VISIONI SENTIERI SELVAGGI: La dolce vita

Quasi 3 ore di film e come sentirle tutte. Complimenti al mio PC, che grazie anche alla bassa qualità di caricamento del film se le è fatte tutte prima di scaricarsi.

Di Fellini ho sempre sentito parlare molto, perfino sul Topolino da piccolo. Poi negli anni molti suoi film sono stati citati nelle guide di cinema e il mio cinema d’essai ha un’immagine di Sylvia – Anita Ekberg – sul muro esterno. Poi a scuola ho visto Lo sceicco bianco, e a casa ora a ridosso degli esami questo: La dolce vita.

Che due coglioni eh.

Mi ricordo che il prof parlava del film come l’incomunicabilità: inizia con frasi assordate dalle eliche dell’elicottero e termina con frasi assordate dalle onde. E’ un film episodico con Marcello Mastroianni come anello di tutta la catena.

Credo che la vicenda da me preferita sia quella con Sylvia, quella più allegra e sognatrice. Questa diva che non ha perso lo sguardo da bambina nonostante il corpo chiaramente da donna. Una freschezza che mi ha ricordato Marilyn Monroe, che in quegli anni era al culmine della celebrità.
Invece, l’episodio più triste è quello con il padre. Altra incomprensione, alla fine.

Un film caratteristico, onirico e circense. Promette tanta fantasia e lussuria ma alla fine è estremamente conservatore.

VISIONI SENTIERI SELVAGGI: Atlantide

Buongiorno! Pronti per l’articolone di dopodomani? E la ricetta al cioccolata dei prossimi giorni? Beh restate attenti alle mie uscite allora!
Oggi torno a parlare di visioni accademiche con un film proposto dalla nostra prof di fotografia, che è stato diretto da Yuri Ancarani. Per me è un’opera artistica che si ispira al neorealismo: un film fittizio più simile al documentario che alla narrazione classica. Un esercizio estetico e la testimonianza (non so quanto attendibile perché non è il mio mondo culturale stretto) di Venezia.

Sarò sincero: che due coglioni. Se la prof di fotografia ci mostra un film che LEI trova interessante, di sicuro è interessante a livello tecnico, dopotutto lei è specializzata in fotografia e grafica. Ma è un film antinarrativo ed estremamente lungo.

Qua in pratica è facile esercitarsi sul tipo di lenti usate: teleobiettivo o grandangolo? Le luci sono bellissime e i fotogrammi sono spesso quadri. A livello estetico e visivo è molto bello. Ma dopo un’ora l’attenzione crolla.

Se volete guardarlo è su Raiplay. E’ un’opera pluripremiata, girata durante molti mesi. Io l’ho trovata parecchio noiosa, ma per cinefili puristi della fotografia e della ripresa può essere interessante. Per ulteriori info guardate la pagina Wikipedia del film che è abbastanza approfondita.

VISIONI SENTIERI SELVAGGI: L’avventura

Grande cinema italiano, 1960, regia di Antonioni e Monica Vitti che svetta nel cast. Un dramma per la ricerca dell’umanità e dell’affetto, dove alla fine a regnare è la solitudine.

L’avventura è un film che non mi è piaciuto molto. Non perché sia riflessivo ma perché non è narrativo: non succede nulla, sono sequenze di loro che dialogano o esplorano posti sconosciuti. Ho preferito Il posto, mentre per lo stesso motivo non mi è piaciuta la trama de Il Gattopardo.

Il film in sé è molto interessante. Concordo con chi definisce Antonioni il regista dell’incomunicabilità. Nel film sono tantissime le conversazioni interrotte, non comprese, osservazioni di oggetti e persone che vengono notati solo da certe persone e non da altre. Il motore stesso della vicenda, la scomparsa della ragazza, è incomunicabilità: la ragazza scompare e nessuno ne sa nulla, dopo settimane quasi nessuno ne parla più, potrebbe essere morta in fondo a una gola in mare oppure in Egitto, per quanto ne sanno.

Interessante invece il personaggio di Monica Vitti. Lei interpreta l’amica della scomparsa, che durante le ricerche si avvicina al fidanzato della scomparsa per intrecciarci una relazione. Mi ha dato la sensazione di essere quasi un fantasma senza storia o anima che pian piano entra nella vita dell’amica scomparsa e quasi rimpiazzandola.
Sappiamo dal film che lei ha avuto un’infanzia povera, e quindi le amicizie molto altolocate che frequenta sono ospiti. Lei di suo non ha nulla. E’ stata presentata ad aspettare prima l’amica e poi la coppia (amica e fidanzato che scopano); pure dopo è spesso la terza in comodo. E dopo la sparizione dell’amica? Parla con il padre della scomparsa indossando la camicia dell’amica. In seguito, indossa una parrucca mora che la fa assomigliare all’altra. E poi intreccia la relazione con il fidanzato della scomparsa.

Per concludere, a scuola ci avevano mostrato la scena di loro che visitavano il villaggio fantasma. La scena poteva essere benissimo di uno slasher – Le colline hanno gli occhi – per le inquadrature distanti che sembravano rappresentare un POV di qualcuno di misterioso. Il fantasma dell’amica? La loro colpa?

Il film è bellino, ma a me non piace.

VISIONI SENTIERI SELVAGGI: Il cacciatore

Buongiorno! Oggi torno con un’altra visione accademica con Il cacciatore, di Michael Cimino con Robert De Niro, Meryl Streep e Christopher Walken! Di cui ho sofferto particolarmente la lunghezza, non finiva più.

