ricoperte di perle e pietre preziose; su un corno c’era scritto: “Proprietà di Ermenegilda”, scolpito così a fondo nell’osso e ricoperto da così tante pietre che era ovviamente sua, quella proprietà straordinaria!
Ermenegilda disse solamente «Tenete, ve le regalo. Così restiamo una famiglia felice, no?», li abbracciò e tornò di sopra, a giocare con le sue sorelle: Rodolfa e Genofrida stavano giocando alle mogli e il gattino faceva lo sposo a turno di ciascuna!

E così, le tre sorelline vissero felici e contente; almeno fino a quando a scuola non ci furono gli esami! Ma quella è un’altra storia. Ciao!

Le mie letture nel 2022

Buongiorno! Oggi torno a parlare di letteratura condividendo con voi i libri che ho letto durante il 2022; non che siano tanti, alla fine sono una ventina abbondante. Perlomeno la percentuale di libri piaciuti è la più grande, per cui possiamo dire che sia stato un anno proficuo.

Libri non finiti:
– Moby Dick (in inglese)
– Saggio sul medioevo di cui non ho annotato il titolo

Libri brutti:
– Kill Creek
– L’uccisione del licantropo

Libri meh:
– La fabbrica dei corpi
– Merrick

Libri belli:
– L’universo, gli dèi, gli uomini: Il racconto del mito
– Il gatto nero e altri racconti del mistero e dell’immaginazione
– Fu sera e fu mattina
– C’è un cadavere in biblioteca
– Che cos’è la narrazione cinematografica
– Cinema e videogiochi
– Batman: Il lungo Halloween
– Wicked women of the screen
– Scuola omicidi
– Halloween: dietro la maschera di Michael Myers
– Il sedentario non ha colpe: come godersi la vita fino ai cent’anni con un corpo in salute, efficiente e pure figo.
– Lavoro, dunque, scrivo!
– Peter e Wendy
– Marilyn Monroe – Icone
– These violent delights
– Il mastino dei Baskerville
– Un cavallo per la strega

Di questi all’incirca venti ho scelto di parlare brevemente dei cinque che ho preferito; gli altri li potete a qui, sul mio secondo blog. Qualche riflessione veloce: quest’anno ho letto due libri di Agatha Christie e ho il grande sentore che fosse una razzista incredibile! Poi ho letto molti saggi mentre i libri che non mi hanno colpito favorevolmente sono prevalentemente romanzi, il che vuol dire che con la narrativa sono più di gusti delicati.

Wicked women of the screen è un libro in inglese che mi ha regalato un’amica e parla delle attrici che hanno interpretato ruoli ambigui o da villains; non solo in film horror o thriller, ma pure come bisbetiche in romcoms oppure femme fatales in generi erotici. Peccato che il libro sia degli anni ’90 perché ovviamente mancano la Cruella di Glenn Close o l’iconica e stronza Miranda Priestly di Meryl Streep!

Fu sera e fu mattina, unico romanzo della Top5, è scritto da Ken Follett e chiude la trilogia dei Pilastri della Terra, che io lessi alle medie. Che dire? Narrazione veramente avvincente per un tomo che potrebbe sorreggere da solo la mia pila di ansie. E poi ha un personaggio apertamente gay in primo piano, e il personaggio ha un ruolo narrativo attivo nella vicenda ed è caratterizzato oltre ad essere gay! Poi vabbeh, grande saga, io e le rosse principesse andiamo sempre d’accordo.

Lavoro, dunque, scrivo!, ora uno dei miei libri di testo, mi era stato consigliato da quello che ora è uno dei miei prof di corso, che l’anno scorso aveva gestito il laboratorio di una settimana introduttivo alla critica cinematografica. Facile da leggere, con riassuntini a fine capitolo e un’impaginazione chiara. Utilissimo.

Halloween: dietro la maschera di Michael Myers è un saggio che analizza i film della celebre saga anche dal punto di vista storico. Ovviamente essendo non di quest’anno mancano gli ultimi capitoli del reboot. Credo di averlo acquistato l’anno scorso a scuola!

Marilyn Monroe – Icone è un libretto che analizza la storia e l’iconografia della bionda diva. Ironia della sorte, lo lessi mentre Blonde stava uscendo e faceva scalpore! Poi Blonde non l’ho più visto, ma nemmeno mi interessa particolarmente. Il libro è veloce e conciso, dev’essere stato in una qualche collana in edicola; ovviamente di ‘ste collane prendo sempre il primo numero perché costa un solo euro.

E voi? Conoscete qualcuno dei libri che ho letto? E quanti libri avete letto nel 2022? Ovviamente io nella conta non ho incluso fumetti e riviste, eh! Ciaone!

Romantici vampiri e streghe del sangue: la mitologia gotica di Anne Rice

Buongiorno! Oggi dopo molto tempo torno a parlare di letteratura con una riflessione sull’ultimo libro che ho letto: Merrick, di Anne Rice. Per chi non lo sapesse, lei è una prolifica autrice fantasy che ha scritto diverse saghe e libri, uno dei quali è Intervista col vampiro.
Merrick è un libro che mi è piaciuto a metà, letteralmente a metà: solo la narrazione al presente è degna di nota, mentre quella al passato è caratterizzata da episodi fin troppi lunghi con troppe descrizioni.
Ma quello che mi ha colpito è la mitologia gotica ideata dalla Rice, mitologia che ho potuto assaporare nel suo splendore essendo Merrick un libro che unisce le saghe dei vampiri con quelle delle streghe Mayfair.

