Fobo e Deimo: quando l’Amore si unisce alla Guerra

Se vi cito Fobo e Deimo, voi a cosa pensate? A nulla? Ok. E se vi dicessi Φόβος e Δεῖμος? Sì, sono letteralmente Paura e Terrore, i bei figli di Afrodite e Ares!

Nella mitologia classica:

Fobo e Deimo sono stati citati da due soli autori: Esiodo e il mitico Omero.
Esiodo, nel suo poema Teogonia, afferma che Fobo e Deimo «agitano le folte schiere degli uomini nella guerra paurosa con Ares distruttore di città».
Omero invece li cita spesso nell‘Iliade dove accompagnano il padre sul campo di battaglia. Inoltre, Fobo è raffigurato sullo scudo di Agamennone accanto alla Gorgone (associazione interessante tra l’altro, Medusa è legata al rimorso).

Entrambi gli autori concordano che siano figli di Afrodite e Ares, dell’atto sessuale e dell’atto dell’uccisione. Figli degli istinti animali residui nell’uomo, se vogliamo.

Nella cultura moderna: Doom!

Eh già! Sono riuscito a collegare il videoludico franchise horror alla mitologia classica! Ma come? Premesso che Doom fa indubbi riferimenti alla mitologia cristiana e alla Bibbia, gli autori di Doom hanno ambientato i primi due episodi di The Ultimate Doom sulle due reali lune di Marte: Fobos e Deimos!
Sì: il marine deve affrontare uno degli orrori più grandi che hanno minacciato l’umanità su lune che prendono il nome da divinità che incarnano esse stesse questi orrori! Geniale, no?

E voi? Conoscevate questi figli di Afrodite? Che idea vi siete fatti della dea dai mille figli? Meglio lei o Echidna?
Ma soprattutto, finalmente sono tornato a parlare di mitologia! Grande ritorno.^^

L’Empusa e il Vampiro

Le bestie malvagie che popolavano le leggende europee erano gli abitanti notturni della foresta e delle montagne: pipistrelli, topi e lupi. Dai molti racconti morali e mitologici che li vedono protagonisti sono nati due celeberrimi personaggi cinematografici: il vampiro e il lupo mannaro. Entrambi sollecitano i nostri desideri notturni e hanno a che vedere con la sessualità e il dominio fisico. Entrambi ci spaventano perché fanno emergere tutta la nostra fragilità: chiunque può essere trasformato in un vampiro o in un licantropo.

L’Empusa

L’Empusa è una creatura mitologica, ancella del seguito di una delle divinità greche più antiche e temute: la Notte.

Viene descritta in testi arrivati a noi unicamente da Aristofane. Il suo nome potrebbe derivare dal verbo ‘Empino’ che vuol dire bere o tracannare, oppure da ‘Katempazo’ che significa sorprendere.

Come molti mostri della mitologia greca aveva sembianze sì vagamente antropomorfe ma anche cangianti: era uno spettro che prendeva le sembianze di una bellissima donna per attirare gli uomini e succhiare loro il sangue fino alla morte. Morire per amore, come si suol dire. Secondo Aristofane, l’Empusa aveva una gamba di legno e una di letame; da notare, che come spesso accade, dal busto in su rimaneva una splendida donna come simbolo di ambiguità e il binomio amore-odio dell’uomo greco verso la donna.

L’Empusa nella cultura moderna compare principalmente nella saga di Percy Jackson, in La battaglia del labirinto (almeno tra i libri delle due saghe principali che ho letto). Un piccolo cameo per una scena di combattimento molto carina nello stile fanciullesco e scanzonato del personaggio!

L’Empusa e il Vampiro

Nella cultura romantica la figura dell’Empusa è di estrema importanza perché di fatto essa rappresenta uno dei riferimenti in letteratura più antichi per la figura del Vampiro! La potremmo chiamare la Madre dei Vampiri!

Interessante è che il Vampiro simbolicamente rappresenti la brama di vivere che rinasce ogni volta che la si crede placata e che invano ci perdiamo a soddisfare finché non riusciamo a dominarla; il Vampiro infettando le sue vittime con la propria maledizione, quindi, trasferisce sull’altro questa fame divoratrice che alla fine è solo un fenomeno di autodistruzione: il Vampiro rappresenta un’inversione delle forze psichiche contro se stessi!

I primi Vampiri al cinema

La figura del Vampiro è sempre stata molto presente al cinema, fin dai suoi albori. Dracula, le Vampire come donne assetate di potere e di sesso, il Vampirismo come dramma esistenziale e sociale verso la società costrittrice.

