Gli uomini preferiscono le bionde

Gli uomini preferiscono le bionde, Gentlemen prefer blondes in originale, è una pellicola del 1953, diretta da Howard Hawks e con Marilyn Monroe e Jane Russell come protagoniste. Adoro questo film, per me è sinonimo di eleganza e le due dive sfoggiano costumi che le valorizzano e urlano LUSSO da ogni singolo dettaglio. Stupendo.

«Don’t you know that a man being rich is like a girl being pretty? You wouldn’t marry a girl just because she’s pretty, but my goodness, doesn’t it help?»

Gli uomini preferiscono le bionde è una commedia deliziosa, basata sul romanzo di Anita Loos. Parla di due performers, la bionda Lorelei e la mora Dorothy, che sono in viaggio per lavoro verso la Francia, in crociera; se Dorothy è alla ricerca di divertimento e dell’amore, Lorelei invece è fidanzata con uno sciocco ereditiere e sta cercando di convincere il futuro suocero a concederle il benestare. Già dalle prime scene capiamo quanto le due siano antitetiche e complementari: se una sembra svampita e alla ricerca di una vita ben agiata, l’altra è più realista e alla ricerca di un amore che le faccia battere il cuore e non solo.
Inutile dire che con questo dinamico duo e gli uomini che le ronzano attorno le situazioni equivoche e divertenti siano abbondanti.

Come appena accennato, le due donne sono caratterizzate in maniera accurata e rispecchiano ciascuna una visione dell’amore diversa. Ognuna inoltre ha una canzone propria in cui espone i suoi interessi: Ain’t there anyone here for love? per la Russell e Diamonds Are a Girl’s Best Friend per la Monroe.
Nella scena di Ain’t there anyone here for love? capiamo come la Russell perda la testa per un bell’uomo muscoloso, con lei che fa uno spettacolo di cabaret utilizzando come assistenti la squadra di nuoto che si stava allenando. Interessante il fatto che siano loro a subire il famoso gaze e che siano loro a indossare solo dei microscopici pantaloncini color carne, sembrando nudi a un primo colpo d’occhio (mentre lei è bardata in un abito scuro).
La performance della Monroe, invece, si fa attendere fino alla fine del film. Già per tutta la durata della narrazione l’abbiamo vista rifiutare freddamente le avances di uomini prestanti, preferendo concentrarsi sull’anello del suo ricco fidanzato. O sulla tiara del suo ammiratore. Nella performance ribadisce come i diamanti siano i migliori amici delle donne e di come alla fine lei preferisca vivere nella ricchezza con regali costosi: preoccupandosi di come sopravvivere, come potrebbe una persona dedicarsi all’amore?

Poi, vabbeh, Diamonds Are a Girl’s Best Friend è una delle scene e delle canzoni più omaggiate nella cultura popolare. Credo sia quasi un record, tra film, video musicali e perfino canzoni.

Un’altra nota positiva, oltre alle perfette interpretazioni delle due dive, è ovviamente la regia. Sequenze molto lunghe in cui la cinepresa si muove sono alternate ad altre dove campi e controcampi si alternano veloci, anche i primi piani che interrompono i campi medi e lunghi a evidenziare le espressioni durante le esibizioni sono frequenti. In questo senso mi è piaciuta moltissimo la scena durante la quale Lorelei rimane incastrata nell’oblò! Ma dopotutto stiamo parlando di Hawks, no?

Altra perla del film è la scena interpretata dalla Russell in tribunale. Grazie a quella sequenza molto ironica capiamo che Lorelei non ha fatto altro che recitare tutto il tempo, atteggiandosi a scema e modulando la voce, per averla più soffice. Inoltre, in quella scena vengono al pettine tutte le sottotrame: la storia d’amore di Dorothy, la sparizione della tiara, viene presentato al pubblico il temuto suocero di Lorelei.

Gli uomini preferiscono le bionde è un gioiellino, adorato il lavoro di William Travilla, la Monroe è un’icona intramontabile e deve essere stato eccezionale essere uno dei suoi stilisti principali! Un vero capolavoro!

VISIONI SENTIERI SELVAGGI: Il grande sonno

Secondo film noir che vedo, ho letto che è un classicone. Sinceramente, se non ci fossero stati lo spiegone finale e la trama su Wikipedia io mi sarei perso abbastanza. Il film è il detective tutto d’un pezzo che ha illuminazioni e si sposta da una parte all’altra; il tutto condito con dialoghi ambigui e femme fatales provocanti.

Bogart e Bacall recitano insieme, ho letto che sono stati pure una coppia reale e molto unita almeno fino alla morte di lui. Che dire, lui mica scemo!

Bogart interpreta questo detective che non beve molto, non fuma, cerca di salvare le due ragazze e usa l’astuzia per vincere lo scontro finale. Un eroe senza macchia e senza paura, alla fine. Durante la narrazione, lo vediamo spesso fare colpo sulle signore che incontra, anche se alla fine non concretizza mai veramente: casto pure in quel senso? Che noir è???

Bacall invece interpreta la ragazza misteriosa, riservata, che fa perdere la testa al detective. Alla fine, omicidio a parte, lo spettatore potrebbe guardare la pellicola solo per lei, o la sorella, o la bibliotecaria, o la segretaria del ricattatore, o le cameriere alla sala giochi. Cavolo, ‘sto film vanta un sacco di attrici affascinanti, e ci lamentiamo dei film di oggi! Comunque Bacall mi è piaciuta, da una parte cerca di salvare il detective, dall’altra è protettiva verso la sorella.

Il resto del cast ok.

La regia di Hawks e le luci di Hickox invece sono, come hanno detto i critici, invisibili: ci sono, sono presenti numerosi dettagli ovviamente, molti primi piani e mezzi busti, campi medi, ma la macchina da presa non è la padrona della scena ma mostra solamente i personaggi mentre agiscono. Infatti, è invisibile.