In Merrick sono presenti come protagoniste due tipologie di figure: i vampiri e le streghe. Poi compaiono anche i demoni e gli spiriti, ma solo come contorni e/o citazioni.

I vampiri di Anne Rice sono esseri immortali, che possono essere uccisi solo con il fuoco o la luce del Sole. Antropomorfi e facilmente scambiabili per uomini o donne, sono descritti con un aspetto languido ed esotico, più belli del normale e fatalmente irresistibili.
Hanno un discreto sistema magico, legato perlopiù alla psiche: dotati di maggiorate percezioni sensoriali, possono leggere la mente delle persone e, se abbastanza potenti, anche far migrare la propria anima al di fuori del proprio corpo. Inoltre, dal punto di vista del vampirismo, possono guarire il punto da cui hanno dissanguato la vittima per coprire le proprie tracce e, se abbastanza potenti e antichi, sono in grado di sopravvivere senza doversi nutrire di uomini.

Mi domando se Twilight sia stato concepito prima o dopo della pubblicazione di Intervista col vampiro.

Invece, le streghe di Merrick, Merrick stessa è una strega ed è attraverso le sue azioni che ho conosciuto la categoria, sono legate al Voodoo.
Magia del sangue, spiritismo, grande senso della religione e costruzione di incantesimi, le streghe Mayfair sono donne nere (caratterizzazione sospettosamente fin troppo rimarcata nel libro) e il loro immaginario è legato all’immaginario che si ha della gente nera.
Merrick non ha paura degli spettri, anzi è in grado lei stessa di evocarli, compie sacrifici di sangue e ha un libro di conoscenza degli incantesimi (una sorta di Libro delle Ombre, come in Charmed) e utilizza parti di cadaveri per i suoi incanti. Da non dimenticare l’importanza del sogno, che diviene intermezzo di comunicazione con gli spiriti e gli antenati.
Il suo corpo stesso è incantante: viene spesso descritta come ammaliante e irresistibile, consapevole del proprio potere e fiera di usarlo.

La mitologia gotica di Anne Rice secondo me ha influito tantissimo nell’immaginario romantico dei vampiri e infatti l’autrice è molto celebrata. Certo, personalmente non so se leggerò un altro romanzo a causa dell’importanza che la Rice dà al ricordo, con interminabili sequenze nel passato, ma il suo lavoro è interessante.
Tuttavia, forse, per le streghe c’è un piccolo problema di visione di insieme.

Qui puoi la recensione del libro assieme alle mie altre letture: https://ilblogditony.blogfree.net/?f=1129431

Penso e sbaglio: le copertine di libri e film devono essere attinenti

Buongiorno! Oggi torno a parlare di letteratura e cinema in senso lato, non come blogger o aspirante critico ma più come compratore: infatti, voglio parlare delle mie preferenze sulle copertine dei libri e sui poster dei film!
L’idea del post mi è venuta fuori dopo una discussione che a me sembrava amichevole, ma che forse dall’altra parte è stata percepita fastidiosa, con la bookblogger RedValentine (che seguo da tempo) riguardante la copertina dell’ultimo libro da lei recensito. La prima anima: il rito (cliccare sul titolo per andare al suo post e alla discussione).

Forse per chi mi legge come commentatore ma non mi legge come blogger posso risultare come una persona parecchio polemica e puntigliosa; cose tutte vere, non c’è che dire. Tuttavia, sono dell’opinione di ritenere il blog mio e altrui un luogo fonte di dibattito e che il dibattito in sé sia più importante dell’articolo in sé, a volte.
Perché è l’opinione altrui e la tua capacità di stimolarne la condivisione la tua forza di blogger.

Tagliando la testa al toro, lei recensisce questo libro fantasy e io sono veneto, ho studiato vicino a Venezia e frequento la città lacustre sin da bambino; mi ci perdo ancora ma come ecologia la conosco abbastanza anche perché viene spesso usata come fonte di esempio per i processi ecologici da parte dei miei ormai ex professori universitari.
Inutile sottolineare che il libro è ambientato a Venezia.
E che la copertina del libro non c’entri una minchia con Venezia.

In pratica, la copertina mostra i due personaggi che si danno le spalle (lui da le spalle a lei, che è in primo piano rispetto al resto del paesaggio). Questi due ragazzi stanno su delle rocce nere molto grosse in un mare in tempesta osservando un castello che si intravede nella nebbia con alcune gondole che sbucano dalla cornice dell’immagine.
Per chi è stato a Venezia, sa che questa immagine non c’entra nulla con la laguna di Venezia: la nebbia di notte è così fitta che di certo non vedi oggetti in lontananza, l’ambiente è lagunare e non scogliero, e di certo se il mare è così mosso la nebbia non c’è. Potremmo dire che è ambientato nel passato (niente Mose per le onde, quindi), ma gli abiti sono moderni. Lasciamo un velo di speranza sul castello, essendo il libro un fantasy ci sta come il castello di Hogwarts.
E una gondola non fa Venezia: se uno disegna il Big Ben sulla Luna vuol dire che Londra è finita in orbita?

Qui non sto a criticare il libro in sé ma la copertina del libro. Perché la copertina di un libro, o di un film, è il suo biglietto da visita.