Un film molto interessante è La Vampira, del 1915. Diretto da Frank Powell e interpretato da Theda Bara, è un vero melodramma. Lei è il Vampiro, una bella donna senza cuore che con la sua lascivia porta gli uomini alla rovina. Una chiara similitudine al comportamento dell’Empusa.

Nella famosa serie Les Vampires diretta da Louis Feuillade, sempre del 1915, l’attrice Musidora interpreta una giovane ragazza dalla doppia vita: di sera canta in un cabaret mentre di notte fa parte di una banda di fuorilegge! La ragazza dagli occhi neri e un’aderente calzamaglia nera rappresentava un cinema popolare fatto di mistero, violenza ed erotismo, che divenne anche il sogno proibito di molti surrealisti.

Nel 1922 arriva il cult che chiunque conosce anche solo di nome: Nosferatu il vampiro! La passione erotica può nascondersi nel morso del vampiro, piegato sulla donna immobile e consenziente, al tempo stesso sia un simbolo sessuale sia un’immagine di vibrante passione.

Ma dovranno passare molti decenni per una nuova icona del cinema sia erotico sia gotico: è negli anni Sessanta che la casa cinematografica inglese Hammer inizia a rivisitare i cult anni ’30 dando così nuova vita al celebre vampiro Dracula! Sempre alla ricerca di fanciulle e mai sazio del loro sangue, condannato a una ricerca perpetua del piacere soprattutto nelle ore notturne. Egli è il principe dell’Eros, l’esatto specchio per le donne di ciò che l’Empusa faceva agli uomini.

E da quel momento, il Vampiro mai più lascerà lo schermo. E non solo in figure come i celebri Dracula, intepretati nel tempo da Bela Lugosi, Carlos Villarias, Cristopher Lee, Frank Langella, Gary Oldman, Jonathan Rhys Meyers e infine da (purtroppo) Thomas Kretschmann.

Il Vampiro inizia la conquista della cultura popolare, nei libri, in produzioni cinematografiche o televisive. Troppi sono da elencare, qui sotto vi lascio 4 importanti produzioni che uniscono l’eros al gotico, regalando Empuse e mostri degni delle tradizioni omeriche.

Le Vampire di Jean Rollin, bellissime, eteree e indefinibili, caratterizzate da un orrore lento e armonioso. Il Vampyros Lesbos (1971) di Jess Franco, pervaso da un erotismo morboso e viscerale. Un abito da sposa macchiato di sangue, un’inquietante pellicola spagnola dai risvolti erotici diretta da Vicente Aranda nel 1972. L’italiano La maschera del demonio diretto dal nostro autore cult Bava nel 1960.

Conclusione del viaggio:

Siamo arrivati alla fine. Spero abbiate apprezzato questo piccolo excurus, pensato come articolo a tema per la Festa della Donna! Auguri a tutte le mie colleghe blogger, a tutte le lettrici e a tutte le donne in generale! Ciao e alla prossima!

Link alla recensione della Guida al cinema erotico e porno: qui

Link alla recensione del libro di Dracula: qui

Link alla recensione di Bram Stoker’s Dracula: qui

Fonti per l’articolo:

  • -Biondetti, L., Dizionario di mitologia classica: Dei, eroi, feste, Milano, Baldini&Castoldi s.r.l., 1999
  • -Chevalier, J e Gheerbrant, Dizionario dei simboli: Miti, sogni costumi, gesti, forme, figure, colori, numeri, Trebaseleghe, BUR_Rizzoli, 2015
  • Bertolotti A., Guida al cinema erotico e porno, dal cinema muto a oggi, Bologna, Odoya, 2017
  • Duncan P., Muller J., [A cura di], Cinema horror, i migliori film di tutti i tempi, Tr. It., Colonia, Taschen, 2017

Aracne

Aracne è un personaggio della nostra mitologia classica, conosciuta per essere la madre di tutti i ragni. Di lei si conoscono molti miti anche se il più importante è di Ovidio; grazie a lei esistono diverse opere ispirate in cui viene citata e omaggiata.

Chi era Aracne?

Aracne era figlia di un uomo normalissimo: Idmone, un tessitore di Colofone.

Se era una donna, perché è stata trasformata in mostro?

Esistono diversi miti e interpretazioni, tutti riassumibili con l’Hybris: quale donna umana e arrogante osò sfidare la divina Atena in una gara di tessitura!