Più che altro non direi che Il grande sonno appartenga al filone dei noir. Sì, è del 1946, è in bianco e nero e ha come protagonista un detective solitario. Tuttavia, le femmes fatales non sono nemmeno tanto fatali o tentatrici (quella più presente è ambigua ma alla fine positiva -si è ritrovata in mezzo- e quella fatale non compare mai); la fotografia che dovrebbe dare ragion d’essere al filone è chiarissima e un sacco di scene sono alla luce del giorno; il gangster è più un ricattatore che si è ritrovato in mezzo, cercando di portare il tutto a suo favore.
Io lo definirei un thriller d’epoca più che un noir. Non c’è nulla della tentazione, della depravazione e del lusso dei noir, almeno per come li ho studiati. Dal discorso del generale quando affida l’incarico al detective mi sarei aspettato moolta più roba!

E invece è una storia d’amore con qualche cadavere a muovere le acque.

I 10 migliori film visti a Dicembre

Buongiorno! Oggi con un ritardo spaventoso rispetto alla solita tabella di marcia, torno a parlare come ad ogni inizio del mese dei migliori film che ho visto durante il mese appena trascorso. A Dicembre ho visto un sacco di bei film e non mi sembrava giusto sceglierne solo cinque, quindi ora state per leggere i migliori 10 che ho guardato a Dicembre!

Buona lettura.

Kiki- Consegne a domicilio. Una storia deliziosa dallo Studio Ghibli, la protagonista è una giovane strega nell’era della televisione e dei primi dirigibili che lascia la propria famiglia per diventare un’adulta e lavorare; alla saggia età di 13 anni. Che dire? Lo Studio Ghibli confeziona l’ennesimo viaggio di formazione che rasenta la perfezione, amalgamando perfettamente spensieratezza e paura del domani e di perdere la propria identità.

Bulbbul. Produzione Netflix del 2020 che abbraccia le tradizioni indiane, prodotto in India. Un dramma fantastico che miscela drammi storici (siamo alla fine del 1800) e religione, creando una strega assassina di uomini al servizio della Dea Kali. Mistero e paranormale si mescolano quindi in una storia d’amore che si protrae per decenni, senza potersi mai concretizzare a causa delle convenzioni e dei doveri sociali.

The trip. Esilarante commedia splatterissima per stomaci forti, dove l’adrenalina dei corpi tagliati o maciullati (splatstick) si addiziona ad un ottimo humour nerissimo! La protagonista è una bravissima Noomi Rapace. Questo film non è per tutti, ma per chi sopporta il sangue, le risate si fanno sempre più pesanti man mano che la vicenda si fa più drammatica e soprattutto scarlatta! Perla norvegese da recuperare assolutamente!

La famiglia Willoughby. Capolavoro grafico d’animazione, ha una grafica pazzesca. Per dire, i capelli dei personaggi sono fatti come se fossero di lana, e quella lana la potresti toccare da com’è fatta bene! Idem per i gas, che sono resi come se fossero di una qualche stoffa. Colori vivacissimi e un umorismi divertente e che non ti aspetteresti. Il tema portante è la famiglia in tutti i suoi risvolti, la trama procede bene e ha un plot-twist che non ti aspetti.

My fair lady. Ne ho appena parlato, devo aggiungere altro a una delle mie recensioni più articolate?

It follows. Angosciante thriller paranormale con una bravissima Maika Monroe. Mi ricordo quando uscì, fece scalpore. E affermo adesso che tale scalpore è meritatissimo. Non so ben identificare cosa possa essere ‘sto It, ma è sicuramente legato al sesso e alla perdita della purezza; infatti, spesso nel film viene citata positivamente l’età infantile, come custode dei sogni delle persone. Da non perdere, veramente.

Sentieri selvaggi. Cult assoluto del western, non potevo non citarlo. Di suo è anche bello, è un road movie tra le montagne e il deserto rosso. C’è John Wayne davanti alla cinepresa e John Ford dietro, che altro volere?

Glass Onion. Mi sono rivisto il film, stavolta in italiano su Netflix con mia mamma. Lei l’ha trovato noioso, stendiamo un velo su questa nota. Io l’ho trovato geniale per come regia e montaggio riescono a creare inquadrature così ricche e soprattutto sature di particolari che mostrano tutte le informazioni utili all’investigazione lungo tutto il film, ma lo spettatore è continuamente distratto! Infatti, conoscendo la trama, ho prestato attenzione a una determinata scena e… E la verità era letteralmente davanti ai nostri occhi, solo che eravamo troppo distratti! Assurdo, capolavoro, film giallo dell’anno. Sticazzi il resto. PS: guardatelo in inglese.

When darkness falls. Giallo svedese del 1960 diretto da Arne Mattsson, fino al 31 Dicembre era in madrelingua sub-ita su Netflix. Un film elegante, dove sono gli sguardi a parlare. Una scena bellissima: lei al telefono, chiede una cosa a due uomini in fondo alla stanza e quindi nella scena vediamo lei al telefono e i due in fondo alla stanza ma nella stessa inquadratura perché riflessi nello specchio accanto alla ragazza! Film molto bello.

One Piece Gold – Il film. Primo film di One Piece che ho il piacere di guardare, figherrimo è dir poco. Oltre al fatto che gli Strawhats hanno outfits stupendi, la trama è veramente figa. Un po’ il villain mi ha ricordato per modi di fare e di combattere Do Flamingo, ma tutti i combattimenti sono ricchi di pathos e mostrati ricchi di adrenalina (certo, si sa che i personaggi principali sono protetti dalla trama ma era tutto molto figo). L’ambientazione poi era straordinaria: un’isola-nave fatta quasi interamente d’oro, capace di essere sia il Campo dei Miracoli sia il Campo di Concentramento; e il villain con il frutto Gold Gold è perfetto per un film del genere. Consigliatissimo, colori vivaci e anche le musiche sul pezzo. Ecco, era da un pezzo che non guardavo pezzi di One Piece in italiano e il doppiaggio di Luffy mi ha fatto parecchio senso, ma comunque un’esperienza bellissima!

E voi? Quali sono i film che avete visto a Dicembre? Conoscete qualcuna delle mie perle?