E quindi qui voglio fare un discorso a parte proprio su questo dettaglio: un libro può essere anche scritto in maniera splendida, ma se ha una copertina di merda, ha una copertina di merda.
Mi ricordo da piccolo che mia mamma era scoppiata a ridere quando volevo comprare un libro in libreria. Perché? Perché era lo stesso libro che avevo disdegnato nella biblioteca di casa nostra, ma in quel momento avendo una copertina diversa e accattivante per i miei gusti mi aveva interessato!

Secondo la mia opinione di fruitore e quindi di sborsa i soldi per acquistare un’opera altrui, la copertina ha un ruolo importante. Molte volte scelgo i film perfino per il cast: se un film ha attori che non rientrano nella mia scelta estetica, esso deve avere una trama veramente forte per interessarmi. Un po’ come ho fatto prima per The Middle e poi con The Goldbergs.
Un libro deve avere una copertina accattivante, curata, se racconta di un luogo reale o mostra un dettaglio importante o se vuole raccontare il luogo che sia almeno verosimile!

So che questo è un discorso campato in aria da un maniaco del controllo, ma per me l’estetica deve essere importante. E anche la grafica.

Per ora, i libri con le copertine più brutte sono o i classici nelle edizioni economiche (sono classici, qualche gonzo che te li compra lo trovi lo stesso 😂) e gli young adults. Mi ricordo che Hunger Games aveva copertine con un senso logico; e cos’ha fatto la saga di Divergent? Scopiazzato malissimo, con copertine che non hanno senso di esistere. Anche Starcrossed si salva, ma già con il super best seller di After si cade in basso.

Per i film invece è tutto un altro discorso. Là si va direttamente con lo spoiler : poster e copertine pesanti, piene, horror vacui a manetta, con il retro del DVD ricolmo di immagini teoricamente stimolanti l’interesse. Poster titanici.
E i film hanno anche un altro problema: i trailer.

Ma quanto sono brutti i trailer di oggi?
Ormai rivelano tutto il film, o quasi. Più di due minuti di roba, più trailer dello stesso film che sembrano narrare pellicole diverse. Caratterizzati, soprattutto se da grandi case di produzione, da una o due scene super veloci tipo jumpscare e poi una seconda parte super lenta (in cui vengono date moltissime informazioni).

Mi ricordo il caso più eclatante di trailer gestito malissimamente con il film Dream House, un thriller uscito nel 2011 con Daniel Craig e Rachel Weisz. Il trailer mostrava letteralmente tutto, con il botteghino floppato miseramente e il cast che si rifiutava di pubblicizzarlo.

Insomma, per me la copertina è un elemento essenziale dell’opera da commerciare. Sinceramente, preferisco un’immagine astratta o misteriosa come si usa per i thriller italiani piuttosto di queste immagini mirabolanti che alla fine destabilizzano la realtà o c’entrano poco con l’opera in sé.

E voi? Alla fine ho scritto questo post di pura pazzia anche per giustificarmi. La blogger, che continuerò a seguire e che non voglio minimamente attaccare usando questo post, mi ha scritto questo:

Mi sembra inoltre che qui si stia giudicando – in modo affrettato – un libro dalla sua copertina: infatti se tu provassi a leggere questo romanzo noteresti subito che la scrittrice è della zona, la quale conosce benissimo Venezia, che viene descritta alla perfezione nelle piazze, nelle vie, negli edifici, nel cibo e nelle isole della laguna.

Concentrarsi su queste banalità e non sulla struttura della trama è proprio il tipo di pregiudizio che chi ha un blog/pagina/sito, e si occupa di recensioni, dovrebbe evitare per essere credibile.

Io infatti stavo commentando la copertina come lavoro a sé. Non ho letto quel libro e sinceramente con tutti i libri che ho da leggere non sono interessato a un romance paranormale.
Ma quindi non è possibile parlare di una copertina senza parlare dell’opera che essa introduce?

PS: la blogger in questione poi mi ha risposto (commento a cui non voglio dare seguito) consigliandomi altri libri che secondo lei rispettano il mio ‘senso di protezione verso Venezia’; e sono tutte guide turistiche.
Io sono sempre stato garbato, vi ho linkato l’articolo e potete leggere la discussione; ma questo mi sembra un attacco personale, una derisione da un tipo di blogger che pretende solo apprezzamenti e che non è capace di discutere. ORA il fatto di seguirla ancora dopo questo ultimo commento è messo in discussione perché l’ho interpretato come una derisione verso la mia persona e la mia voglia di fare un dibattito con un altro blogger perdendo mio tempo.
Assurdo.

Le mie letture nel 2021

Buongiorno! Oggi torniamo a parlare di letteratura con la lista riassuntiva delle mie avventure letterarie svolte durante l’anno appena trascorso; irrealisticamente, sono state tutte letture positive!

Nel 2021 ho letto ben 10 libri più alcuni numeri di manga, una grapic novel su Swamp Thing (o erano tre numeri riuniti in un libro figo?) e ben 9 numeri del magazine Ciak. Qui parleremo solo di libri che siano romanzi, saggi o racconti, per gli altri cliccate qui.

Iniziamo:

Dorian Gray. Elegante e veramente lussureggiante, la narrazione unisce il piacere dei sensi alla depravazione dell’omicidio senza remore. Interessante è che l’autore fosse stato accusato di spingere i giovani all’omosessualità, ma nel romanzo non ci sono accenni a relazioni gay o bisessuali; l’unico dettaglio potrebbe insinuarsi nel passato osceno di Dorian con cui lui ricattava i giovani rampolli della società che era solito frequentare.