Secondo Ovidio, nelle sue Metamorfosi, Aracne osò Atena in una gara di tessitura; la dea le strappò la tela e la fanciulla disperata tentò di impiccarsi (tipico suicidio femminile nella letteratura classica) . Atena allora la salvò ma la tramutò in ragno, condannandola così a stare sospesa -come fosse impiccata?- e a tessere all’infinito.

Simbolicamente, cosa potrebbe significare la sua storia?

La leggenda greca fa del ragno la caricatura della divinità: se all’inizio Aracne era in grado quale donna tessitrice di creare opere d’arte invidiabili dalle altre creature mortali, quando fu trasformata in ragno divennero semplici e insignificanti.

Il ragno, quindi rappresenta la decadenza dell’essere che ha voluto farsi uguale agli dei, è il demiurgo punito e se vogliamo è paragonabile al Moderno Prometeo.

La figura di Aracne ha influenzato l’arte e la cultura successiva?

Sicuramente, basta andare su Google Immagini per rendersi conto della quantità di opere d’arte che la riguardano. Credo che sia la commistione tra orrido ragno e lo splendore di donna che affascinino; oppure la tragicità della sua arroganza, arroganza e orgoglio che ci hanno colpiti tutti almeno una volta nella vita.

A citare la figura di Aracne ci sta sicuramente Rick Riordan tramite il suo personaggio letterario Annabeth (saga di Percy Jackson); poi è stata citata pure in questo racconto.

Inoltre, per me le similitudini tematiche mi avvicinano tantissimo le figure di Ungoliant e sua figlia Shelob: sono tessitrici, quasi dee in terra e punite dagli dei per le loro arroganza ed ingordigia.

Fonti:

-Biondetti, L., Dizionario di mitologia classica: Dei, eroi, feste, Milano, Baldini&Castoldi s.r.l., 1999
-Chevalier, J e Gheerbrant, Dizionario dei simboli: Miti, sogni costumi, gesti, forme, figure, colori, numeri, Trebaseleghe, BUR_Rizzoli, 2015

Conclusioni:

Aracne è un personaggio tragico che ricorda a noi uomini mortali come l’arroganza e la troppa sicurezza nelle nostre capacità possano firmare la nostra condanna a morte. Lei più di tutte non ha altre colpe che la propria arroganza: alcuni miti la volevano perfino allieva di Atena nella tessitura e non solo una tessitrice di una città qualsiasi! Ma in ogni caso ha perduto tutto perché ha osato quando non doveva.

Ecco, qui si conclude il nostro breve ritorno nella mitologia classica. Vi piacerebbero altri post? E conoscevate Aracne? Fatemelo sapere nei commenti!

E se siete interessati ad altri post di simile argomenti, da PC a sinistra trovate tra le varie categorie tematiche del blog la Mitologia: cliccate e scegliete il personaggio che volete approfondire. Ciao!

Il Minotauro

Il Minotauro era un essere mostruoso nato da Pasifae, una delle figlie del Sole e moglie di Minosse, e da un toro; il mostro era anche chiamato Asterione. La sua nascita è dovuta all’arroganza di Minosse perché, tenendo per sé il bellissimo esemplare di toro che invece avrebbe dovuto sacrificare agli dei, le divinità si arrabbiarono con lui e stregarono Pasifae affinché si congiungesse all’animale. Il Minotauro è legato al mito di Perseo e del filo di Arianna perché passò l’intera sua vita nel labirinto costruito da Dedalo e suo figlio Icaro (infatti, indirettamente alla vicenda è legata anche la leggenda delle ali di cera), un orrido mostro relegato nel profondo della nostra coscienza ma che periodicamente pretende un tributo!

Dopo l’uccisione di Androgeo, uno dei figli di Minosse, e la successiva invasione dell’Attica da parte dei cretesi, periodicamente gli ateniesi erano costretti a pagare un tributo di giovani per essere dati in pasto al Minotauro; il numero e la periodicità dei sacrifici varia a seconda degli autori. Il tributo andò avanti per numerosi anni, almeno fino a quando Teseo, figlio del re di Atene Egeo (lato di questa leggenda che le dà un valore eziologico), non decise di infiltrarsi tra i tributi e dare una fine alla strage. Quindi, con l’aiuto della traditrice cretese Arianna, una delle figlie di Minosse, uccise il Minotauro e con un filo srotolato durante la sua esplorazione del labirinto riuscì a scappare.

Così finisce la storia del Minotauro, ma probabilmente è conosciuta anche la sua origine: secondo quanto riferisce Diodoro Siculo, si riteneva che la tomba del re egizio Mendes potesse essere una fonte di ispirazione, essendo molto difficile da esplorare senza una guida ed essendo conosciuta come appunto il Labirinto.