My Fair Lady, una delizia per gli occhi

My Fair Lady, di George Cukor, è uno di quei film di cui tutti hanno già detto tutto, cos’altro potrebbe dire uno come me? Quindi mi limiterò a fare qualche riflessione sparsa, e a riportare qualche chicca dagli extra del mio DVD.^^

COSTUMI

My Fair Lady è una delizia per gli occhi. Fin dai titoli di testa veniamo accolto dall’eleganza di composizioni floreali, per poi essere catapultati dalle classi aristocratiche londinesi che escono da uno spettacolo teatrale agghindate con abiti sublimi.
Successivamente, la villa del glottologo Higgins ci regala scenografie curate e con carte da parati ricche di dettagli. Oltre alla bellissima scena del bagno con il vapore che puntualmente cresce in relazione alla nudità di Eliza Doolittle, per nascondere le grazie di Audrey Hepburn.
La prossima scena celebre per il lato visivo, secondo me la più eccelsa per i suoi significati narrativi ma anche per le scenografie bianchissime e i capi di moda stupefacenti, è ovviamente quella all’ippodromo. Quando Audrey Hepburn indossa l’iconico abito bianco e nero disegnato da Cecil Beaton. Da notare, che la scena dell’ippodromo è esattamente a metà film.
Per concludere, il sublime incombe con il ballo all’ambasciata, la vera coronazione a livello sociale di Eliza e un’altra scusa per mostrare gli strabilianti ed elegantissimi abiti dell’alta società.
Nelle scene finali, il lato narrativo torna preponderante e quindi si torna a scene domestiche (sempre in ville sfarzose e abiti eleganti) ma il nocciolo sentimentale della vicenda è il punto focale, per cui l’occhio cede il posto al cervello.

Avrete capito ormai che per me il lato visivo di un film è importante quanto lo è la parte recitativa, adoro i film con costumi sfarzosi o capaci di descrivere il personaggio meglio della sceneggiatura!
Quindi, avendo un’edizione DVD con alcuni dietro le quinte, posso parlarvi della produzione di questi abiti sublimi!

My Fair Lady nasce da un musical teatrale, all’epoca lo spettacolo più longevo nella storia di New York; partendo da simili premesse, sono sicuro che i produttori abbiano avuto fiducia nel successo per stanziare la modica cifra di 17 milioni di dollari per il budget!

E che produzione!

Cecil Beaton, già autore delle scenografie e dei costumi dello spettacolo a New York e a Londra, lavorò per ripetere il successo nel film. Da tutto il mondo arrivarono sul set gioielli, tessuti, piume e pellicce; per mesi il Reparto Guardaroba lavorò sui modelli disegnati da Beaton, per realizzare centinaia di capi, creati nei minimi dettagli anche per una singola scena: furono creati più di mille costumi!
Un intero studio divenne il Reparto nel quale gli artisti prepararono gli attori: 17 donne addette ai costumi; 26 truccatori; 35 parrucchiere. Più di 2mila e più di 1,5mila lavori di trucco e parrucco, rispettivamente per attrici e attori. E non solo i costumi, ma anche per le parrucche, le barbe e i baffi!
E gli artisti che preparavano gli attori non erano gli unici ad avere problemi sul lavoro: abiti così costosi ed elaborati potevano presentare problemi anche per le indossatrici! Per esempio, le gonne erano così aderenti e lunghe che le povere donne non potevano piegare le gambe e quindi dovevano sedersi su altissimi sgabelli. E non potevano nemmeno entrare nelle cabine telefoniche degli studios per colpa della larghezza dei cappelli!

E tutto questo, tra preparativi pre-produzione e riprese, converse nel giorno 13 Agosto, quando le 70 cineprese Super Panavision iniziarono a filmare!

Comunque, io sto studiando cinema e quindi qualcosa da dire sul film ce l’ho. Non perché sia originale ma perché la dico io. Iniziamo.

NARRAZIONE E PERSONAGGI

My Fair Lady lo descriverei come una lotta di classi sociali.

Il film si apre con la nobiltà che esce dal teatro, dopo uno spettacolo, e vediamo queste persone agghindate a festa che si riversano nelle strade fino ad arrivare nella zona del mercato (che deve essere vicina al teatro?); è in quel momento che l’alta società si scontra con i coatti, che lavorano già di notte per preparare il lavoro del giorno successivo. E se questo confronto non è già abbastanza, si ascoltino le canzoni: i ricchi parlano di stronzate, di glottologia e dittologia i più svegli; i poveri cantano di un posto caldo dove passare la notte.
Questa scena è importante per diversi motivi: vengono presentati i protagonisti; vengono presentate le vicende principali; si notano le prime tematiche, lotta di classe e identità in primis; dura più di 10 minuti; sono presenti due canzoni, che rappresentano le due classi sociali. La dicotomia è sempre presente in questa scena, com’è presente una certa simmetria di ripresa delle colonne tra le quali Eliza cerca di vendere i suoi fiori.

Con il proseguire della narrazione, è facile capire come i due protagonisti siano Higgins e Doolittle, in una relazione tipicamente romantica: from-haters-to-lovers; lui a insegnarle l’inglese dell’alta società e i modi, lei orgogliosa delle sue origini che spesso in sua compagnia quasi si sente presa in giro.
Interessante che, sebbene il film sia cosparso di campi lunghi per mostrare le sontuose scenografie e campi medi o figure intere per descrivere le espressioni dei personaggi e il loro movimento nell’ambiente, il primo piano venga introdotto dalla regia solo quando Eliza riesce a pronunciare uno dei terribili scioglilingua!

Lo spettatore è partecipe dello sforzo dei personaggi, anche se credo, ascoltando i dialoghi e le canzoni, che gli sceneggiatori parteggiassero un po’ troppo per il personaggio maschile mentre è Eliza la vera eroina! E’ lei che sceglie di mettersi in gioco, di tornare a scuola e di imparare a parlare anche se parlare (e scrivere) lo sa fare benissimo, è lei che sceglie di rinunciare alla propria identità per cercare qualcosa di nuovo e più adatto ai suoi sogni! Inoltre, sia all’inizio sia dopo il ballo lei subisce l’oggettivazione: non è più una donna ma la cavia dell’esperimento, in quei momenti! Ed è lei che subisce lo scherno e la compassione perfino della servitù prima e lo sdegno di Higgins dopo, quando è cambiata! E, infatti, la seconda parte di My Fair Lady si basa proprio sul suo conflitto di identità: anche se sa parlare rimane l’operaia di inizio film o può aspirare veramente a qualcosa di meglio?
Per me, il suo personaggio è scritto benissimo e Audrey Hepburn lo interpreta benissimo!