Dall’elegia di Tibullo alla favola di Fedro: antologia di testi poetici commentati. Non posso dire sia stata una lettura divertente, chi la troverebbe divertente? Però è stato interessante, è un utile libro per approfondire le proprie conoscenze, io lo consiglio.

Frankenstein. Qui sono mesi che mi mangio le mani: ho cercato una bella versione per mesi ma non l’ho trovata, compro una versione bruttissima per ragazzi (con le spiegazioni delle parole desuete a lato) con l’assicurazione della commessa che il testo non era ridotto o semplificato; una settimana dopo esce in edicola la collana dei Maestri del Fantastico, quella con le copertine stupende. Fuck you.

Jane Eyre. Sicuramente una delle letture preferite dell’anno, amavo gli sceneggiati e ho amato questo libro. E poi, dal mio studio al liceo sembrava che Jane alla fine facesse la badante (dell’amato) povera in canna, quando in verità lei sì farà praticamente da badante ma comunque ha ereditato una discreta somma; quindi è un lieto fine perché stanno insieme ed è ricca!

Romeo e Giulietta. Letto in madrelingua con la traduzione a fronte se avevo problemi, è stato sicuramente istruttivo ma anche noiosetto; troppi dialoghi e poca narrazione. Poi inizialmente ho pure avuto problemi a leggere perché c’erano alcuni cambiamenti alle parole per la metrica e quindi non capivo mai (per esempio) a quale declinazione di “have” si stesse riferendo, oppure anche “of” cambiava, credo. Casini.

Cratilo. Non amo molto i dialoghi platonici, questo era interessante perché spiegava l’etimologia delle parole. Ma non mi sento di consigliarlo se non ai diretti interessati.

Cruel as the grave. Seconda lettura in madrelingua dell’anno, si tratta di un avvincente thriller storico ambientato ai tempi della regina Eleonora: il suo Queensman deve snodare intricati problemi politici e al tempo stesso capire chi ha ucciso una povera ragazza. Stupendo, ve lo consiglio!

Evoluzione storica e stilistica della moda, il novecento: dal liberty alla computer-art. Questo è diventato parte della mia biblioteca da blog e racconti, parla dell’evoluzione della moda dai primi del ‘900 fino agli anni ’80 e quindi, beh, con tutti quei modelli spiegati nel dettaglio arrivando a spiegare perfino gli oggetti e i traguardi dell’epoca, contestualizzando quindi anche il perché di certi cambiamenti di costume, è un piccolo manuale del vestito!

Uno straniero allo specchio. Stupendo romanzo scritto dallo sceneggiatore premio Oscar Sidney Sheldon, quello che ha scritto tra gli altri Vento di primavera. Il romanzo è intriso dei costumi di Hollywood, dei suoi scabrosi angoli nascosti che rovinano la vita, delle stelle che lo compongono, degli spettacoli maestosi. Ho adorato leggere il romanzo, ve lo consiglio, sia che siate cinefili sia che siate maniaci delle letture!

Fiabe dei fratelli Grimm. Lo ammetto, ci ho messo tre mesi a concludere la lettura di questo mattone, ma erano più di mille pagine e una fiaba per essere apprezzata non può essere letta subito dopo la precedente! Alcune le conoscevo, altre mille no. Interessante è che alcuni schemi di narrazione sono presenti in moltissime, è facile riconoscere alcune basi su cui sono state costruite tutte le fiabe successive; e la tradizione orale spiega perché ci siano così tante storie simili.

Per me, è perfetto come Dorian vero?

Ecco, siamo arrivati alla fine dell’articolo! Come al solito, vi lascio qualche link interessante alla fine, qui sotto, e vi saluto. Ciao!^^

Le mie letture 2020: qui.

Le mie letture del 2019: qui.

Le mie letture estive: qui.

Il mio racconto Il Buon Doriano, ispirato alle fiabe: qui.

Il mio racconto ispirato alle fiabe: qui.

Io quando entro in una libreria o un’edicola che vende libri!

Racconto originale: Luminosa

Era stata una giornata soleggiata, calda.

Quando aveva posato il pettine d’avorio lavorato a mano e scolpito con le figure di un fiore morente, quando lo aveva posato sul comodino al fianco del letto non avrebbe mai potuto immaginare cosa quel giorno le sarebbe successo. Le sue labbra umide erano annoiate, passava il tempo a mangiucchiarsele mentre con le unghie nere con pois argentei tamburellavano sul tavolino servitore in mogano. Quando aveva posato il pettino d’avorio la luce del mattino la cercava, ma nonostante la luminosità della stanza quell’esile raggio non riusciva a oltrepassare la testata del letto: lei era nell’ombra mentre l’insegnante paonazzo di sudore farneticava davanti a una lastra nera piena di decorazioni inutili.

Era stata una giornata soleggiata, calda. Luminosa.

La aveva infastidita parecchio avere subito il dovere di sprecare una delle rare giornate di sole nella sua camera, dentro all’ombra con l’apparecchio appoggiato al mogano sulle lenzuola di lino rosso. Era stanca di dovere passare le giornate chiusa in casa, come se fosse una vergine chiusa in attesa che un signore le facesse la proposta di matrimonio; prima di passare di proprietà. Pure in quella giornata chiaramente soleggiata, per quanto le tende nere tirate potessero lasciare intendere, era dovuta restare in casa ad ascoltare ciò che quel noioso aveva da dire al resto della classe.

