Fanfiction: IL BALLO DELLA MORTE ROSSA

«Quindi questo abito mi permetterà di confondere il mio corpo tra quegli altri della gente?»

«Beh, è un vestito, sì. Con la maschera e il fondotinta passerai inosservata. Queste in allegato sono le planimetrie della magione a inizio secolo, se c’è un caveau deve essere ai piani inferiori. Maa… Tutto questo per un fossile?»

«Sempre. La mia sorella non è morta, sta solo dormendo in un sonno di roccia e io la sveglierò!»

«Ok, buona fortuna. Harleene arriverà a mezzanotte, come d’accordo. Ricordati di prendere anche i gioielli esposti, a noi piacciono quelli! Buona fortuna!»

«Mi conosci, non ho bisogno di fortuna in mezzo ai tuoi simili. Grazie, invece.»


Era un’afosa serata di Giugno nella Magione Frankhlyn, una delle ville più antiche di tutta la metropoli. Una grande festa in maschera era stata proclamata dall’ultimo scapolo d’oro dell’importante dinastia e tutte le persone più in vista erano accorse per la celebrazione.

Nessuno avrebbe fatto caso a lei, come donna. Tutti si sarebbero soffermati sulla maschera da Morte Rossa, i più depravati sulle mammelle abbondanti; nessuno avrebbe riconosciuto la sua voce, la sua pelle, la sua natura. La maschera era veneziana, rubata per lei da un marinaio incantato; coprendole il volto fino alle labbra carnose e gli occhi gialli con un velo di pizzo, quella maschera era il volto tumefatto di un appestato, decorato con fibre d’oro e lunghe penne rosse; la lunga chioma fulva era lasciata libera di frusciare sulle spalle nude, lungo il costato.
Per quell’occasione aveva indossato un abito regalatole dalla sua amica, l’umana dalle nove vite. Uno splendido abito da ballo scarlatto aderente lungo il busto e le esili braccia e che esplodeva lungo i fianchi in un’ampia gonna a campana a pois rossi, con una generosa apertura in mezzo al seno che riusciva a malapena a contenere il decolleté generoso: quella sera, sarebbe stata la dea di quelle bestiole a sangue caldo.

Pur non piacendole l’idea di nascondere con il trucco la propria pelle, giudicato anormale da quelle creature rosee, e di indossare decoramenti tanto insulsi, non aveva avuto dubbi: il richiamo di quella povera sorella indifesa, esposta al pubblico ludibrio, era troppo disperato per non accoglierlo.

Come lo aveva percepito, era accorsa a tendere la sua trappola su tutte le prede necessarie al completamento del piano. E tutto era andato come previsto.

La donna, nascosta la propria identità dalla grande maschera, sporse la testa all’infuori della limousine e con una cascata di onde rosse ne uscì dalla portiera aperta. Squadrò l’usciere e si voltò verso la limousine, aspettando che il suo accompagnatore la raggiungesse.
Sapeva che doveva aspettare: lo aveva scelto anziano, anziano e stupido, anziano e senza nessuno che lo potesse salvare. Lo aveva scelto perché quell’uomo anziano risultava tra gli invitati al ballo in maschera, lo aveva scelto perché stanco com’era dalla vita, aveva resistito poco all’odore della donna; era bastato un saluto da parte di lei e quell’uomo, che aveva creato la propria fortuna dal nulla con orgoglio e sagacia, aveva rinnegato la propria umanità diventando il suo burattino.
Ora, lentamente, quello stupido uomo stava scendendo dalla sua limousine con l’invito in mano, andando incontro inconsapevole alla morte. La Morte Rossa sorrise trionfante mentre lo raggiungeva a metà strada.

La Morte Rossa si fermò in mezzo al viale a farsi ammirare, con tutte le altre persone venivano rapite nei sensi dal dolce profumo che si levava dalla pelle di lei. Poi riprese a camminare, sempre tenendo a braccetto il suo anziano accompagnatore, lungo la fastosa scalinata marmorea nella calca di ricchi snob.

L’aria era frizzante, per la Morte Rossa. Sotto la maschera, la donna poteva sentire come le piante del parco percepissero la sua presenza, sentiva la terra respirare di un lento e lungo pulsare mentre le radici le si avvicinavano e le fronde frusciavano sussurrando il suo nome. Quello che circondava la grande villa era uno dei giardini con gli alberi più antichi, faggi e querce perlopiù; ma le siepi e gli svariati tipi di fiori abbondavano in quel piccolo paradiso dei giardinieri. Per lei invece era la morte della natura, una ragione in più per uccidere quel sacco di carne: tutte quelle creature erano ostacolate nella loro crescita, subendo amputazioni e sfoltimento del loro essenziale manto verde!

Avrebbe salvato pure loro, un giorno. Ma non quel giorno: la donna scelse di non compromettere la missione e arrivata al grande portone d’ingresso, si guardò attorno soddisfatta rimirando le squisite fattezze della hall: alla fine, il primo dei suoi sandali vertiginosi fece contatto con il mosaico dell’atrio, era dentro.
Lei e il vecchio uomo assieme ad altri invitati arrivati più o meno come loro furono guidati nella grande sala da ballo, agghindata con i tendaggi più sfarzosi. Un’orchestra stava eseguendo una melodia a un lato della stanza, dall’altra erano situati i camerieri con i tavoli del buffet; al centro c’era la pista da ballo per le coppie, sotto a uno splendido candelabro di cristallo.

Come la donna dalla maschera mortifera osservò il mondo lussuoso di anziani attorno a lei, notò che il costume che le aveva dato l’amica di carne era quanto mai azzeccato: chiunque era abbindato a festa, nascondendo il viso dietro a una maschera. Uccelli, animali di vario tipo, semplici mascherine che coprivano gli occhi, complicati copricapi legati sotto al mento, imitazioni di personaggi e oggetti della cultura popolare. Gli uomini indossavano le maschere come unico ornamento fantasioso sopra ai frac e agli abiti da sera, ma le donne invece si erano sbizzarrite nella scelta di quale meraviglia indossare: non solo maschere elaborate nei dettagli e nei materiali, ma anche un tripudio di abiti da sera e gioielli!

Un invitato in particolare attirò l’attenzione della Morte Rossa. Era un prestante topino di campagna, con il corpo più strabiliante che la donna avesse notato quella sera.
Abbandonò il vecchio, lasciandolo al suo destino: massimo trenta minuti, il veleno avrebbe fatto effetto, lasciandolo in una pozza di carne liquefatta e sangue ribollito sul pavimento.