ANNOTAZIONI TECNICHE

My Fair Lady è un esempio del cinema americano classico e quindi è possibile notare i tipici raccordi. Secondo me questo film aiuta molto a capire il raccordo di sguardo, perché molte volte la cinepresa è situata in modo da ottenere la prospettiva della persona guardante; e in scene come quella in biblioteca, dove due persone discorrono da piani d’altezza diversi, ciò si nota particolarmente.

Parlando invece del raccordo di direzione di movimento, ho notato un piccolo errore in una transizione: si vedeva chiaramente che Higgins era entrato e quindi vedere lui che entra nell’edifico nella scena prima (dal punto di vista sulla strada) e vedere lui che entra dalla strada nell’edificio in quella dopo (dal punto di vista nella hall) è veramente straniante e ridondante; credo abbiano scelto un montaggio del genere per introdurre il piano sequenza e la carrellata per mostrare la hall e come lui rifletta a fine film, ma non era un montaggio invisibile.

Inoltre, il sonoro qui è molto importante: oltre al fatto che è un musical, i rumori del mercato si sentono e i grammofoni del glottologo sono i protagonisti di alcune scene, sia che esse siano discussioni sia che esse siano canzoni.

Per concludere, vi riporto questa citazione in madrelingua che ho preso dal film. E’ qui che la lotta di classe si sente, è qui che si sente tutta la solitudine di Eliza:

He always showed me that he felt and thought about me as I were something better than a common flower girl. You see, Mrs. Higgins, apart from the things one can pick up, the difference between a lady and a flower girl is not how she behaves, but how she is treated. I shall always be a flower girl to Professor Higgins, because he treats me as a flower girl and always will. But I know I shall always be a lady to Colonel Pickering because he always treats me as a lady and always will.

Un vero capolavoro. Una delizia per gli occhi e un esempio di come la Hollywood classica era; altro che ‘sti schermi verdi tristissimi che vanno di moda ora senza un briciolo di sceneggiatura!

Film in sala: Bones and all

Film poetico, intimo e profondamente struggente. Guadagnino, già direttore del mio osannato Suspiria, racconta la storia romantica di due cannibali in un arco di formazione per la protagonista; inutile dire dietro al sangue e alla morte, il cannibalismo può essere letto come metafora dell’omosessualità.

Bones and all parla di una ragazza abbandonata dal padre, appartenente ad una non chiara razza di uomini mangiatori di altre persone; poco più di un adolescente, la ragazza parte alla ricerca di una madre, che non ha mai conosciuto ma portatrice del gene cannibale, incontrando altri suoi simili nel viaggio.
E’ durante il viaggio in macchina che lei inizierà finalmente ad esplorare se stessa fino a capire chi realmente lei sia.

Sarò franco, questo non è un film per stomaci deboli. Due persone hanno lasciato la sala e saremo stati una decina in tutto. Una decina scarsa.

La narrazione procede inesorabile, il film sarà ambientato negli anni ’80 all’incirca ed è per questo che secondo il cannibalismo è la metafora dell’omosessualità: i cannibali si riconoscono tra di loro ma vengono cacciati dalle altre persone, la loro comunità non è ideale ma è tutto quello che hanno, possono scegliere di sopravvivere, di uccidersi o di farsi rinchiudere in manicomio. Come ci dimostra il finale, senza fare spoiler, solo lontano dalla società i cannibali possono vivere serenamente.
E secondo me, solo un non etero può raccontare una storia del genere.

Interessante che entrambi i protagonisti siano parte di minoranze: lei è nera, lui è queer.
Entrambi in fuga, entrambi incapaci di vivere una vita normale.

Il film procede in atti precisi, con il finale che inizia da un preciso momento. Ecco, le morti e le aggressioni soprattutto quella iniziale al dito fanno impressione; ma servono a mostrare come non siano loro a volerlo, sono solo nati così. E lo spiegato fa ancora più impressione: sappiamo bene cosa sono capaci di fare.

Io consiglio di andarlo a vedere, le ambientazioni paesaggistiche sono molto belle, la regia è intima, il cast sul pezzo, la mitologia molto profonda e la colonna sonora trascinante. Però dovete sapere cosa andate a vedere!

SPECIALE HALLOWEEN: The Nightmare saga!

Buongiorno e buon Halloween! Stanotte sarà la famigerata Notte delle Streghe e per tradizione ho deciso di portare sul blog un articolo a tema: lo speciale sulla saga originale di Nightmare con l’iconico Robert Englund nei panni di Freddy Krueger! Ovviamente, per chi non lo sapesse, il primissimo film, il cult, fu diretto dal grandissimo e compianto Wes Craven.

La saga originale si dipana in sette film, dal 1984 con il capostipite di Craven fino al 1994 con il finale di Craven. Già, Wes Craven ha dato vita e morte alla sua creatura!
Personalmente, considero questa la saga originale, senza contare lo spin-off con Venerdì 13 o il remake, perché posseggo un cofanetto con i 7 film e un sacco di contenuti speciali.

E in virtù di questa mia proprietà, ecco qui la mia reaction a ogni film della saga, con possibili spoiler!

A Nightmare on Elm Street. Primo capitolo e cult assoluto della saga più fantasy degli slasher, Craven dirige un film onirico e slegato dagli stilemi del genere: il serial killer è fin dall’inizio caratterizzato da una forte ironia e i sogni permettono la creazione di scene uniche; senza contare che non è l’omicidio che spaventa ma l’impossibilità di restare sempre svegli! Credo che tra le righe il film comunque voglia mostrare l’incomunicabilità generazionale tra i protagonisti adolescenti e i loro genitori, i primi da una parte che cercano di esplorare il mistero dietro all’Uomo Nero dei sogni, i secondi che provano a proteggerli sordi delle loro richieste.

A Nightmare on Elm Street – Part 2. Com’e’è possibile passare da un mistery su un assassino dei sogni a un film sulle possessioni demoniache? Il secondo capitolo della saga è un continuo avvicendarsi di noia e velata omofobia, con un protagonista interpretato da un attore gay che vede emergere la propria omosessualità prontamente guarita dalla fidanzatina di turno a fine film. Unico lato positivo del tema è il rapporto vestiti-pelle del film, per il quale sono per una volta gli uomini a mostrare le proprie pudenda e fare spogliarelli inutili alla trama; primo su tutti il coach, in un nudo integrale durante il suo omicidio a tema sadomaso nelle docce. Comunque la trama è veramente contorta e in alcune scene non c’è un vero nesso logico; pure i rimandi con il cult originale sono tiratissimi. Grande flop della saga, mi dispiace per gli attori e il reparto effetti speciali e trucco.