Questa leggenda credo sia una delle più conosciute universalmente, chiunque prima o poi è arrivato a sentirla, a provare a farla sua con un disegno, una spiegazione o semplicemente riproponendola. Lo hanno fatto autori antichi e rinomati come Pausania, Apollodoro, Diodoro Siculo, Aristotele e Plutarco; lo hanno fatto autori moderni e famosi come Rick Riordan, per il suo Percy Jackson e dipingendo la creatura come uno degli antagonisti principali della saga, e Tarsem Singh con una nuova figura in Immortals; lo hanno fatto autori più caciaroni come Jonathan English per il suo trashissimo ma divertente Minotaur. Sicuramente il Minotauro è uno dei pilastri su cui si basa la nostra cultura fantastica!

Il Minotauro, inoltre, ha avuto tanto successo nel passare dei secoli perché con il passare del tempo come ad altre figure mitologiche gli è stato attribuito un valore simbolico: egli incarna lo stato psicotico umano. Infatti, Pasifae, la madre del mostro, rappresenta l’amore colpevole il cui frutto viene nascosto in un labirinto a chiunque impenetrabile; i sacrifici tributati a questo stato psicotico sono le menzogne atte a calmarlo e il filo di Arianna è l’atto spirituale che è necessario per vincere il mostro perché permette a Teseo di riuscire a tornare alla luce dopo le oscurità del labirinto.

Insomma, il mito de Minotauro nel suo insieme esprime simbolicamente la lotta spiritica contro la rimozione e al solito la predominanza dell’ego corretto e stabile. E voi? Cosa ne pensate di questo mito?

Bibliografia:

-Biondetti, L., Dizionario di mitologia classica: Dei, eroi, feste, Milano, Baldini&Castoldi s.r.l., 1999
-Chevalier, J e Gheerbrant, Dizionario dei simboli: Miti, sogni costumi, gesti, forme, figure, colori, numeri, Trebaseleghe, BUR_Rizzoli, 2015

~ Tratto da: https://ilblogditony.blogfree.net/?t=6073164

Se vuoi, leggi anche la mia recensione di Minotaur, che prende ispirazione proprio dal mito di Teseo e del Minotauro!

Alcesti

 

Travolto dalle discussioni che analizzano i nuovi personaggi femminili presenti nei film per vedere se possano essere considerati donne forti, oggi ho deciso di provare a dire la mia sull’argomento presentando una donna forte della mitologia greca: Alcesti!

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Alcesti è una delle figlie di Anassibia e del re Pelia, regnante a Iolco. Quando la strega Medea convinse con l’inganno le principesse del regno a uccidere il loro padre, lei fu l’unica a non prendere parte al suo smembramento e quindi fu l’unica a non ucciderlo; già si era fatta riconoscere per la sua intelligenza e il suo buon animo!

Se Alcesti era stata l’unica a non farsi manipolare da una delle più pericolose donne della mitologia greca, di sicuro la maggior parte dei miti che la riguardano non raccontano questo episodio ma un altro avvenuto molto più avanti negli anni: lei è famosa per la sua forza d’animo che le ha permesso di salvare il marito ed elevare lo stato di donna da mero utero senza valore atto solo alla discendenza a persona forte e coraggiosa, talmente decisa e fedele da sacrificarsi per l’amore della sua vita.

Alcesti, quindi, oltre a essere una delle figlie di Anassibia e del re Pelia, regnante a Iolco, era anche la moglie di Admeto. E chi era Admeto? Admeto era il re di Fere in Tessaglia e anche la rovina della sua bella moglie: infatti, grazie ad Apollo era riuscito ad ottenere la mano della bella ragazza, descritta nell’Iliade come la più bella tra le sue sorelle, ma poi durante le nozze si era dimenticato di fare un sacrificio in favore di Artemide! E cosa portò questa grave mancanza di umiltà nei confronti di una delle figlie di Zeus? Semplice, la morte dell’uomo. Fortunatamente, Apollo intercesse nuovamente in favore di Admeto e decretò che se qualcuno si fosse offerto per prendere il suo posto lo sposino sarebbe sopravvissuto ma nessuno voleva: né il padre, né la madre, né gli amici; in effetti, chi vorrebbe mai morire? E così quando ormai il destino sembrava scritto per tutti, una giovane donna decise di offrirsi all’uomo che aveva sposato, di prendere il suo posto nell’Ade.

E così fu, Alcesti morì tra le braccia del marito mentre sapeva che così facendo lo stava salvando.