Era tempo di divertirsi prima di pensare all’ospite: era a una festa, e di sicuro il cavaliere a cui si era interessata era un bello che con lei avrebbe ballato.

Con incedere lento e sensuale, attenta a mostrare ogni curva umana che il suo corpo anormale era riuscito a mantenere, si avvicinò all’uomo. L’essere fatale indossava una maschera che mostrava solo le labbra carnose e il mento, lui invece una maschera di stoffa argentea molto sottile, ampliata nell’immagine del topo con il trucco. Erano entrambi molto affascinanti. Lui aveva gli occhi azzurri e uno sguardo -da quel poco che si poteva vedere- da felino, abbellito da un mento forte e una folta chioma scura di capelli lisci: altro che topo, quell’uomo era un vero leone!

«Mi concedi questo ballo, mio bel topino?», fece lei offrendogli la mano. Lui accettò senza nemmeno pensarci.

Fi in quel momento, quando lui si disse interessato, che la Morte Rossa si diresse al centro della pista, dove lo aspettò in mezzo alle altre coppie danzanti.

Silente e sinuosa, si stagliava nella folla come un albero centenario in un campo di fiori selvatici. Vertiginosi vortici di gonne, frac e ornamenti si muovevano attorno a lei, come foglie sospinte nel vento intorno alla betulla frusciante. Lei stava ferma, dolce nella fragranza ma altera nell’aspetto, in attesa del suo leonesco cavaliere.

Quando i due presero a danzare il loro tango, divennero il sole della galassia di ospiti che si fermarono ad osservarli, accerchiandoli con i loro sguardi rapiti.
Lei era alta e l’abito rosso mostrava le lunghe gambe dalla gonna e le mammelle prosperose davanti; ma lui era molto più alto di lei, la dominava con i gelidi occhi azzurri, rapito dall’odore che proveniva dal caldo corpo femminile. Un tango. Uno dei balli più sensuali e intimi, in cui entrambi mostrarono la forza della passione danzando, lei con un gioco di gambe spettacolare e una passione senza eguali, lui stringendole i fianchi e scuotendole la schiena con una forza che tutta la prendeva, stringendola a sé in un abbraccio di passione. Una coppia di fuoco, con la lunga cascata di ricchi che si muoveva senza sosta come un grande serpente che inghiottiva le menti di tutti quelli presenti, ma senza fretta: nessuno poteva staccare gli occhi da lei.
Era la loro dea.
E quando il tango terminò, i due danzatori restarono avvinghiati in un abbraccio appassionato, sotto agli occhi ammaliati dei presenti. Era calda quella serata, in quella stanza il calore animale era condensato in grandi gocce di sudore e passione sul volto nascosto dell’uomo. Lei sorrideva, compiaciuta della reazione che scatenava in quelle stupide bestiole.
Mentre silenziosa faceva scendere la mano di rosso guantata dalle larghe spalle lungo il fianco scolpito fino all’inguine dell’uomo, lui provò a baciarla. Lei rise. E si distolse: «No, Bruce, non sei tu la preda che questa femme fatale desidera. Vai, ti libero dal giogo!»
Lo cacciò via, a cuccia: era il momento di agire. Disperato, l’uomo si ritirò a fumare in giardino con un’espressione disperata sul volto mentre lei si disperdeva nella folla; la calca perse interesse in lei e tornò a dialogare o a danzare come prima che ella entrasse nella pista da ballo.

La Morte Rossa si trovava a quella festa per un uomo, il proprietario della magione, il rapitore di sua sorella dormiente nel sonno di roccia. E fu da lui che quindi andò, con una coppa di champagne in mano. Corretto, ovviamente.

«Buonasera, mio buon ospite.», ella sussurrò offrendogli un calice di champagne, «Una festa superba!»

Dopo un saluto formale alla misteriosa invitata, John Frankhlyn osservò prima la maschera di grandi piaghe e tormenti, poi abbassò lo sguardo sui grandi seni quasi scoperti, deglutì, sorrise e accettò il bicchiere. Rotto il ghiaccio e rinvigorito dal dolce profumo di lei, la ringraziò e rinnovò il saluto, questa volta sorridendo e stringendola in un abbraccio affettuoso e sentito. E alla fine del loro vicendevole benvenuto, l’ospitante bevve un sorso dello champagne. In qualche secondo, gli occhi di un marrone scuro dell’uomo si tinsero di verde, un verde clorofilla. La Morte Rossa lo osservò perdersi da sotto la maschera.
Prima che qualche personalità loquace o un uomo di servizio la interrompessero, la Morte Rossa prese a braccetto l’uomo e si lasciò guidare attraverso la villa, uscendo dalla sala da ballo: John Frankhlyn, dal momento stesso che gli occhi gli si furono tinti di verde, conosceva benissimo le intenzioni della propria dama e non le avrebbe tradite per nulla al mondo.

Soli e scaltri, i due iniziarono a dirigersi verso i piani inferiori, verso il caveau della vittima, verso la vera ragione dell’apparizione della creatura antropomorfa.

I due stretti in un abbraccio inscindibile camminavano nel buio, con la poca luce lunare che faticava a penetrare gli alti e frondosi alberi antichi del parco che circondava la villa.
Si muovevano veloci tra ritratti di famiglia e tendaggi scuri, calpestando raffinati tappeti siberiani sotto alle volte a crociera dei corridoi e dei saloni che attraversavano; ogni tanto, la donna si fermava ad osservare le stanze che attraversavano. Inorridiva. Erano tutte adornate con raffinate raffigurazioni floreali alle pareti e mobili di alto pregio in castagno placcati in argento. Nessuna pianta, nemmeno in vasetti. Quella villa era la morte della natura, la vittoria dell’arroganza sulla terra.

E poi, dopo diversi minuti, accadde.