Era stata una giornata soleggiata, calda. Luminosa. Sprecata ad ascoltare.

I lunghi capelli d’oro, quasi scolpiti e manipolati in lunghi ricci con gli attrezzi del divino Efesto, le incorniciavano il viso lentigginoso. Era bianca, come il latte più puro senza alcuna impurità. Solo le lentiggini rosse sul naso e le guance rosee dipingevano distrazioni possibili a quegli occhi viola, scuri, profondi, in realtà di un blu così oscuro che la gente osservandola potesse ingannarsi di adorare una dea scesa in terra. Li aveva appena pettinati, lo strumento bianco era ancora posato sul comodino a fianco del letto a comodino, ma aveva subito ripreso a passarseli tra l’indice e il dito medio; il resto delle punte le coprivano il corpo che le lenzuola non erano in grado di coprire. Sospirava intrappolata nella trappola di mogano. Molte volte gli occhi le cadevano verso la testata, verso l’unica finestra, verso l’unico balcone della stanza; prontamente coperto con scuri tendaggi dalle servette imbecilli.

Era stata una giornata soleggiata, calda. Luminosa.

Era stata una giornata lunga e calda. Se qualcosa fosse successo lei se ne sarebbe accorta: ore passate rintanata a letto ad ascoltare un professore ciarlare mentre lei era rinchiusa nelle proprie stanze per studiare. Erano settimane, poi mesi, ora perfino anni che le costrizioni la costringevano a rimanere costretta a letto o se osava uscire costretta a indossare una maschera che nascondesse il naso e la bocca che tanti sventurati bramavano ma che lei non aveva mai concessa. E passava le ore con il suo strumento, di dolori e di piacere, di assuefazione e di dipendenza, per ascoltare ciò che i professori dal vivo non potevano ascoltare, per comunicare con persone non incontrate mai veramente o conosciute profondamente. Stava costretta a letto perfino in una giornata luminosa. Calda. Come lei.

Era stata una giornata calda.

Ma fu quando il computer si spense che rimpianse totalmente di non stare correndo a piedi nudi nel parco della sua villa che soleva chiamare giardino! Quando ogni attività nel mezzo si spense, lo schermo si oscurò e il riflesso di una deliziosa e pura ragazza dai capelli d’oro e le labbra fragolacee si mosse.

Luminosa.

Mentre si riprendeva dal suo spavento ignominioso, si accorse che aveva scalciato dal terrore: il tavolino appoggiato alla pelliccia di orso bruno che le fungeva da coperta si era ribaltato, con esso il congegno elettronico ormai irreparabilmente spezzato nei due pezzi della sua conchiglia. I lunghi capelli non erano più posati sui seni ma avevano deciso di plasmare la figura di una calda nube del tramonto senza vento, sparsi nell’aere, le labbra rosse si erano contratte in un urlo osceno, gli occhi viola si erano dilatati prima di venire racchiusi nelle palpebre per lunghi ed estemporanei minuti. Quando si riprese, si tirò a sedere, guardò alla propria destra e trasalì, coprendosi la propria viva purezza con la pelliccia morta: non era sola.

A osservarla in piedi si stagliava una donna altera, bella, di trascendente potenza. I lunghi capelli ricci le ricadevano mentre un sole splendente e luminoso li irradiava come fossero una piccola massa astrale capace di illuminare lo spazio circostante. Gli occhi blu così profondi da apparire violacei agli occhi esterrefatti della ragazza la fissavano rilassati, mentre le belle labbra scarlatte sorridevano placidamente. Indossava una veste trasparente che nascondeva in bella vista il corpo scolpito nella grazia divina, la copriva come se fossero state le lenzuola strappate via dal materasso di un letto a baldacchino, se si sforzava molto concentrandosi in tutta quella magnifica immensità, la ragazza poteva anche scorgere quelli che sembravano peli marroni sparsi sulla veste come se qualcosa simile ad una pelliccia vi fosse stata posata fino a un attimo prima. Ma erano gli occhi così profondi da apparire violacei agli occhi esterrefatti della ragazza che ne catturarono definitivamente l’attenzione: erano calmi, uno sguardo calmo, calma fu la voce che la ragazza udì:

«Ave, Maria, grátia plena, Dóminus tecum. Benedícta tu in muliéribus, et benedíctus fructus ventris tui, Iesus. Sancta María, Mater Dei, ora pro nobis peccatóribus, nunc et in hora mortis nostrae…»

E si inchinò mentre la ragazza, studentessa modello di un liceo classico, sbarrava gli occhi nei pressi della propria turbazione per gli eventi che sconvolsero la sua giornata calda, torrida e soleggiata passata fino a quel momento nell’ombra.