A Nightmare on Elm Street 3: Dream Warriors. Ritorno in pompa magna ai fasti del primo film, dove però l’orrore e il mistero sono sostituiti dalla fantasiosa messa in scena e l’oppressione di un gruppo di giovani internati in manicomio, che vedono come cura alle loro manie proprio il letale sonno. Qui ritorna Heather Langenkamp, anche se è Freddy Krueger la vera star: ormai è chiaro che la saga si basa sulla sua icona. Con una trama ben costruita, effetti speciali artigianali ed efficaci, il film riesce a mostrare una caccia al teenager lontana dai banchi di scuola ma comunque claustrofobica, dove la lontananza generazionale resta il tema portante, qui affiancato dalle diverse visioni della medicina. Comunque, l’omicidio del sonnambulo è veramente grandioso sia a livello simbolico, sia di caratterizzazione del personaggio e soprattutto visivo!

A Nightmare on Elm Street 4: The Dream Master. Sequel diretto del terzo capitolo, qui Kristen fa da passaggio di testimone per Alice (la final girl del film precedente), che eredita le attenzioni del serial killer dei sogni e i poteri dell’amica. Tuttavia, la sceneggiatura si rivela essere molto raffazzonata con un ritmo altalenante (ma più verso la noia) e soprattutto con una caratterizzazione dei personaggi molto superficiale e confusa; il potere di Kristen dal capitolo precedente non è più la semplice connessione onirica, che era un semplice decoro, ma diventa quasi una sorta di telepatia venendo quindi stravolto e utilizzato come strumento narrativo per dare nuove vittime a Freddy. Alla fine, il film si rivela essere interessante a livello di resa e di immagini, soprattutto per l’omicidio della mosca e per la scena finale nella chiesa, ma soffre di un ritmo inesistente e scene senza apparente legame o ragione di esistere. Apprezzabile forse la nuova protagonista, ma pure lei scritta molto male e con un’evoluzione campata in aria.

A Nightmare on Elm Street 5: The Dream Child. Nettamente superiore al predecessore per immagini e messa in scena, ho adorato le riprese claustrofobiche della torre dove è rinchiusa Amanda. Tuttavia, al netto di qualche omicidio di bella figura, la sceneggiatura rimane piatta e continua a concentrarsi sul passato di Freddy accantonando il tema della maternità problematica o quello del lutto. La pellicola procede trascinandosi dietro i personaggi, che vivono le vicende passivamente; pure Freddy qui non ha molto da fare, dà la caccia ai ragazzi uccidendoli quasi nella stessa scena in cui li conosce. Ripeto, se non fosse per la regia e le scenografie sarebbe benissimo dimenticabile, un peccato.

Freddy’s Dead: The Final Nightmare. Sesto capitolo della saga, credo sia il film con meno uccisioni del franchise, ma comunque riesce a elaborare una trama un po’ più complicata e studiata. I personaggi principali sono sempre abbozzati ma grazie a un’ulteriore rielaborazione di Freddy Krueger si hanno due passaggi positivi: una situazione distopica in cui i minorenni sono scomparsi dalla cittadina (lasciando gli adulti ad impazzire per colmare il vuoto) e un approfondimento sul passato di Freddy, approfondimento che almeno questa volta ha ragione di esistere. Le morti ormai virano sulla commedia nera, il film si guarda principalmente per il killer dei sogni; peccato per la ripetitività di alcuni meccanismi narrativi, che si susseguono sin dal primo episodio.

Wes Craven’s New Nightmare. Bellissima fiaba nera e omaggio di Wes Craven alla sua creatura, New Nightmare rielabora la mitologia della saga riproponendola per un pubblico adulto: meta-cinema, sangue, nessuna risata, drammi familiari e materni, crudeltà e sadismo ai massimi livelli da parte dell’entità malevola. Heather torna nuovamente a vestire i panni di Nancy, assieme ad altri attori che interpretano sé stessi per un bellissimo film nel film; ecco, mi è sembrato parecchio strano vedere Robert Englund interpretare sia sé stesso sia l’entità malefica di New Nightmare sia Freddy nel film originale in onda nel film. Una pellicola riuscita con interpretazioni sentite e musiche che colpiscono, creando il film più lungo dell’intera saga ma con un climax che non si batte.

E per concludere, se dai singoli commenti non fosse chiaro, vi propongo la mia classifica personale di gradimento dei sette film della saga!

  1. Wes Craven’s New Nightmare – Nightmare 7
  2. A Nightmare on Elm Street – Nightmare 1
  3. A Nightmare on Elm Street 3: Dream Warriors – Nightmare 3
  4. Freddy’s Dead: The Final Nightmare – Nightmare 6
  5. A Nightmare on Elm Street 5: The Dream Child – Nightmare 5
  6. A Nightmare on Elm Street 4: The Dream Master – Nightmare 4
  7. A Nightmare on Elm Street – Part 2 – Nightmare 2

A NIGHTMARE ON ELM STREET, IL COMMENTO.

Wes Craven affermava che creava i soggetti dei suoi film a partire dagli incubi che lo scuotevano nel sonno; e che Freddy Krueger è nato da un avvistamento inquietante che fece da bambino quando dalla finestra scorse un figuro per strada che lo terrorizzò.
Facile pensare che la saga di Nightmare, con il suo Uomo Nero dei sogni, sia nata proprio da un incubo.

Il primo film è importante e completo, gioca sul mistero e il terrore di non essere al sicuro nemmeno mentre si dorme; un po’ si potrebbe affermare che gioca sulla stessa paura ancestrale di essere attaccati nel sonno e la falsa sicurezza in casa propria.
Ci sono questi ragazzi che sono ossessionati da un uomo sfigurato e muoiono in modo apparentemente suicida o accidentale.
Secondo me, il merito di Craven è di aver creato un mostro non percepibile dagli adulti, metafora di un chiaro disagio adolescenziale e incapacità comunicativa intergenerazionale. Per questo Freddy si staglia così tanto rispetto a Jason, Michael o Chucky: loro sono prettamente assassini, qua si parla di psiche.