Si trovarono di fronte a uno specchio a figura intera. Superficie di platino lavorato, incorniciato da ottone e pietre preziose, smeraldi e zaffiri probabilmente. Dalla lavorazione sembrava essere antico, modificato di recente. Lei, infine, si tolse anche la maschera e quel raccapricciante abito rosso rimanendo con i piedi scalzi e un tanga a coprire ciò che era stato un tempo il suo corpo mortale, prima dell’incidente in laboratorio.
Si osservò per vedere quanto del suo corpo umano fosse rimasto immutato.
Questa donna dalla pelle anormale, ora ancora coperta da un pesante fondotinta rosaceo, appariva estranea alla natura di femmina umana. La sua bellezza era ancora maggiore, trascendentale. La figura era alta e formosa, con una forma a doppio calice: larghe spalle e un seno abbondante, una vita stretta e un bacino abbondante, ma le gambe e le braccia erano esili come se fossero le radici e i rami di un albero.
Sembrava che un’edera avesse avvolto la donna e attraverso i legami l’avesse sfigurata stringendola in una stretta mortale; o che non fosse più umana ma una betulla antropomorfa. Era troppo magra in alcuni punti, troppo abbondante in altri; come se una pianta cercasse di apparire simile alle prede che tanto desidera!
Il viso una volta rotondo e pieno, era diventato oblungo e dalle guance scavate, e le labbra una volta piccole si erano ingrossate diventando gravide di veleni: se qualcuno l’avesse baciata e lei avesse desiderato avvelenarlo, avrebbe potuto uccidere la vittima in pochi secondi.
 

Ma si era fatto tardi, l’ora concordata si avvicinava, e la fu Morte Rossa, ora se stessa, riprese a braccetto la sua vittima ammaliata, in una stretta per le deboli braccia dell’uomo quasi lacerante e, trovate le scale, scesero al piano inferiore dove alla fine del cammino si ritrovarono davanti a una grande porta blindata di metallo lucidissimo.

«Apri. Ah, tesoro, mi sai dire che ore sono?», chiese lei rivolgendo lo sguardo ai piani superiore, verso il soffitto.

L’uomo, in una sorta di trance, prima aprì la porta blindata del caveau, quindi le avvicinò il polso destro su cui portava un Rolex. Erano le undici abbondanti, quasi la mezza. Soddisfatta, la donna dai selvaggi capelli rossi gli si avvicinò e squadrandolo come un cobra con il topo lo baciò sulle labbra. Lui, esterrefatto da tanta passione, rispose al bacio con maggiore intensità, assaporando il dolce nettare delle sue labbra. Prima portò le mani ad accarezzarle la lunga fronda rossa, poi scese a sfiorarle le labbra e infine si soffermò sui grandi seni.
Fu allora che la vita dell’uomo si spense, con il cadavere irrigidito che si riversò contro la donna; lei ridendo cristallina si scansò di lato e osservò il proprio lavoro.

Ma poi, la donna che fu la Morte Rossa entrò nel caveau.

E mentre la fu Morte Rossa entrava a ispezionare i reperti archeologici di quella bestiola a sangue caldo, l’uomo avvelenato iniziò a rattrappirsi, consumato da un veleno che aveva iniziato a invadere ogni vaso sanguigno dopo il bacio tanto desiderato: le labbra si tinsero di un opaco verde clorofilla mentre il sangue veniva ripudiato dal corpo a fiotti, uscendo dai pori della pelle in una grande pozza attorno al cadavere, per poi essere sostituito da cloroplasti e cellule protette da una spessa parete cellulare. Se all’inizio il cadavere era riverso in una posizione scomposta sul pavimento marmoreo, con il passare dei secondi la posizione diventava sempre più rigida, con i legamenti che si bloccavano e si ingrandivano diventando più simili a rami che a braccia e gambe e collo: per quando la femme fatale fosse uscita, della vittima umana sarebbe rimasta solo una corteccia che un tempo assomigliava all’uomo che fu.

«Bene bene bene. Se io fossi uno sporco umano, per di più uomo, dove lascerei una povera pianta indifesa?»

Ora la misteriosa femmina si aggirava nel seminterrato, al primo piano dell’enorme camera blindata che si estendeva su ben tre piani. Erano passate le undici di notte da molto tempo, era quasi la mezza.

Resesi conto dell’ora, le sottili dita della femmina con un solo colpo a mano aperta distrussero i vetri di protezione della collezione di antichità e si infilarono in quei cubi frantumati prelevando e riponendo nel sacco tutto ciò che la donna riteneva potesse essere di valore, un sacco che aveva trovato mentre si faceva guidare dal suo ospite nella villa.

Quindi, soddisfatta, scese le scale, e si ritrovò al secondo piano interrato: gemme preziose e gioielli. Tanto interessavano alle sue amiche di carne e sangue.
C’era su freddi scaffali di legno una ricca collezione di pietre e metalli ancora allo stato grezzo, preservati da campane di vetro e un’illuminazione poco intensa. Davanti a ciascun elemento della collezione era posizionata una medaglietta con sopra il nome e le caratteristiche; provenivano da tutto il mondo. Tutto finì nel sacco. Ma dall’altra parte della stanza, oltre una vetrata attraversabile aprendo una porta di vetro, si trovavano i gioielli e poi oltre ad essi le scale per scendere all’ultimo piano del caveau. Quei gioielli avrebbero reso la donna dalle nove vite ancora più ricca e riconoscente verso l’amica delle piante.

Ma fu al terzo piano inferiore della magione che la missione vide la sua soluzione. La fu Morte Rossa increspò le labbra carnose in un sorriso: era vicina alla sorella da salvare!

«Mia povera piccola indifesa amica. Eccoti qui, ma cosa ti hanno fatto? Qui non puoi stare, hai bisogno di vivere di nuovo, ecco ti aiuto io.»

Dentro a una piccola teca di cristallo che custodiva il piatto forte della collezione del miliardario c’era il fossile di una delle prime piante mai apparse sulla Terra, la più antica mai ritrovata! E raggiuntala, un risolino di soddisfazione e di pura gioia eruppe dalla gola della donna. Quindi senza esitazioni spaccò con un pugno la teca di vetro dentro alla quale la pianta addormentata in una matrice rocciosa asfissiava.
La liberò e la strinse alla guancia.

La misteriosa donna e la sua sorella antica si erano ricongiunte.