Io non ho ben capito bene cosa si intenda per donna forte ma secondo me questa dimostrazione di amore e altruismo in un mondo che sminuiva la donna tanto da non darle nemmeno la colpa per un adulterio commesso sia molto più importante e straordinaria di qualsiasi azione. Tu potresti mai offrire la tua vita per tuo marito, tua moglie o i tuoi figli? Secondo me la risposta ai giorni nostri è negativa ma il mito mostra che anche ai loro giorni lo era e che il gesto di Alcesti è formidabile, ha dell’incredibile. E infatti, nelle versioni più famosi il mito non si conclude con la sua morte ma invece con un dio o un semidio che colpito dal suo sacrificio corre a salvarla.

Esatto, dopo questo atto incredibile sulla terra dei vivi era rimasto un Admeto sconvolto da tanto amore sconfinato che egli promise di non amare nessun’altra donna e di tenere una statua con le sembianze della moglie nel letto coniugale. Ma per fortuna, Admeto oltre a essere un favorito dagli dei era anche un amico di Eracle che saputa tutta la vicenda scese negli Inferi e la salvò riportandola ai vivi, concludendo al meglio la vicenda.

Questa storia è estremamente interessante per mostrare come il legame tra due persone possa essere forte e il vero coraggio di una persona venga fuori quando il resto del mondo ormai si è rassegnato. Interessante è anche il fatto che Alcesti è stata raccontata da molti autori molto lontani tra i secoli, a testimonianza del grande impatto che ancora oggi ella ha nella nostra letteratura: Omero, Euripide, Alfieri, Hofmannsthal e Benito Perez Galdòs. Tu la conoscevi? Cosa ne pensi?

Bibliografia:
-Biondetti, L., Dizionario di mitologia classica: Dei, eroi, feste, Milano, Baldini&Castoldi s.r.l., 1999

 

La Sirena

La Sirena è un personaggio della mitologia classica che ha sempre avuto molto spazio nell’immaginario collettivo grazie ad opere celebri come l’Odissea di Omero e autori come Sofocle e Pausania. Inoltre, con il passare dei secoli esse hanno pure subito un cambiamento d’immagine divenendo da donne alate a donne pesce, ma in ogni la loro funzione è sempre rimasta invariata: rappresentare le paure dei marinai che salpano per una meta sconosciuta in un ambiente che non è il loro e che nel pensiero comune è la casa dei mostri più oscuri e ancora sconosciuti.

Ma chi sono le Sirene?
Le Sirene nella letteratura greca e romana sono esseri mostruosi, metà donne e metà pesci. La loro storia è molto lunga perché parte da Omero e passa per i più grandi tragediografi ed oratori: Esiodo, Apollonio Rodio, Apollodoro, Ovidio, Pausania, Euripide, Sofocle e altri autori più moderi.
Varie genealogie vengono attribuite alle Sirene: Apollonio Rodio le vuole figlie di Acheloo e della musa Tersicore; Appolodoro invece le descrive figlie sempre di Acheloo ma poi anche di (non c’è un’unica versione) Melpomene o Sterope; per Igino i loro genitori sono Acheloo e Sterope. Anche se il caso più ricorrente sia Acheloo e una musa, Sofocle le vuole figlie Forco e quindi sorelle di altre disgrazie degli uomini come le Gorgoni.

Come sono diventate così?
Secondo alcuni miti, le Sirene erano parte del corteo di Persefone prima che fosse rapita da Ade e quindi dopo il rapimento Demetra le avrebbe tramutate in esseri mostruosi per non averlo ostacolato o avrebbero chiesto loro stesso le ali per cercare la loro signora.

Com’erano le Sirene?
Né il numero né il loro aspetto è una certezza e attraverso i diversi autori moltissime versioni sono state utilizzate. Nell’Odissea non è descritto il loro corpo ma solo la voce, solo lo strumento di smarrimento più temuto dalle loro prede, e sono tre: Pisinoe, Aglaope e Telsiepia. Licofrone afferma siano tre ma ne nomina solo due, Leucosia e Ligeia.

Dove vivevano?
Le Sirene abitavano su un’isola che nell’Odissea è chiamata “prato fiorito delle divine Sirene” e quindi Esiodo più tardi avrebbe dato l’epiteto “fiorito” alla loro isola. Gli antichi hanno ipotizzato secondo le descrizioni del luogo realmente dove esse avrebbero potuto avere vissuto e ciò è supportato anche dagli studi più moderni: la loro casa era tra Sorrento e Capri.