Tempo di pace

In un paesino di montagna, Pelaghe, vicino a Rizzios, nel Cadore, un giovane uomo osserva il proprio telefono cellulare. Sono ore che è impegnato a disperarsi, a chiedersi come mai nessuno gli scriva, come mai nessuno pensi a lui, come mai nessuno si ricordi di lui. È da minuti interi fermo, sul letto, dritto appoggiato allo schienale, teso e gonfio di lacrime; non piange solo perché è abituato. Con una mano tiene lo smartphone, nell’altra sfoglia ossessivamente il proprio diario. Un diario scritto a mano, dove riporre la propria desolazione e il proprio bisogno di compagnia, una compagnia che non ha e probabilmente non troverà in un prossimo futuro. Posa il cellulare sul letto, ai piedi, e prende con entrambe le mani quelle pagine ricolme di dolore e solitudine; una lacrima finalmente gli scende.

Fattosi coraggio, butta per terra il diario e afferra il telefono, lo accende e guarda nei suoi contatti: vuole telefonare a qualcuno! Quindi inspira, sospira e gli viene il singhiozzo. Tutto sconquassato da questi singhiozzi violenti e rumorosi, scorre i nomi delle persone che conosce e finalmente sceglie Luca, il suo unico amico fino a qualche tempo prima; prima che smettesse di messaggiargli. Sta fermo qualche secondo, nel frattempo una mosca inizia a ronzargli intorno, solo i singhiozzi testimoniano che egli sia una persona viva, in grado di comunicare. Il telefono squilla, i secondi passano, la telefonata viene respinta, il cellulare torna alla schermata principale. Il dolore gli spegne ogni speranza, perfino il singhiozzo.

Improvvisamente, dopo essere rimasto fermo con la lacrima splendente che gli scivolava addosso, sulla guancia scavata, suona l’allarme del telefono: sono le sedici in punto, si deve affrettare per non perdere l’unico autobus della zona per recarsi ad una seduta di psicoterapia. A lui, non è mai piaciuta la psicologa, lo infastidisce, lo mette a disagio parlare dei propri problemi, lo ha scritto ripetutamente perfino nel diario, ma i suoi genitori lo obbligano; quindi lui ci va.

Il percorso dalla palazzina in cui abita alla fermata è tranquillo, troppo tranquillo. Sente solo i propri passi, le popolazioni di conifere della zona lo circondano, non si vede una casa a vista d’occhio. Prima di trovare un’altra casa, un burrone si presenta nella sua maestosità: decine di metri di salvezza per cuori straziati come il suo. Lui molte volte ci ha pensato, di buttarsi. Mai veramente presa sul serio come soluzione, ma ci ha pensato: infatti, come potrebbe altrimenti uno stupido in sovrappeso come lui trovare la pace dei sensi? Se lo ripete sempre, borbottando tra sé e sé, si trova a ripeterlo anche quando arriva alla fermata dell’autobus dove trova Irene.

Irene siede sulla panchina verde, è bella come un fiore di Narciso, splendente come un torrente colpito dal sole, solare come una gemma sul punto di sbocciare. Siede sulla stessa panchina su cui si deve sedere il povero ragazzo, ma, impacciato, non sa cosa deve fare, non sa se restare in piedi e fare in modo di non compromettere quella visione con la propria orrida figura, non sa se sedere e sudare per stare accanto a una ragazza tanto, semplicemente, donna; lei è donna, una donna bella e splendente e solare, lui invece non si considera nemmeno un uomo.

Irene aspetta come lui, deve prendere un autobus come lui, per andare in un villaggio di montagna come lui, probabilmente aspetterà molto tempo prima di riuscire a ottenere il suo scopo proprio come lui, ma a differenza di lui non sente il bisogno di sentirsi accettata e non teme il confronto: come lo ha visto, gli ha chiesto se volesse sedersi accanto a lei «C’è posto, sai? Che fai in piedi tutto solo?». Ma lui invece non se la sente, suda e ha pure un leggero tic alla mano, che si chiude e apre con scatti irregolari.

Alla fine, però si siede.

Irene emana un profumo di rose fresche, quelle fresche ancora brillanti di rugiada, grandi rubini rossi impreziositi dai piccoli diamanti incastonati su di essi. Ogni tanto Irene guarda il proprio Smartphone, ogni tanto sorride alla natura, gli uccelli che sfrecciano sopra agli alberi, il vento sulle fronde che si porta dietro gli aghetti più marroni, gli animaletti indistinguibili che si spostano sul sottobosco e provocano un simpatico crepitio di foglie secche. Irene non sa che lui la sta fissando con la visione periferica dell’occhio, Irene non sa che lui sta sudando per pensare a cosa dirle e Irene non sa che il cuore di lui sta accelerando sperando che lei gli rivolga un sorriso. Irene sa solo di aspettare l’autobus per ritrovare a Calalzo una delle cose più banali di questo mondo ma che al ragazzo manca: gli amici.

«Ciao, sono… Sono…»

Irene, sentiti questi balbettii, si gira verso quello strano sconosciuto. Lo squadra velocemente, begli occhi scuri e profondi, mascella forte, e si chiede come mai stia balbettando; sorridendo, e toccandogli gentilmente una mano, glielo chiede esplicitamente. Lui non risponde, è troppo nervoso, vede grigio e la testa gli gira.

Deve appoggiarsi alla parete di vetro del loculo in cui è posta la panchina per aspettare i mezzi pubblici. Ma quando rinviene, non solo Irene è sparita, ma in lontananza l’autobus sta andando verso le montagne, verso il tunnel che collega Pelaghe a Rizzios. Finalmente piange.

«Veronica, pronto? Sì, sono io. Mi dispiace, ma non ho potuto prendere l’autobus e quindi non posso venire… Sì, lo so. Sto bene, sì sto bene. Possiamo fare la seduta venerdì prossimo? Sì… Certo, ci sarò. Arrivederci.»