La fu Morte Rossa era finalmente pronta ad andarsene, ma non aveva finito: la villa, con tutti i suoi ospiti all’interno, si reggeva ancora sulle proprie fondamenta e anche tutti gli ospiti del miliardario ingrato dovevano pagare, e la donna sapeva cosa fare. Depose il sacco con la refurtiva a terra, sul pavimento.
Dopo aver osservato quella stanza rivestita di metallo bianco e illuminata artificialmente, resa dall’uomo aliena alla terra dentro alla quale era stata scavata, sospirò e rivolse lo sguardo verso il proprio addome.
Se prima indossava un misero tanga come unico indumento, si tolse anche quello, rimanendo come quando la Natura l’aveva forgiata anni prima. Immise le sottili dita dentro alle proprie labbra verginee e da esse ricavò un piccolo seme bianco, poco più piccolo di un chicco di riso; lo depose a terra, sulle piastrelle bianche. Subito, da esso ne uscirono mille serpi di edera velenosa che si scagliarono contro il pavimento sventrandolo, contro le pareti strappando le varie assi di metallo fino a ritrovare il terreno e immergersi in esso come fossero radici.
E mentre lei lasciava il caveau risalendo le scalinate interne e poi uscendo dalla porta blindata, queste edere la seguirono nell’ascesa verso il parco, invadendo ogni angolo prima dei tre piani del caveau e poi della villa.

In giardino, nuda e scalza, naturale, con la refurtiva nella mano sinistra e il pezzo di roccia organica nell’altra, tornò fuori, nella brezza estiva, raffrescata dalla notte. Gli uccelli al suo passaggio cantavano le melodie più stupende, le lucertole uscivano dalle loro tane per osservarla, i dobermann che infestavano la proprietà ai danni delle persone non volute si limitarono a guaire e offrirle la loro vulnerabile pancia se avesse voluto accarezzarli.
Ma lei, volle solo richiamare il suo passaggio per andarsene. Era ora di dire addio a tutte quelle persone. A momenti, sarebbe comparso un grande bulbo bianco dal terreno che…

«Hei, non vorrai mica lasciarmi qui! Dopo che li ho tenuti buoni per te!». Una voce risuonò alle spalle della donna floreale.

L’essere dagli occhi con iridi enormi e gialle come il fiore proibito si girò lentamente verso la sorgente della voce acuta e sgraziata, non prima di avere messo nel bocciolo gigante apparso dalla terra il sacco e il fossile.
Ad averla chiamata era una giovane donna, sulla trentina, dai capelli biondi rischiarati dalla luna raccolti in due codini ai lati della calotta cranica. Era appoggiata alla parete del capanno degli attrezzi dei giardinieri, al suo fianco c’era un enorme martello chiodato.
Le due si diedero un lungo bacio mentre i loro corpi si abbracciavano e un sorriso si dipingeva sul viso di entrambe.

«Non mi stavo mica dimenticando della mia bestiola preferita, tranquilla! Invece, fai uscire i tuoi uomini: la villa sta per crollare su se stessa.»

La bionda si staccò dall’abbraccio e si pulì le labbra, godendo del sapore di zucca marcia che proveniva dalla sua amica. Scomparve per qualche minuto dentro alla villa, e ne uscì facendo mille ruote fino a raggiungere la Rossa amica dentro al bocciolo, abbracciandola allegra. E mentre la misteriosa invitata non più mascherata scompariva con la sua amante dentro alle interiora della terra all’interno di un grande bozzolo candido come la neve, centinaia di uomini e donne urlavano mentre le edere strappavano la terra sotto al peso della villa facendola crollare su stessa. Morirono tutti i presenti.

«Harley, tesoro, dimmi, sono morti tutti vero? A parte i tuoi sottoposti non è andato via nessuno. Giusto?»

«Ehm… Quasi. Sono riusciti a eludere la sorveglianza solo tre persone: il miliardario Bruce Wayne, la figlia del commissario Barbara Gordon e il sindaco Adam Smith.»

«Non importa, la mia sorella è al sicuro. Grazie del diversivo.»


MEMORIE DI UNA GATTA LADRA, giorno 21 giugno 2001

Miao.

Trovare la tana della Rossa è stato facile: mi aveva detto che si trovava lungo la costa a est di Gotham e sapendo che da poco tempo un terremoto aveva elevato alcune grotte dal mare, avevo supposto che si potesse trovare in una di quelle. Arrivai via mare, con un motoscafo preso in prestito alla guardia costiera; o meglio, si sarebbero accorti della mancanza solo al mattino seguente, presumo oggi. È sempre bello sentire le onde infrangersi, il sapore di sale, la brezza sul viso. Un bellissimo modo per recuperare il bottino.
All’inizio non ero sicura di trovarla in una delle grotte, stavo navigando da mezz’ora avanti e indietro ma senza alcun risultato palpabile. Poi i miei sensi felini hanno fremuto: non appena il vento cambiò direzione, alle mie narici arrivò l’inconfondibile puzzo di zucca marcia.
Da ciò trovare la tana di Ivy è stato molto facile, mi è bastato parcheggiare il motoscafo ai piedi della scogliera e scalarla con i miei artigli di ferro e l’uso di una corda da arrampicata. L’olezzo mi ha guidato meglio di una luce nel buio, in dieci minuti ero dentro all’antro.

La tana della Rossa è diversa da qualsiasi altra tana immaginabile: non c’è mobilio, o finestre, o porte, o dispense per il cibo. Non c’è nulla di antropico. Quando entrai nella tana, la puzza di zucca marcia sovrastava la salinità dell’ambiente, intollerabile; all’inizio vidi solo una marea di piante, ogni tipo di albero e arbusto, pianta erbacea e rampicante, tutte attorno ad Harley e a un essere ricoperto di papaveri rossi, i fiori preferiti di Harley, e quell’essere era Poison Ivy per i nemici ma per noi semplicemente Pamela. Quelle piante non sembravano semplici piante, ma ramificazioni dell’essenza stessa di Pam, circondandola, cercandola, incurvandosi verso di lei ad ogni suo inspiro ed allontanandosi ad ogni espiro. Ivy era il loro sole, la sua sola presenza permetteva la loro sopravvivenza all’interno di quella che era una grotta marina, ancora tanto umida e coperta qua e là di pozzanghere. Ma le piante sopravvivano grazie alla Rossa, la loro mamma, e grazie alla Rossa tutte erano prodighe di attenzioni verso Harley, che canticchiava sdraiata accanto a lei.

Mi videro, io le salutai. Harley mi fece cenno di avvicinarmi, mentre la Rossa si limitava ad osservarmi con i suoi penetranti occhi gialli.

Ci salutammo, Harley era frizzante come suo solito, sentirla parlare è come ascoltare il canto altalenante di un usignolo, ma molto più acuto e sgraziato. Ivy invece mi salutò fredda, con un tono profondo, come se non stesse parlando il corpo fiorito al fianco di Harley ma tutta la massa di piante nella grotta.