Cosa rappresentano le Sirene?
L’etimologia della parola Sirena è oscura, ma comunque si pensano a due possibili origini: si potrebbe trovare un’attinenza con seirà (la corda, e quindi la loro capacità di legare a sé le vittime attraverso il canto) ma anche con la stella Sirio e che connoterebbe questi demoni come del Mezzogiorno.
Le Sirene sono diventate l’immagine dei pericoli della navigazione marittima e poi l’immagine stessa della morte. Sotto l’influenza della cultura egizia la Sirena è diventata il simbolo dell’anima di colui che ha fallito la sua missione in mare e che si è perso nei suoi meandri. Da geni perversi e divinità infernali, nella cultura è prevalsa la loro seduzione mortale, che viene citata in opere antiche come l’Odissea e quelle moderne come la saga di intrattenimento Percy Jackson. Se si paragona la vita a un viaggio esse sono i tranelli posti dalla passione e dal desiderio e perché esse sono la manifestazioni di elementi fluidi come l’acqua del mare e il vento della tempesta rappresentano le creazioni dell’inconscio, dei sogni terribilmente affascinanti dove si mostrano le pulsioni oscure e primitive dell’uomo. Quindi, come Ulisse bisogna attaccarsi alla dura realtà dell’albero maestro della nave perché esso è l’asse centrale su cui si basa la nostra vita per sfuggire alle illusioni dettate dalle nostre passioni.

Cosa ne pensi di queste creature? Sono interessanti vero?^^

Bibliografia:
-Biondetti, L., Dizionario di mitologia classica: Dei, eroi, feste, Milano, Baldini&Castoldi s.r.l., 1999
-Chevalier, J e Gheerbrant, Dizionario dei simboli: Miti, sogni costumi, gesti, forme, figure, colori, numeri, Trebaseleghe, BUR_Rizzoli, 2015

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Eco

Ninfa dei boschi e delle sorgenti rappresenta la personificazione dell’eco e rappresenta il simbolo della regressione e della passività.

Famosa per la sua mancanza di forza interiore, in Ovidio ella ha il compito di intrattenere Era mentre il marito è impegnato a metterle le corna e quando la dea lo scopre decide di punirla: da allora «solo alla fine di un discorso Eco raddoppia i rumori ripetendo le parole che ha udito». Inoltre, l’autore scrive che la poveretta si innamora pure del bel Narciso ma lui, rifiutandosi a donne e uomini ben più stimolanti di una che ripete a pappagallo, la respinge e la condanna a morire di dolore con il cuore infranto.

In alcuni miti la ninfa è l’oggetto del desiderio del dio Pan, il quale si è innamorato di lei. Lei ovviamente, come ogni personaggio amato nella mitologia greca, lo rifiuta e per questo viene uccisa. Per una volta che aveva scelto con la sua testa!

Nel nono libro dell’Antologia Palatina c’è un epigramma dedicato a Eco: «Io sono Eco che chiacchiera e non chiacchiera. Tu passa oltre e la tua lingua pronunci soltanto parole di buon augurio. Quello che sento rispondo. Quello che dici di rimando dico; se taci, taccio. Quale lingua è più giusta della mia?»

Questa è Eco che parla ma non conversa, ripetendo idee che non sono sue e svolgendo piani che non ha pensato.

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Medusa

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Medusa è un personaggio della mitologia greca che testimonia la violenza e la vendetta degli dei quando gli uomini cadono nella ὕβϱις, la superbia.

Ho trovato questa donna mostruosa infinitamente triste e compassionevole, descritta da molti autori come brutta e crudele dopo essere stata una delle donne più belle al mondo e avere perso la propria bellezza per colpa della propria sfrontatezza e delle sue pulsioni, colpa gravissima nei confronti degli dei, simboli di ragione e perfezione; ma chi prima o poi non commette sbagli?

Ma lei chi è?

Medusa è una sorella, appartenente al gruppo delle Gorgoni, la cui storia è raccontata o anche solo citata da numerosi autori quali Esiodo, Omero, Eschilo e Apollodoro. Ovviamente le descrizioni non combaciano su tutti i particolari, alcune sono più fedeli a quelle più antiche, ma alcuni sono sempre simili: era «dal volto tremendo, dallo sguardo crudele» (Iliade, XI 36-37) e toglieva il respiro a chiunque la guardasse direttamente negli occhi. Interessante è il fatto che tutti gli autori si soffermino sulla morte di coloro che la guardano, non sui suoi capelli di serpenti.

In ogni caso, la storia di questa creatura è molto triste.