Stanco e sfinito, reduce da un episodio per lui disastroso e umiliante, torna a casa. Non vede nemmeno il burrone presso il quale è solito fermarsi a disperarsi, non cerca nemmeno di riflettere sull’accaduto: sa cosa ha sbagliato, una volta a casa lo scrive sul diario, lo evidenzia sul diario, lo trascrive su un foglio e se lo appende alla parete di fronte al letto della propria camera. Un episodio tragico, un episodio, che lo ha mandato in crisi.

Tre giorni dopo, ad aprirgli la porta c’è Veronica, una donna di mezza età dal sorriso gioviale e dalle maniere rassicuranti. Con un sorriso largo e un gesto teatrale, spalanca l’ingresso al proprio studio e lo invita a sedersi.

«Buongiorno, carissimo! Come stai oggi?»

Il ragazzo, leggermente rassicurato dalle attenzioni ricevute, accenna un sorriso anche se i suoi occhi testimoniano l’enorme insicurezza che lo contraddistingue. «Bene, grazie. Mai stato… Meglio.» Lentamente, il giovane uomo segue la donna e si siede su una grande poltrona verde, posta a pochi centimetri dalla scrivania dietro alla quale prende posto su un’altra spaziosa poltrona la psicologa Veronica.

«Allora, carissimo, come hai passato questo mese?» Lo sta guardando dritto negli occhi; serena ma pur sempre diretta nelle parole e nelle azioni.

«Sì, certo. Bene, ho studiato molto sai? Ho anche preso dei sei, finalmente… Posso avere una caramella?»

«Su, non dimenarti e cerca di stare fermo. La caramella te la do se collabori, non puoi svicolare la tua attenzione non appena trovi qualcosa che ti mette in difficoltà! Come mai non sei venuto, martedì?»

Il ragazzo suda freddo: non sa se rivelare l’accaduto, la sua situazione in tutta la solitudine che la caratterizza, o tacere e inventare una scusa al momento; propende per la seconda, ma la giornata di martedì era stata troppo sfiancante, deve sfogarsi e lo fa.

«No nulla è che… Mi sento, mi sento solo. Terribilmente solo. Sento di aver perso i legami con le persone che mi circondano. Nessuno mi vuole. Nessuno mi cerca. Passo ore al computer ma non ho notifiche né su Facebook né su Instagram né su Twitter! Su Telegram e Whatsapp non arrivano messaggi, i soli che mi arrivano sono dei miei genitori per ricordarmi di stendere la biancheria, tirare dentro il bidone dell’umido e preparare la tavola! È… È come se vivessi in una grande bolla e non riuscissi a farla scoppiare! Io mi sento morire dentro, non voglio questa vita ma è la vita che mi sta dando questo! E… Posso avere una caramella?»

Veronica lo osserva attentamente, mentre chiude ripetutamente le dita della mano come se provasse a strangolare il dolore che lo strozza. Lei resta immobile, con i gomiti sul tavolo e le mani congiunte davanti agli occhi; è lui che si muove, finalmente, è lui che urla il suo disagio. Allora lei acconsente a fargli prendere una caramella dal vasetto di porcellana sul lato destro della superficie lignea.

«E perché non chiami mai i tuoi amici?», chiede allora con prudenza.

«Ma quali amici? Nessuno mi cerca, nessuno mi vuole! Prima ho chiamato Luca e lui… E lui… E lui ha riattaccato! Mi ha spento il telefono in faccia! Io… Non ce la faccio più. So che è tutta colpa di questo corpo, grasso e deforme. I miei non vogliono iscrivermi in palestra, so che se ci andassi e diventassi figo, tutto si risolverebbe! Sì, è questo il problema: la gente vuole stare con altra gente bella e sicura di sé, non con quelli come me.»

«E perché allora non ti fai nuovi amici? Cosa hai paura quando devi parlare con qualcuno che non conosci? Che ti giudichi? Che ti rifiuti?»

Il ragazzo sospira e si affloscia sulla sedia: «Che mi rifiutino e si prendano gioco di me.»

Finita la seduta, arrivato finalmente alla fermata tra Rizzios e Pelaghe, scende dall’autobus. Sorride, dalla psicologa si è finalmente aperto, le ha parlato come mai aveva fatto prima, le ha esposto le proprie insicurezze, come passa ore allo specchio a sollevare la pancia gonfia e disgustandosi di essa, come non parli mai con nessuno che non sia della propria famiglia. Ora, per le prossime tre settimane ha un compito: parlare con la gente che incontra per strada, al panificio, a scuola, in piscina.

Così, inizia a uscire, cercare nuove conoscenze, trascinarsi a scoprire nuovi posti. Si sente sempre stupido, brutto, grasso, rivoltante. Ma vede anche qualcos’altro oltre ai propri disastri: infatti, ormai non si ferma più a osservare il burrone vicino a casa, ma solo i tramonti delle sere che torna dal nuoto. Si sente meglio, meno pesante.