Era ovvio che Pamela non mi volesse nella sua tana, con tutte le sue preziose piante, le sue cosiddette ‘sorelle’. Mi sbrigai a chiedere com’era andato il piano.
Harley, sempre sorridente e piena di energia, proruppe in una risatina e si sporse ad annusare i fiori lungo tutto il corpo dell’amante. Poi estasiata tornò a sdraiarsi come una bambina che aveva appena ricevuto il più bello dei regali, mentre un’edera sopra la sua testa si stava abbassando rivelando nel suo rampicante tanti piccoli petali di papavero rosso danzanti solo per lei. Lei sembrò apprezzare, a me si rizzò ogni pelo che avevo in corpo.

«Splendidamente, non ci sono dubbi a riguardo. Quelle stupide bestie nemmeno si saranno accorte della sparizione dei reperti e della mia sorella. Harley, la mia dolce Harley, ha fatto un lavoro egregio. Solo tre persone sono sopravvissute: Bruce Wayne, Barbara Gordon e il Sindaco Smith. Mi bastano, non ci do troppa importanza. Invece, cosa ne pensi della mia sorella? Non la trovi una pianta eccezionale?»

Quale pianta?, stavo per chiedere, confusa. Poi la notai. Mi si accapponò la pelle, di nuovo ogni singolo pelo del mio corpo si rizzò, un soffio di paura mi salì dalla gola e indietreggiai; il tutto mentre la Rossa mi osservava soddisfatta. Non lo avevo notato prima, ma c’era qualcosa di orrendo all’interno della grotta! Se il pavimento era ricoperto di piante verdi, grandi e piccoli, indifese e predatrici, il soffitto era ricolmo di alghe nere e sottili, sembravano dei sottili serpenti pronti a cadere su di me e divorarmi. Deglutii.
Le chiesi spiegazioni.

«Come vedi, la mia sorella è rinata. Per ora è ancora debole, si deve ambientare al nuovo clima, ma non appena si riprenderà, io e lei faremo grandi cose! Stanne certa, Gotham e tutte le altre cittadine pagheranno per quello che hanno fatto contro le mie sorelle! Ora va’, e prendi con te anche il bottino –non so che farmene di quella spazzatura rubata alla terra– e Harley. Vi avviserò quando noi attaccheremo, tranquilla. Ora andate!»

E un rampicante mi consegnò il bottino, fino a quel momento custodito dentro alle fronde di un piccolo arbusto. Harley di controvoglia baciò la sua amante sulle labbra e si alzò, venendo verso di me. Uscimmo dalla grotta con il bottino da spartirci in mano, ognuna che lo sollevava con una mano. Saltammo in mare dalla scogliera e ci issammo sul motoscafo.
All’orizzonte, in procinto di andarcene, ci girammo a guardare la scogliera. Della grotta ora si vedevano solo velenosi rampicanti verdi strisciare lungo la roccia a chiudere il passaggio e un’inquietante massa nera che si espandeva.

Un bel piano, che mi ha fatto ottenere tanti gioielli e reperti da rivendere, al netto di qualche ricerca architettonica. E con quel bel fascinoso di Bruce che è sopravvissuto, abbiamo rasentato la perfezione.

Sono proprio curiosa di vedere cosa combineranno la mia amica Ivy e quella sua ‘sorella’ ex-fossile. Harley non sembra darci peso, ma temo che per Gotham e per Bruce ci saranno tempi molto brutti.

In ordine da sinistra: Poison Ivy, Harley Quinn e Selina Kyle; non sono come descritte nel racconto ma per farvi un’idea dei personaggi.

Batman: Arkham Knight, prime impressioni

Buongiorno! Oggi torno a parlare della serie videoludica Batman: Arkham, con l’ultimo capitolo finora uscito: Batman: Arkham Knight. Queste sono solo le prime impressioni, ho deciso che darò al titolo il beneficio del dubbio ancora per un po’. Diciamo che per ora sono più stizzito che entusiasta.

Batman: Arkham Knight si presenta come il sequel diretto di Batman: Arkham City, ambientato qualche tempo dopo nella città di Gotham presa d’assalto dalle tossine dello Spaventapasseri.
Titolo d’azione, Batman si muove nella città evacuata dai cittadini per fermare le scorribande dei criminali muovendosi nella sua Batmobile. In pratica, la storia principale si basa sugli alleati del Cavaliere Oscuro che devono fermare lo Spaventapasseri aiutato dal misterioso Cavaliere di Arkham; il tutto fermando gli altri supercriminali.

1) Che figata la Batmobile! Aggiunta in questo titolo, è un carro armato che corre per le strade falciando via qualsiasi pedone e oggetto che gli si pari davanti. Ottima per le battaglie adrenaliniche contro altri carri armati e per distruggere le macchine dei ladri che incontra lungo la strada. Poi ha una linea veramente cool.

2) Che grafica incredibile! La saga si è sempre distinta per una bella grafica ma qui si va sul realismo e su una cura dei dettagli veramente notevole! Basta osservare le due immagini che ho caricato, questo gioco è una vera visione per gli occhi.

3) La colonna sonora non delude mai. I suoni sono sempre stati importanti e anche qui alcune missioni sono rese più facili con un uso attento delle cuffie (ManBat per esempio). Ma il punto più bello è quando si entra nell’orfanotrofio e si sentono le tre note che ormai sono il ritornello della saga!

4) Un cast di personaggi veramente nutrito. Qui ci sono tutti quelli più famosi. Anche quelli morti. Anche le vedove e le gatte ladre! Poi ormai avrete capito che a me Poison Ivy piace molto e qui ha un ruolo principale nella trama, avendo uno dei migliori cicli di redenzione (anche se egoistica?) del franchise di Batman. Il peggiore? L’Enigmista, qui a differenza degli altri capitoli ha rotto troppo.

5) Il gameplay del Predatore nell’ombra è figo, ci sono molte stanze e molti spazi aperti in cui Batman può predare i criminali seminando il terrore. Tuttavia ho notato che i criminali ora rispondono molto più in fretta, con una IA molto migliore, anche se ciò pur rendendo difficile il gameplay secondo me lo snatura leggermente: dov’è finita l’aura di terrore che avvolge il Cavaliere Oscuro?

6) Non tutti gli strumenti sono indispensabili. Ho finito la storia principale senza trovare uno strumento, che se non avessi guardato una guida su Internet manco avrei notato durante la run Partita+. Questo è un dettaglio molto importante: è il primo videogioco della saga in cui non tutti i gears sono essenziali per finire la trama; anzi, lo strumento che mi mancava mi sembra più un’aggiunta inutile e overpowered a dirla tutta.