A parte il secondo capitolo (facciamo finta non sia mai esistito?) senza la direzione di Wes Craven la saga inizia a concentrarsi sul serial killer dei sogni, mitizzando e centralizzando la sua presenza. Solo qualche sporadica apparizione di Heather Langenkamp, la prima final girl dal primo capitolo della saga, ricorda allo spettatore che oltre a Freddy c’è una sola presenza forte nel franchise.

Ma è Freddy Krueger a regnare.

Altra costante della saga, vista l’età dei personaggi da macellare nei sogni, è la high school americana: mai tanti banchi di scuola sono comparsi in una saga horror così longeva!
A dire il vero un po’ di fastidio ce l’avevo. Sempre queste lezioni, questi terapeuti ed educatori che non riuscivano a capire le esigenze degli adolescenti. Nel primo film poteva anche starci ma arrivati al quinto la cosa diventa leggermente ridondante; da questo punto di vista il terzo, il sesto e il settimo sono sicuro tra i più originali.

E il problema maggiore della saga di Nightmare: la ripetitività delle interazioni sociali!

Ogni volta Freddy inizia a perseguitare un gruppo di adolescenti, con un/a teenager in particolare che capisce prima di tutti la situazione e cerca di far capire agli altri il pericolo. Ovviamente non riceve minimamente la fiducia altrui. Anzi, la persona viene presa per pazza, forse impazzita in risposta agli inevitabili lutti che travolgono il suo cerchio di amicizie. Tuttavia, in seguito non si sa come o perché il gruppo di turno si riunisce e tutti capiscono che è meglio darle ragione, per combattere alla meglio Freddy tutti insieme.
Ecco, queste interazioni si ripetono più o meno in ogni capitolo della saga!

Credo che piuttosto che concentrarsi sulle vittime, avrebbero potuto concentrarsi maggiormente sui sogni: a parte l’ultimo capitolo, diretto da Wes Craven, con il proseguo della serie Freddy non perseguita più le sue vittime, ma come le incontra le sventra!
Non sarebbe stato molto più interessante concentrarsi su numerosi inseguimenti nello stesso film, anche in commedia nera, e maggiormente caratterizzati? Un po’ come faceva il capostipite!

Ma questo era solo il mio speciale di Halloween sulla saga di Nightmare: A nightmare on Elm Street.
Voi avete mai guardato la saga? Concordate con la mia lista di preferenza? Preferite lo spin-off o il remake?

PS: per concludere ecco qui 3 link che potrebbero interessarvi!

  • Lo speciale su Wes Craven: clicca qui
  • A Nightmare on Elm Street: clicca qui
  • Wes Craven’s New Nightmare: clicca qui

The Iron Lady

The Iron Lady è un film del 2011 diretto da Phyllida Lloyd e interpretato dalla grandiosa Meryl Streep sulla vita di Margaret Thatcher, ormai vittima di Alzheimer e persa nei ricordi di una vita fatta di decisioni e scelte difficili.

The Iron Lady è un film biografico che tratta con dolcezza e rispetto la vita di una grande politica inglese, il primo Primo Ministro donna che l’Inghilterra abbia mai avuto. Dividendosi tra il presente datato anni 2000 e il passato come arco narrativo che abbraccia l’intera sua carriera politica, Margaret è mostrata a tutto tondo, in un ritratto che vuole sì mostrare la forza dell’Alzheimer ma anche non dimenticare la grandezza della donna che ha fatto la storia.

The Iron Lady inizia con una scena che apre il cuore: una vecchina in un negozio per prendere il latte e scorgere nel mentre i titoli dei giornali, lenta nella frenesia dei lavoratori vicino a lei, quasi come se venisse da un altro mondo; quando torna a casa la governante la richiama con ansia perché non deve uscire e poi questa vecchina fa colazione con il marito morto da tempo dialogando come se lui fosse ancora vivo. Questa scena è molto importante perché ci mostra la salute attuale di Margaret, fragile e sfasata, ma è importante anche perché ci mostra come fino alla fine lei fosse stata la figlia del droghiere attenta ai prezzi e consapevole del costo della vita dei poveri; dettaglio che durante la sua lunga vita politica le è sempre stato motivo di derisione e di tentato ridimensionamento.

The Iron Lady quindi prosegue con un montaggio che accosta scene della quotidianità dell’anziana a scene del passato, come se fossero ricordi sbloccati da situazioni vissute od oggetti nella sua casa. Come quando c’è la scena della cena con i suoi amici e Margaret ripensa alla sua frustrante cena con i colleghi in politica oppure quando Margaret cade sul comodino e vedendo un soprammobile ripensa alla guerra delle Isole Falkland; sono questi i momenti in cui la narrazione attiva i flashback e ci mostra la forza intellettuale di una grande donna in carriera, mai spaventata dalle scelte da compiere.

La regia di The Iron Lady ci mostra gli avvenimenti soggettivamente, sempre dal punto di vista di Margaret: infatti, molte sono le volte in cui prima viene inquadrata lei e poi la telecamera accoglie il suo punto di vista per mostrarci ciò che sta guardando; ciò avviene per esempio quando arriva alla Camera dei Comuni la prima volta mostrandoci il paragone tra le sale dei membri uomini e donne mentre lei scopre ed esplora il palazzo a lungo desiderato. Oppure la regia si concentra sulle sue azioni, mostrandoci i particolari di un suo gesto, che sia routine o antistress proprio come avviene quando da anziana si prepara un drink. E la regia non si dimentica nemmeno di mostrarci il rispetto che Margaret nutre per la politica e Londra, come quando Margaret andando alla Camera dei Comuni viene dominata dal Big Ben, che sovrasta la sua piccola vettura con un’inquadratura dall’alto.

E The Iron Lady vanta una grande interpretazione da parte di Meryl Streep, per cui ha vinto un Oscar. Il lavoro di trucco ed espressioni per farla assomigliare alla Thatcher è fenomenale e ovviamente Meryl ci regala l’ennesima donna potente per le sue idee e la personalità.