E quando, un giorno, alla stessa fermata del bus di qualche settimana prima, incontra di nuovo Irene, sempre sorridente mentre aspetta il proprio autobus, lui la saluta e prima che lei possa dire o fare qualsiasi cosa, lui forzatamente sorride timido e arrossato: «Ciao… Come, come ti chiami? Io sono… Io sono Leonardo…»

Le mie letture del 2019

Buongiorno, oggi ho voluto condividere le mie letture svolte durante l’anno 2019. Tutti i libri che consiglio o sconsiglio hanno un loro commento all’interno dei miei due blog in cui spiego al momento della lettura perché mi siano piaciuti o meno. Alcune scelte saranno scontate perché li avrete già letti e sono i miei cavalli di battaglia; altre invece vi sorprenderanno!

Libri che mi sono piaciuti:

Libri che non mi sono piaciuti:

Questa è la mia lista di letture del 2019. Ora sto finendo una guida ai codici comparati del cinema e del fumetto; in futuro leggerò il libro che mi è stato regalato per Natale e credo proprio che continuerò la lettura di guide al cinema: una all’erotico o al porno e una direttamente sul tipo di inquadrature e il loro significato. Inoltre, mi è rimasta la voglia di leggere Le streghe di Eastwick, nata in me alla visione del film.

Quali sono le vostre letture del 2019? Conoscevate tutti i libri che avete visto nelle due liste? Siete d’accordo su tutto o ho appena bestemmiato?

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Puzza de sterco ma lo sterco ha fertilizzato il mio 2019 xD

Book tag: Would you rather…?

Buongiorno! Oggi voglio proporre una tag che ho conosciuto grazie a Eleonora, una blogger che seguo e che parla essenzialmente di letteratura; potete trovare la sua tag qui. Questa tag è molto simpatica perché è incentrata sui libri e non partecipando a nessuna catena da un po’ di tempo ho deciso fosse un bel modo per passare la parola!

Le domande sono:

  1. PREFERIRESTI LEGGERE SOLO SAGHE O AUTOCONCLUSIVI?
  2. PREFERIRESTI LEGGERE SOLO AUTORI MASCHILI O FEMMINILI?
  3. PREFERIRESTI COMPRARE SOLO IN LIBRERIA O SU AMAZON?
  4. PREFERIRESTI CHE I LIBRI DIVENTASSERO SOLO FILM O SERIE TV?
  5. PREFERIRESTI LEGGERE SOLO CINQUE PAGINE AL GIORNO O CINQUE LIBRI A SETTIMANA?
  6. PREFERIRESTI ESSERE CRITICO PROFESSIONISTA O AUTORE?
  7. PREFERIRESTI DOVER RILEGGERE SEMPRE I TUOI VENTI LIBRI PREFERITI O LEGGERE TUTTO FUORCHÉ QUELLI?
  8. PREFERIRESTI ESSERE UN BIBLIOTECARIO O UN LIBRARIO?
  9. PREFERIRESTI LEGGERE SOLO IL TUO GENERE PREFERITO O TUTTO FUORCHÉ QUELLO?
  10. PREFERIRESTI LEGGERE SOLO LIBRI FISICI O SOLO EBOOKS?

Quindi bando alle ciance e cominciamo!

  1. Alle medie non ho fatto altro che leggere saghe letterarie: Harry Potter, Percy Jackson, Starcrossed, Hunger Games, Gli eroi dell’Olimpo, Eragon ecc ecc ( sì, avevo molto tempo da buttare se sommato a quello speso per le sitcom di Italia1 ); ora tuttavia devo ammettere che preferisco libri autoconclusivi oppure tronco la saga al capostipite; forse perché ora a pagare i libri che leggo sono io!
  2. Io non bado mai se l’autore è maschio o femmina, ma invece mi baso solo sulla piacevolezza della lettura e sui temi trattati.
  3. Io preferirei cercare nei negozi o sulle bancherelle, ma devo ammettere che certi libri rari come la mia guida al cinema porno o libri in inglese li ho trovati solo ordinandoli su Amazon. Vanno bene entrambi.
  4. Sul mio blog ho ospitato più volte comparazioni tra libro e il suo adattamento cinematografico e molte volte la fedeltà viene a farsi benedire molto facilmente; inoltre, sono due media molto diversi, quindi direi una serie televisiva fatta come si deve: lunga, molti episodi, cast solido ed estrema fedeltà di temi. King è la dimostrazione vivente che un buon libro non sempre si traduce in un buon film.
  5. Solo cinque pagine al giorno, di solito leggo andando alla uni. xD
  6. Preferirei essere un regista, ho delle idee in testa a livello visivo, è molto difficile tradurle in lettere. Ma anche il critico cinematografico o letterario che sia sembra molto intrigante!
  7. Una volta rileggevo sempre i stessi libri, soprattutto Harry Potter e Starcrossed, ma ora tendo a rileggere poco. Meglio la novità.
  8. Librario, una paga migliore e soprattutto direzionare gli acquisti dei compratori se mi chiedono consiglio!
  9. In verità non ho un genere, forse preferisco i thriller ma non ne sono sicuro; ecco, so che non sopporto i fantasy su carta e gli horror raramente mi spaventano. Forse basta variare e scoprire cosa c’è che possa ispirarmi.
  10. Gli ebooks non mi piacciono, ho bisogno di sentire la carta sotto le dita, sfogliare una pagina e mettere il segnalibro al nuovo capitolo al quale sono arrivato. Meglio i libri cartacei.

Queste sono le mie risposte, spero vi siano piaciute e che vi abbiano intrigato a proporne di vostre! Ciaone a tutti, chiunque voglia continuare la catena ha la mia benedizione!

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