7) Le missioni secondarie. Il gameplay prevede un semi-openworld per cui le missioni sono sbloccabili con il proseguire della storia e si possono scegliere attraverso il menu. Molto bella. La mia preferita è senz’altro sbloccare le bombe perché ti permette di fare nuovamente guerriglia, solo con situazioni più difficili e con nemici più pericolosi.

8) DUE COGLIONI QUELLA FOTTUTA BATMOBILE! Secondo me hanno snaturato il titolo: la Batmobile è troppo presente! Va bene in alcune prove dell’Enigmista e per combattere stile guerriglia ma qui si va oltre! La prima e l’ultima prova dell’Enigmista è una car-race, e c’è un boss armato di trivella gigante che, se ti tocca, la macchina esplode. I comandi della Batmobile non sono così precisi, ci sono evidenti problemi con la telecamera che va letteralmente fanculo quando fai una curva e durante la fuga dalla trivella la telecamera si gira automaticamente verso di essa e non verso la strada da percorrere! E per condire il tutto, a parte quelle tre parti (almeno l’Enigmista è extra, mentre la trivella non è skippabile) non ci sono altre sessioni di gameplay con la car-race, rendendo il tutto frustrante perché non ci si può allenare per superarle.

9) La difficoltà è inadeguata. Ho giocato il titolo in difficoltà normale, quindi la base per sapere com’è. Ecco, a parte qualche punto tutto bene; a parte quella fottuta trivella: non è un problema di difficoltà, i comandi non rispondevano sia in difficoltà normale sia difficoltà facile. E la Partita+ a difficoltà normale è troppo difficile; perché non è una partita normale più difficile, ma ha la difficoltà ‘Nightmare of qualcosa’; vuol dire che se faccio Partita+ a difficoltà difficile è direttamente l’Apocalisse? Troppo difficile.

Ecco, queste sono le mie prime impressioni di Batman: Arkham Knight. Non so se farò mai una ‘recensione’ approfondita ma questo titolo pur avendo dei picchi positivi assoluti e delle idee molto interessanti, mi ha frustrato come solo altri pochi titoli sono riusciti a fare. Non credo lo finirò completo mai più. La parte della trivella è troppo frustrante e soprattutto obbligatoria.
A essere sincero Batman: Arkham Knight è stata una delusione, il peggiore della saga. Mi aspettavo così tanto, per poi ritrovarmi con un openworld che ricostruisce gli oggetti che la Batmobile distrugge, comandi da rivisitare e il nuovo arcinememico dimenticabile.

Voi lo avete giocato?

La mia recensione di Batman: Arkham Asylum: clicca qui.

La mia recensione di Batman: Arkham City: clicca qui.

La mia recensione di Batman: Arkham Origins: clicca qui.

Rigiocando Batman Arkham: City e Asylum

Buongiorno! Come ben saprete sono un accanito videogiocatore, prima su PC e ora su PS4, senza dimenticare mai il Nintendo. Una serie che ha caratterizzato le prime due console è sicuramente Batman Arkham, che ho sia su Steam sia nella PS4. Oggi quindi torno a parlare di videogiochi, condividendo com’è stato riprendere i due titoli in una nuova versione.

Come feci alcuni anni fa al computer, la prima versione che ho provato sulla playstation è stato Batman Arkham City per poi dedicarmi ad Asylum in seguito.

Entrambi i videogiochi basano la propria trama su una missione da compiere, con un villain principale e tutti gli altri criminali che si ergono nello sfondo sia come antagonisti sia come pura lore. City è ambientato in una parte murata di Gotham mentre Asylum come dice il titolo nel celebre manicomio; entrambi luoghi circoscritti, entrambi ricolmi di segreti da svelare e piani da sventare. I protagonisti dei due videogiochi sono Batman e Joker, con ulteriori apparizioni di altre tre villains importanti: Poison Ivy, Harley Quinn e l’Enigmista! E i loro sgherri.

Batman Arkham City dal punto di vista grafico è sempre fenomenale e la trama è molto bella e accattivante, anche se in alcuni punti rallenta troppo (la malattia di Batman). I boss sono ben bilanciati con varie sezioni che si alternano per rendere equilibrato il gameplay: boss da sconfiggere con armi specifiche, sezioni da Cacciatore nell’ombra, scontri alle armi bianche e infine l’inquietante parte di Mr Freeze. Inoltre, il gioco vanta pure la trama di Catwoman, con boss e nemici tutti suoi, che si intreccia con quella di Batman.

Giocare al titolo è stato molto bello anche se ci sono dei ‘ma’. Il primo è il volo, che per colpa del joystick troppo sensibile, rendeva difficile fare manovre di fino. Il secondo era la lotta: non so perché la telecamera non seguiva il combattimento e Batman si bloccava a metà attacco, rendendo impossibile fare una qualsiasi combo. Per il resto tutto molto bello, con particolare apprezzamento per i boss e le sezioni da Cacciatore dove potevo sbizzarrirmi su come mietere i nemici.

Batman Arkham Asylum invece è un videogioco molto più breve e semplice (è il capostipite della saga dopotutto), ma ciononostante non so perché ma su PS4 gira meglio: i tratti di volo sono quasi inesistenti, i combattimenti girano bene e le sezioni Cacciatore grazie sono più impegnative. La grafica sempre figa, soprattutto per le piante di Poison Ivy e i mostri.

La trama ruota attorno all’evasione di Joker dal manicomio, evasione che si scopre architettata da fin troppo tempo per non nascondere secondi fini. Compatta ed effetto, per un’esperienza di gioco non dilungata ma significativa. I boss riprendono dinamiche spiegate durante la trama e differiscono l’uno dall’altro, con Killer Croc che ha un’unica apparizione come villain ma che non si scorda facilmente per il senso di claustrofobia che essa porta con sé. Ma il senso di claustrofobia è sentito in tutta l’isola su cui il manicomio sorge: Batman è sempre dentro ad edifici stretti e scuri e costantemente sotto attacco, con snodi narrativi veramente impensabili per la brevità della trama.

Insomma, questi due videogiochi riscoperti sono stati veramente una boccata di aria fresca. La colonna sonora che caratterizza il brand è veramente immersiva e il gameplay procede bene. Forse per adesso il mio preferito è Asylum anche se il titolo con la maggiore rigiocabilità è sicuramente City.