Ma tutte le interpretazioni sono in parte, riescono a mostrare la frenesia e l’ansia del potere, quanto in quel mondo di uomini lei fosse ancora la figlia del droghiere di paese e quanto abbia dovuto combattere per stare dove lei era. Credo che l’attore che più mi ha colpito sia stato Anthony Head, forse perché lo avevo già visto in alcune serie televisive del mio cuore. Grandioso anche Jim Broadbent, nel ruolo del marito affettuoso che cerca inutilmente di riportare la moglie ogni tanto alla situazione familiare, anche se è sempre stato mostrato come la sua ancora di salvezza emotiva e il suo più grande sostenitore.

Insomma, The Iron Lady è un grande film che purtroppo ho dovuto vedere doppiato e non in madrelingua; sarebbe stato interessante perché Meryl non è inglese e quindi deve aver svolto un grande lavoro e studio di dizione! Il film ci racconta una grande storia e a volte riesce pure a usare materiale dell’epoca mescolando ancora di più biografia con realtà.

Voi che mi dite del film? Do per scontato vi sia piaciuto, cosa vi colpisce maggiormente di The Iron Lady?

PS: The Iron Lady non è il nome di uno strumento di tortura ma è il soprannome che le danno affettuosamente i russi.

10 film con bei costumi 5.0

Buongiorno! A seguito di un sondaggio su Instagram, è stata eletta come lista del giorno la quinta parte del mio listone di film da guardare per i costumi; quindi, se volete seguirmi lì sono austindove_blog98 !

La lista di oggi quindi è la quinta parte di un format molto apprezzato e come tutte le altre volte essa raccoglie dieci film con costumi veramente notevoli; tuttavia, non ho scelto solo film storici ma mi sono basato sulle basi del premio Oscar per i migliori costumi: costumi non solo d’epoca ma intessuti divinamente, capaci di rappresentare i personaggi e di rimanere impressi nella memoria.

Spero che la lista vi piaccia, come al solito porto solo i nomi sperando che possiate così recuperare i titoli proposti.^^

  • Viale del tramonto
  • A qualcuno piace caldo
  • L’intrigo della collana
  • Neverland – Un sogno per la vita
  • Fung-Fu Yoga
  • Malena
  • I due nemici
  • Marnie
  • Justine, ovvero le disavventure della virtù
  • Agente Smart – Casino totale

Come avrete potuto notare, nella lista sono presenti numerosi cult e ciò prova che un film molte volte si ricorda non solo per la regia, la sceneggiatura o le interpretazioni ma per tutto ciò che lo compone.

Di questi consiglio, elevandoli a capolavori, i primi due film della lista. Quali sono i vostri invece? Li avete visti tutti o ve ne mancano alcuni?

Chi indovina questa famosa scena?

PS: per chi vuole approfondire la lettura e l’esplorazione del mio piccolo blog, lascio qui alcuni link interessanti:

La recensione del film Malena: qui

La prima parte della lista: qui

La seconda parte della lista: qui

La terza parte della lista: qui

La quarta parte della lista: qui

Green Book

Green Book è un dramma storico che tratta di temi come il razzismo e velatamente l’omofobia raccontando la storia di un’amicizia costruita sul rispetto reciproco tra l’autista e buttafuori Tony Vallelonga e il musicista Don Shirley: infatti, questa è una storia vera e quindi si tratta di un film biografico!

La forza di Green Book risiede nei messaggi che trasmette, come li trasmette ma soprattutto nella coppia di protagonisti che si completano e migliorano a vicenda.

Il protagonista:

Il protagonista assoluto è Tony Vallelonga, interpretato da un Viggo Mortensen in formissima, capace di delineare un uomo dai sani principi ma dal comportamento buono anche se rude, dai grandi muscoli con cui lavora alacremente facendosi rispettare ma anche caratterizzato da un sano appetito e la passione per il cibo. Di famiglia italo-americana, è doppiato con un forte accento del sud Italia.

Mi è piaciuto come Tony Vallelonga sia un ottimo lavoratore, all’apparenza docile ma in verità capace benissimo di picchiare a sangue, far piangere lo sventurato di turno e maneggiare una pistola. Pur essendo sempre mostrato con del cibo in mano o dichiarante la propria semplicità di uomo, cerca sempre di restare nella legalità (pur con qualche trucchetto) e svolge il suo lavoro con molta attenzione, cercando la miglior paga per nutrire la propria famigliola.

Durante la narrazione, in Tony avviene un lungo e graduale percorso di miglioramento: all’inizio era mostrato con forti tendenze razziste e diffidenti, capace di buttare due bicchieri per l’acqua solo perché offerti dalla moglie e usati dai tecnici neri che avevano lavorato in casa sua; alla fine, invece, non solo difende più volte il suo ‘capo’ da diverse minacce ma lo invita a casa propria per la cena della Vigilia di Natale. Tony in sé non è volutamente discriminatorio verso gli altri ma anzi è il classico esempio di una mente semplice indottrinata dalla cultura che la circonda e la nutre: non capisce cosa sia fino a fondo il razzismo che Don Shirley subisce, usa molti stereotipi e luoghi comuni, manca di rispetto facendo battute di dubbio gusto. Ma conoscendo meglio il musicista e soprattutto parlandoci e osservando di persona ciò che gli viene fatto, pian piano gradualmente (e non improvvisamente, per fortuna) cambia.

Il coprotagonista:

Don Shirley è un musicista che, nella sua prima apparizione su schermo, viene presentato riccamente vestito in un appartamento riccamente adornato di ricchezze da tutto il mondo. Molto posato e forbito, ha un carattere riservato e durante la narrazione capiamo perché.

Il suo personaggio l’ho trovato molto coraggioso, anzi, il musicista vero doveva essere molto coraggioso: queer e nero è voluto andare a suonare nel profondo sud dell’America!

Inoltre, la solitudine che permea questo uomo è risaltata in una scena emblematica, quando la macchina si impanna davanti ai coltivatori neri: qui si sente il profondo disagio che divide lui e gli altri, ampliato anche dal fatto che i due gruppi di persone non sono mai mostrati insieme nella stessa inquadratura finché Don è all’aperto esposto ai loro sguardi ma c’è un’inquadratura di loro insieme solo quando lui è rientrato nella macchina ed essa riparte.