Apollodoro racconta tre versioni di questo mito. Nel primo le Gorgoni sono descritte come esseri mostruosi: «avevano il capo avvolto da squame di serpenti, zanne grandi come quelle dei cinghiali, mani di bronzo e ali d’oro con le quali volavano; tramutavano in pietra chi le guardava.»; qui viene uccisa dall’eroe greco Perseo grazie a un elmo dell’invisibilità e uno scudo riflettente tenuto dalla dea della saggezza Atena. La seconda versione è più corta ma più simbolica: a ucciderla è direttamente la casta dea della saggezza Atena, arrabbiata perché Medusa l’aveva sfidata a una gara di bellezza (non si sanno gli esiti ma si possono immaginare). L’ultima versione, quella più famosa che ha consacrato questa vanitosa, racconta la trasformazione dei capelli di questo splendore di donna in orridi serpenti sibilanti, sancendo così la sua fine.

Una versione del mito interessante che non ho trovato sul mio libro ma che mi ricordo è quella in cui Atena la trasforma in orripilante quanto letale creatura perché la sorprende nel proprio tempio ad amoreggiare con il seduttore Poseidone.

Tuttavia, non tutto il male viene per nuocere: anche lei ha fatto delle meraviglie! Infatti, Apollonio Rodio racconta che dalla testa decapitata da Perseo di Medusa uscirono serpenti maledetti (ok, forse non troppo positiva come progenie) ma secondo Apollodoro uscirono invece il cavallo alato Pegaso e il mostro Crisaore. Inoltre, una leggenda racconta che Medusa, già portatrice di morte e sofferenza, ci ha lasciato una delle più grandi meraviglie della natura: i coralli sarebbero stati arbusti marini prima che Medusa li guardasse.

Ma visto che i miti servivano a spiegare la realtà, cosa significa la sua simbologia?

Medusa rappresenta la pulsione spirituale ed evolutiva, la consapevolezza della colpa esaltata fino a diventare un’esasperazione malata in coscienza troppo scrupolosa e paralizzante, tale da togliere il respiro e capacità di reazione. Infatti, è proprio questo dispiacere che pietrifica le vittime di Medusa perché ella rappresenta l’immagine deformata di se stessi.

Fonti:

-Biondetti, L., Dizionario di mitologia classica: Dei, eroi, feste, Milano, Baldini&Castoldi s.r.l., 1999

-Chevalier, J e Gheerbrant, Dizionario dei simboli: Miti, sogni costumi, gesti, forme, figure, colori, numeri, Trebaseleghe, BUR_Rizzoli, 2015

-http://www.ilcerchiodellaluna.it/central_Dee_Furiose_demoni.htm

 

Indovinello mitologico

Chiamami madre delle meraviglie. I miei figli sono possenti, forti e feroci, da temere e mitizzare: non certo dei mostri! Non che io sia da meno eh! Sono famosa per il mio fascino che ha sedotto pure il figlio del re dei cieli o per il mio viso stupendo e le mie curve mozzafiato, almeno fino alla vita; perfino alcuni miei figli mi hanno amata, anche nei sensi più torbidi. Quindi è certo! Chi sono?

La risposta è in questo articolo.

Elena di Troia

Un’origine, molte versioni

Omero afferma che suo padre è Zeus e sua madre è Leda, conquistata dal dio grazie alla sua trasformazione in cigno; rimasta incinta, Leda dà alla luce due uova da cui nascono Clitennestra, Castore, Polluce ed Elena. Un’altra versione narra di come Elena, figlia di Zeus e Nemesi, sia nata sempre da un uovo ma solo in seguito, dopo l’abbandono della madre, adottata da Leda e suo marito Tindaro. Tuttavia, secondo Esiodo, la fanciulla più bella di tutte è figlia di Oceano oppure creata da Zeus destinata a far scoppiare la guerra di Troia per eliminare il problema della sovrappopolazione.

Il rapimento da parte di Teseo

Molti scrittori narrano che Elena, ancora bambina (al massimo aveva solo dodici anni) è stata rapita da Teseo, allora un uomo di mezza età; una volta in mano del rapitore, egli la affida alla madre Etra, ad Afidna. La fanciulla vede la libertà solo in assenza del suo aguzzino, quando il padre Tindaro conquista la città, anche se un peso la aggrava: nonostante la giovane età, si scopre incinta; i suoi travagli terminano con Elena che, dopo avere partorito, affida la figlia alla sorella Clitennestra.