Ora sto ultimando Batman Arkham Knight, ma pur essendo un bel titolo possiede alcune caratteristiche che me lo fanno detestare, facendolo cadere a una delle peggiori versioni della saga. Piccolo spoiler? La Batmobile, per chi ci ha giocato. E qui vi saluto, per il futuro vi anticipo che prima o poi potreste trovarvi a leggere a una Fanfiction dedicata all’universo di Gotham! Ciao!

Link alla mia recensione di Batman Arkham Asylum: qui

Link alla mia recensione di Batman Arkham City: qui

Link all’evoluzione di Poison Ivy nei due titolo della saga: qui

I 5 Boss più difficili di Batman Arkham

Batman Arkham è una saga videoludica che vede come protagonista Batman impegnato in ogni capitolo a fermare gli intrighi dei Supercriminali. Premesso che ho potuto giocare solo ai primi tre videogiochi e che Knight non è mai partito dopo averlo comprato e scaricato, ecco la mia lista dei boss più difficili o inquietanti da affrontare nella trilogia.^^

  1. Killer Croc, Asylum: inquietante, può attaccare da qualunque parte e la musica a palla ad ogni sua apparizione non aiuta. Ogni volta è traumatico e la corsa finale non aiuta, con una visuale che nasconde tutto!
  2. Doctor Freeze, City: una caccia all’uomo in cui non siamo noi i predatori. Nella modalità difficile o Più oltre che ansiogeno è praticamente impossibile: non solo se ci vede ci uccide all’istante ma anche tutti i ko silenziosi che proviamo devono andare a segno! :O
  3. Ra’s al Ghul, City: non fa paura ovviamente, beh, il suo piano sì ma lo scontro è solo una normale boss fight con una leggera rotazione della visuale e decine di lame magiche che ci vengono scagliate contro. Leggermente complicato.
  4. Bane, Origins: oltre al fatto che è uno dei boss più frequenti della trilogia, nel manicomio c’è la lotta finale in cui il gatto gioca col topo (volante); difficile, ansiogeno senza la vista detective, carica appena ci vede!
  5. Deadshot, Origins: uno dei boss addizionali non fondamentali per il proseguo della trama, secondo me è il più difficile, soprattutto nelle storie Più perché è una normale modalità Predatore ma con ostaggi e l’occhio che tutto vede!

Questa è la mia top 5, se avete giocato a Knight o ne avete altri, sentitevi liberi di scrivere^^

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Batman: Arkham City

Batman: Arkham City è un videogioco sviluppato dal Rocksteady Studios, pubblicato dalla Warner Bros. Interactive Entertainment e DC Entertainment e basato sul supereroe dei fumetti della DC Comics, Batman. Alla scrittura c’è ancora Paul Dini, già ideatore del primo capitolo, a cui si aggiungono Paul Crocker e Sefton Hill. I protagonisti del gioco, Kevin Conroy e Mark Hamill, riprendono i loro ruoli rispettivamente come Batman e il Joker.

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Descrizione:

In questo capitolo della saga, il primo a cui abbia giocato, si è catapultati in una città prigione controllata dal controverso Strange e dilaniata dalle lotte tra bande di criminali; l’obiettivo della storia principale è capire cosa sia e bloccare il protocollo 10 interpretando i due famosi personaggi Batman e Catwoman, mentre nella storia extra si dovrà combattere contro Harley Quinn nei panni sempre del Cavaliere Oscuro e del suo aiutante Robin.

Modalità di gioco:

Esistono tre livelli di difficoltà:

-Facile: permette un’esperienza molto semplice con danni estremamente ridotti; l’unica pecca è che offre solamente la storia principale e quella successiva;

-Normale: la mia preferita perché non è troppo difficile ma nemmeno annoia e offre la bellissima storia+, la stessa storia appena giocata ma con tutte le armi e i potenziamenti dall’inizio (forse solo Freeze può dare problemi);

-Difficile: non troppo impegnativa, i nemici aumentano parecchio e i pochi danni che ricevi si fanno sentire tutti e può essere un problema con Catwoman; comunque la consiglio per la seconda partita perché offre tutte tre le storie (storia, storia+ e La vendetta di Harley Quinn) anche se Freeze in entrambe le storie principali è molto difficile.

Boss:

-Pinguino: uno dei grandi boss che influenzano il gioco gestendo eserciti di criminali armati, mercenari, tutti omologati con vestiti marchiati dal segno del pinguino; compare attivamente due volte nella storia di Batman e fa pure la sua comparsa come cameo quando a muoversi è Catwoman.

-Due Facce: compare all’inizio contro Catwoman perché lei voleva derubarlo catturandola e poco dopo in tribunale aizza i suoi scagnozzi contro l’Uomo Pipistrello, accorso a salvare la Gatta dalla pena capitale tramite liquido bollente.

-Harley Quinn: la mandante dei criminali contro i quali si scatena la prima caccia predatoria del supereroe per salvare un gruppo di medici mandati in città a portare speranza ai detenuti, il tutto in una chiesa dai tratti gotici.

 -Poison Ivy: amica di Catwoman ma incavolata nera con lei,  la Gatta deve riuscire a sfuggire alle trappole e imboscate architettate dalla momentanea nemica per chiederle aiuto. Molto bella la grafica là.

-Pinguino+Grundy: missione di salvataggio in tutti i sensi, una missione dentro a un’altra missione. Molto bello il museo, lo squalo è un pelino inquietante. Grundy offre una delle quattro bossfights peculiari.

-Ra’s al Ghul: detentore della realtà più vicina all’immortalità, Batman lo cerca per trovare una cura ai crimini del Joker ma si ritrova a confrontarsi con il vecchio perché l’Uomo Pipistrello è stato involontariamente scelto come suo successore; questa bossfight è una delle quattro peculiari e il suo teatro di battaglia è molto bello perché rappresenta una versione desertificata e distorta della città e ha in essa anche alcuni dei famosi orologi di Dalì.

-Freeze: mamma mia che ansia! Da guaritore ad assassino a quanto pare la strada è breve e Batman deve attaccarlo silenziosamente per sopravvivere; difficile se non ti ricordi tutti i KO silenziosi, in modalità storia+ può essere un problema; anche questa è molto particolare.

-Joker: il boss su cui si basa la maggior parte del gioco, è la seconda volta che Batmn gli fa visita, è la prima che entrambi si scontrano in un’epica battaglia eroe contro orde di criminali, conclusa letteralmente col botto.