Un’ultima riflessione sul personaggio. Mi ha profondamente colpito come sia usato quasi come una scimmietta ammaestrata dai ricchi aristocratici razzisti; gli riservano ogni onore quando impersona il grande musicista ma poi lo disprezzano in quanto ‘negro’. Una volta è tornato in hotel per andare in un bagno decente, un’altra si è rifiutato di suonare perché non gli concedevano di cenare nel ristorante per bianchi assieme ai suoi colleghi e amici; ed entrambe queste due volte erano precedute da immensi elogi ed onori da parte del personale e degli ospiti del luogo!

Una sintesi veramente semplice e chiara del razzismo dell’epoca, capace di colpire nel profondo.

Come lavorano insieme i due personaggi insieme:

La coppia protagonista lavora molto sinergicamente in un rapporto simbiotico: a Don serve protezione, sia fisica che psicologica, a Tony invece la cultura sia scolare (per esempio le lettere) sia umana per come rapportarsi alla diversità.

Insieme i due si completano a vicenda ed è sul loro rapporto che si basa il film. Nella gif che ho scelto secondo me si nota benissimo il divario stilistico e culturale tra i due, infatti, la scena mostra una delle loro sedute a chiacchierare e l’opinione che Don ha delle lettere che Tony scrive alla moglie (interpretata da una bravissima ed espressiva Linda Cardellini); il bello è che la cosa non finisce qui per mostrare la superiorità intellettuale del musicista ma continua con l’artista che aiuta il suo autista a migliorare la propria scrittura!

Ed è su questo rapporto di mutuo aiuto che si basa il film!

Un altro momento del loro rapporto che mi è piaciuto è come Tony vada a salvare un ‘frocio negro’ in più di un’occasione perché ha osato avventurarsi in pub per bianchi ed è stato arrestato dalla polizia per atti osceni (?). In quei momenti Tony avrebbe potuto anche licenziarsi o prendere le distanza da Don ma invece lo capisce e rafforza, cercando di stimolarlo a livello sociale dopo averlo finalmente compreso.

E poi, quanto sono simpatiche le loro interazioni in macchina?

L’atmosfera che si respira:

Sono gli anni ’60 e ho adorato gli interni dei locali, i costumi ma non le tradizioni.

Nel film si sente una forte aura opprimente soprattutto perché per quasi tutta la sua durata i due protagonisti sono due pesci fuori dall’acqua: solo nel locale jazz Don riuscirà a esprimere se stesso e non essere discriminato ed è nella propria famiglia che Tony sorride e si rilassa.

Si sentono un forte classismo e una grande ipocrisia di fondo che permeano sia i protagonisti sia i personaggi secondari sia il mondo circostante: tutti vogliono apparire ciò che non sono, apparire al meglio e fare bella figura. Come Don che appare seduto glorioso su un trono ma che poi è solo, come Tony che dice che ha amici neri ma che poi è innatamente e involontariamente razzista, come gli spettatori di Don che prima lo elogiano e poi gli ricordano che è di una razza inferiore.

Per me l’esempio di razzismo più eclatante ma indiretto e non mostrato con visibilità avviene quando Tony e Don fanno per entrare nel negozio di alta moda: quando passano accanto a due donne bianche, esse li osservano di sottecchi borbottando e infatti, per evidenziare questo particolare, ci viene mostrato un altro nero che per non passare accanto alle due donne deve attraversare la strada e cambiare marciapiede!

Conclusioni:

Questo film ha trionfato agli Oscar e ai Golden Globe anche se leggendo Wikipedia ha ricevuto alcune critiche sul rapporto umano dei due protagonisti (c’è chi dice non fossero amici e chi sì) e che alla fine il film sia razzista perché mostra l’arco di cambiamento di un bigotto a nuova luce.

Personalmente a me il film è piaciuto molto, comunque trasmette un bel messaggio e ricorda in ogni caso un artista che ha osato veramente tanto mettendo a rischio la propria vita e facendo quasi della propaganda antirazzista. Non sapremo mai esattamente quale sia stato il loro rapporto e quanto ci sia di vero nella pellicola, ma io mi sento di consigliare di guardare Green Book perché riesce a parlare di temi importanti senza sembrare pesante e i due attori protagonisti sono molto bravi.

Peccato solo che Viggo non abbia vinto agli Oscar e ai Golden Globe!

Malèna: l’importanza del giudizio

Malèna è un film con Monica Bellucci guardato qualche giorno fa, mi ha colpito veramente tanto e ho deciso di riportare una riflessione sull’argomento.

Malèna porta sullo schermo una femme fatale siciliana interpretata da una fenomenale Monica Bellucci la cui forza non sta nella recitazione o nel corpo splendido ma dalla costruzione che il regista e gli altri personaggi creano attorno a lei.

La storia, che si dirama lungo molti anni, è narrata secondo il punto di vista di un ragazzino in età liceale che è letteralmente ossessionato da Malèna (come del resto chiunque del paese) e la stalkera spiandola in casa attraverso le fessure o le finestre, in strada cavalcando la bici e anticipandola per poi aspettarla e godersi la vista; oppure si informa riguardo a lei prestando attenzione alle chiacchiere delle comari del paese.

Noi in quanto spettatori non possiamo capire oggettivamente come è questa donna bella e altera, vedova troppo allegra negli anni del Fascismo: lei è una delle vittime della cultura dello stupro.

L’unica colpa di Malèna è essere bella e disponibile: il suo marito è ufficialmente morto in guerra, suo padre è morto sotto ai bombardamenti, lei è sola e senza un lavoro con le malelingue che no tacciono mai. Ma essendo una donna libera tutti si approfittano di lei, non la lasciano in pace, quasi la stuprano, e quando lei decide di prostituirsi perché non saprebbe in quale altro modo sopravvivere viene declassata a donnaccia da disprezzare e picchiare.

Il finale del film spiega totalmente il concetto del film: lei tornata nel paese dopo un anno, in compagnia del marito e ingrassata, non è più vista come la femme fatale irraggiungibile e una ragazza chiede al protagonista perché tutti la fissano.

Malèna ci mostra come sia anche il giudizio degli altri a plasmare come gli altri ci vedono e Malèna in quanto personaggio ne è la dimostrazione! Io consiglio a tutti di guardarlo, poi le scene quasi oniriche credo siano delle citazioni, la regia è molto intensa e le musiche assurde!

ICONICO!