I pretendenti e il matrimonio

Passato del tempo dal sequestro di Elena, molti capi greci si recano da Tindaro a chiedere la mano della figlia e lui, per non scontentare nessuno, lascia che sia la figlia a decidere chi sposare: lei sceglie il re di Sparta Menelao, mentre a tutti gli altri rimane, sotto il consiglio di Odisseo, il dovere di giurare fedeltà e aiuto in caso di necessità al fortunato. Quindi, Elena sposa Menelao da cui ha “Ermione, che aveva l’aspetto dell’aurea Afrodite”.

L’incontro con Paride e la guerra di Troia

Paride viene ospitato da Menelao e sua moglie Elena per contraccambiare all’ospitalità che il troiano aveva offerto quando Menelao era andato a Ilio. L’incontro tra i due giovani è fatale: scocca l’amore (come aveva precedentemente giurato sarebbe successo Afrodite) e insieme scappano a Troia, dove si sposano.

Questo fa scatenare la guerra di Troia che dura per ben dieci anni, indetta da Menelao per riavere la moglie e supportato dagli altri capi della Grecia.

Dopo la morte di Paride in guerra, Elena sposa Deifobo, ma una volta conquistata Troia la donna consegna il marito a Menelao, per farsi perdonare.

Ritorno alla vita con Menelao e morte

Con il marito, pienamente perdonata, torna a Sparta dove passa una vita di rimpianti: infatti, nel quarto libro dell’Odissea, viene detto che durante un banchetto versa un filtro, presumibilmente oppio, nel vino. Dopo molto tempo, Menelao muore ed Elena, senza saperlo, va incontro alla morte a Rodi: la regina di quel posto, Polisso, era rimasta vedova a causa della guerra di Troia; appena le è possibile arresta la causa della sua vedovanza e la impicca.

Vita dopo la morte e divinizzazione

Secondo alcune leggende, dal momento della morte Elena vive nell’Isola Bianca, alle foci del Danubio, dove sposa Achille, anche lui abitante dell’isola, dal quale ha un essere alato chiamato Euforione.

Erodoto la chiama dea e le attribuisce un miracolo: una bambina che da piccola era molto brutta, poiché la nutrice la aveva portata al tempio di Elena a Terapne dove la divina camuffatasi da vecchia la aveva toccata e benedetta, una volta cresciuta era divenuta una delle donne più belle al mondo.

Inoltre Omero, come racconta nell’Odissea, fa predire a Proteo che Menelao, essendo il marito della divina Elena e genero del Re degli dei, non sarebbe mai morto ma alla fine della sua vita sarebbe vissuto in eterno nei Campi Elisi.

Le colpe di Elena nella Guerra di Troia

L’atteggiamento degli scrittori greci nei riguardi di Elena è spesso ambiguo: l’adultera più famosa è spesso giudicata l’incolpevole strumento del fato.

Nell’Iliade, quando la gente troiana chiede che venga cacciata dalla città è Priamo stesso ad affermare quanto lei sia senza colpe, chiamandola persino “figlia cara” e dicendole “tu per me non hai colpe, gli dei sono colpevoli”. Inoltre, è da ricordare che secondo Esiodo lei sarebbe stata creata da Zeus proprio per scatenare in futuro la guerra e quindi la sua non è una colpa ma una vita scelta per lei dal fato.

Per distogliere ogni colpa dalla povera figura di Elena, basti pensare alla leggenda narrata da Erodoto secondo il quale la ragazza sarebbe rimasta a Sparta e al suo posto sarebbe partita con Paride solo una parvenza, una nuvola.

L’unico autore esplicitamente ostile ad Elena di Troia è Euripide, che nella sua tragedia “Le Troiane” la raffigura come una terribile meretrice, la responsabile della guerra e tanto abile nella manipolazione delle sue vittime da riuscire a ingannare persino suo marito Menelao.

Giudizio personale sul personaggio e la sua storia

Intanto ti ringrazio di avere letto un testo tanto lungo e noioso.^^

Secondo me, Elena è la classica donna per cui un uomo farebbe qualsiasi cosa, che lei lo voglia o no, e questo per la mentalità greca era già un difetto; inoltre, è universalmente riconosciuta come la causa dello scontro più famoso della letteratura greca, quando in realtà è solo un pretesto.

A me il personaggio piace molto e ha una storia molto triste: rapita, stuprata, costretta a sposare un capo greco e quindi un uomo molto più grande di lei, vedova del suo più grande amore. È una roccia e infatti non è uno dei personaggi della letteratura classica, rappresenta la letteratura classica.

A te invece cosa suscita? Sei pro o contro Elena?

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