-Strange: i suoi ordini danno la caccia a Catwoman mentre cerca di ottenere ciò per cui era stata catturata a inizio gioco, mentre poco tempo dopo Batman affronta le sue armate per riuscire ad arrivare a lui e a fermare la minaccia genocida prima che mietesse troppe vittime. Bella la distorsione morale affrontata nella scena dopo lo scontro.

-Clayface: ultima mossa del clown, uno dei twist più grandi dell’intera saga videoludica; un’epica lotta ghiaccio contro argilla dentro a un cinema ricoperto di dinamita; l’ultima delle bossfights particolari, di certo non annoia.

-Due Facce: ultimo boss per la Gatta che entra nel museo della città in cerca del boss del crimine, meditando vendetta dopo un attentato dinamitardo. Può essere un pelino difficile ma è bello cambiare personaggio!

-Enigmista: prima ombra che sfida la Gatta e poi l’Uomo Pipistrello a risolvere i propri enigmi, poi rapitore e torturatore di gente innocente, il tutto per finire in conclusione vittima di una propria trappola.

-Harley Quinn: il boss della storia spoiler, riesce a catturare Batman ma viene raggirata dal suo aiutante Robin accorso a salvarlo; molto bella come ministoria.

Commento:

Adoro questo gioco, è quello che mi ha fatto conoscere un po’ meglio la grande famiglia di Gotham e inaugurare la piattaforma Steam: occuperà sempre un posto speciale nel mio computer! Comunque, questo gioco lo reputo il migliore della saga perché almeno nel mio PC è quello con meno bug e ha una bella storia complicata, ricca di eventi anche dopo il suo completamento: infatti, il gioco presenta numerose missioni secondarie, la piacevole rivincita dell’Enigmista e il recupero del bottino della Gatta e tutto abbellito dalle bande criminali sempre pronte a fare da bersagli mobili. I boss sono alcuni ripetitivi, sono poche le modalità di scontro che possono esserci, anche se quello più peculiare è anche quello che mi piace meno: se non si è capito è Freeze nel commisariato di polizia! I combattimenti, a differenza dei boss, offrono moltissime scelte nelle combinazioni da fare per combattere, grazie a numerose armi e anche parecchie mosse.

In conclusione, questa perla è bella, interessante e una bellissima esperienza di gioco, con ambienti molto belli e una grafica molto curata.^^

Poison Ivy nella serie Batman Arkham

Poison Ivy: 

Poison Ivy, il cui vero nome è Pamela Lillipoison ivy 2an Isley, è un personaggio dei fumetti creato da Robert Kanigher e Sheldon Moldoff nel 1966, pubblicato dalla DC Comics. Il suo nome significa letteralmente edera velenosa. È un’ecoterrorista e la più letale delle avversarie del noto giustiziere mascherato Batman; il personaggio ricalca lo stereotipo della femme fatale.

Poison Ivy nella serie Batman Arkham nei primi due capitoli:

Poison Ivy compare la prima volta come internata nel manicomio di Arkham, risiede in una cella tutta sua inondata da un profumo rosetto e soffre per le sue piante, cavie di esperimenti per creare un veleno chiamato Titan; dopo essere stata liberata dall’amica Harley Quinn, padrona assieme al suo ragazzo-dominatore dell’isola in cui è ambientata la vicenda, lei corre a salvare le sue poison ivybeneamate. E apparentemente ci riesce: infatti, quando Poison riappare di nuovo nella storyline si scopre potenziata dal Titan iniettatole in vena dal Joker e capace di rinvigorire l’intera flora isolana scatenando la vendetta della natura contro i palazzi del manicomio. Tuttavia, nonostante il suo smisurato potere, è costretta a indicare la cura al Titan per Batman e quindi a indirizzarlo alla cella-tana di Killer Croc, dove crescono speciali piante. Nella sua ultima apparizione, dopo avere dominato l’isola con le sue piante carnivore (che lei giudica innocenti) e la sua voce onnipresente, Poison Ivy affronta Batman per difendere le sue piantine armata di una pianta carnivora gigante.Ovviamente perde la lotta e dopo anche la sconfitta di Joker viene nuovamente internata.

Alcuni mesi dopo gli eventi del Manicomio di Arkham, Poison Ivy vive in quarantena assieme agli altri (super)criminali in una Arkham desolata e isolata dal poison ivy 1resto del Paese, rintanata in un vecchio hotel fatiscente e invaso dalla natura e dai profumi. Il suo piccolo ruolo nella vicenda, in cui è l’indispensabile spalla di Catwoman dopo un’iniziale risentimento, la fa apparire come la prima boss nemica della Gatta: tenta di uccidere Selina Kyle, venuta da lei rischiando la vita per chiederle aiuto a  sfondare la cassaforte del direttore del carcere-città avendo Selina la terribile  colpa di avere lasciato morire di sete le piantine dell’amica; Poison accetta di salvarla e aiutarla solo per la salvezza dell’ultima sua piantina, fortunatamente per Catwoman tenuta proprio nella cassaforte da scassinare.

Poteri  e abilità:

In questi due capitoli della saga questo personaggio è sicuramente uno dei più pericolosi: infatti, non possiede eserciti di uomini armati o ricchezze infinite con cui scuotere il mondo o temibili abilità marziali, ma ‘solo’ il proprio corpo e il controllo della vegetazione. Fin dalla sua prima apparizione, è chiaro che la sua peculiarità risiede nell’empatia e controllo della flora, potere incrementabile fino a rendere la natura stessa un’arma ed entrare in simbiosi con essa: molte volte viene detto che le piante, oltre a essere strane e omicide, segnalano la presenza nelle vicinanze della donna. Inoltre, massima importanza ce l’ha anche la sua seduzione molto spinta, aiutata oltre che dal corpo sempre molto esposto e sensuale da una quantità di ormoni, intuibili nella nebbia rosea che avvolge gli uomini che lei manovra come burattini.

Impressioni:

Io non leggo i fumetti e, avendola conosciuta con Batman&Robin e approfondita con Batman Arkham Asylum e City, posso dire che è molto più letale e floreale che umana. Ciò che mi ha colpito maggiormente è che lei dà molto più affetto alle piante piuttosto che agli uomini, come viene evidenziato in Asylum, quando reputa le sue piante carnivore povere innocenti, e in City, in cui si allea con la ‘assassina’ Catwoman’ pur di salvare una singola pianta.

Bella femme fatale^^