Il film, del ’78, parla della Guerra in Vietnam e dei danni fisici/psichiatrici che ha lasciato sugli sciagurati che ci sono andati a combattere: con la modica durata di quasi 3 ore, la prima ora è ambientata in America, la seconda in Vietnam e la terza di nuovo in America.
La storia è incentrata su Michael e Nikanor, due amici americani che partono per il Vietnam e da cui verranno profondamente cambiati.

Quello che mi ha colpito maggiormente è come il film sia lineare nella scrittura ma estremamente veloce nelle transizioni: Il cacciatore racconta diversi episodi nella vita dei due uomini, scegliendo volutamente di elidere intere sequenze narrative a favore di una storia più densa e pregna di significato. Le transizioni stesse inoltre sono veloci e d’effetto, mi ha particolarmente colpito quella iniziale dalla serata post caccia alle bombe nel villaggio vietnamito, anche perché non me l’aspettavo.

Inoltre, il gioco d’azzardo qui assume tutt’altro significato. La roulette russa, per le precisione. Nella prima scena che vediamo in Vietnam, i protagonisti vengono catturati e costretti alla roulette russa dai loro carcerieri: una pistola col tamburo vuota tranne che per un singolo proiettile, ovviamente loro devono sparare sul proprio cranio e vedere se il colpo andrà a vuoto o li ucciderà; il tutto mentre i carcerieri li osservano scommettendo sulla loro sorte.
La stessa roulette russa torna in seguito alla fine della parte centrale in Vietnam (poco prima dell’ultima ora di film) e come chiusura dell’arco evolutivo di Nikanor.

E’ un film pesante, che sa come far male allo spettatore, mostrando la desolazione della guerra nemmeno attraverso i combattimenti veri e propri ma mediante tutto quello che ci sta intorno: la roulette russa, le stragi di civili (da ricordare la bomba lanciata nel rifugio sotterraneo pieno di donne e bambini disarmati) e i danni fisici e mentali sui superstiti.

Robert De Niro e Meryl Streep brillano, anche se il personaggio più doloroso è ovviamente quello interpretato da John Savage.

VISIONI SENTIERI SELVAGGI: Il posto

Prossimo alla fine delle lezioni, nelle ultime settime prima degli esami, a storia del cinema abbiamo pure parlato del periodo in cui il cinema italiano era considerato grande: dal Neorealismo fino alla fine degli anni ’70. E ovviamente abbiamo citato pure questo film. Che mi ha trasmesso un senso di alienazione e tristezza molto profondo.

Il film è un dramma esistenziale, quasi, perché vediamo il mondo attraverso gli occhioni di Domenico. Domenico è un giovanissimo ragazzo, interpretato da Sandro Panseri, alla ricerca del posto fisso a Milano. Dal suo punto di vista mogio e intimidito dalla vita osserviamo il mondo degli adulti, senza veramente comprenderlo.

Sarò sincero, vi ricordate all’inizio degli anni dieci del 2000 che Lady Gaga e Katy Perry portavano quel trucco per cui gli occhi sembravano rotondi? Ecco, lo stesso è lo sguardo di Domenico: un cerbiatto spaurito. Che poi, è l’unico della sua età: vediamo gente più giovane, gente più vecchia, ma tutti sono capaci di parlare e agire; solo lui subisce in silenzio.

Un po’ potrei pensare che Il posto sia stato d’ispirazione per Villaggio alla creazione di Villaggio. Qui si vede la vita grigia dell’impiegato, senza vere interazioni sul lavoro e un cumulo di effetti personali o aziendali alla morte. Il finale è esplicito: Domenico è condannato a una vita sicura, con colleghi cordiali ma non amichevoli, un lavoro monotono e poche occasioni di socializzare all’esterno.

Diciamo che il personaggio di Antonietta è tutto ciò che lui non è. Un po’ mi sono rispecchiato in Domenico.

La cinepresa comunque (tranne in rarissimi casi descrittivi) è sempre subordinata allo sguardo del protagonista, tutte le scene cui assistiamo sono sempre con lui in scena, lui che osserva, lui che imita quello che fanno i grandi, gli esperti della vita. Con quegli occhioni grandi e spauriti. Vediamo la sua vita, la sua routine, i suoi tempi morti e le sue piccole speranze, che vengono ogni volta infrante.

Il prof ha descritto il film Il posto come la storia di un ragazzo alla ricerca di un posto di lavoro fisso, ma che non dispone nemmeno di un proprio posto nel mondo. Io concordo, ma aggiungo che quel posto lo troverà: pian piano si sta adattando, ma questo il film non ce lo dice!

VISIONI SENTIERI SELVAGGI: I quattrocento colpi

Buongiorno! Pronti domani per lo speciale per la festa della mamma? Beh, mentre ieri ho pubblicato un piccolo esercizio di scrittura, oggi ho guardato il cult di Truffaut: I quattrocento colpi. Bellino, anche se ho preferito Baci rubati; sono un po’ stufo di ‘sti cei e di film sulle lezioni scolastiche.

Sarò sincero: dei periodi storici trattati finora, la Nouvelle Vague è l’argomento che ho capito meno; abbiamo parlato più dei Carriers du Cinema che del movimento in sé, per cui conosco marginalmente la teoria che c’è dietro senza che riesca a spiegare lo stile e i tratti nel dettaglio. Per questo ho deciso di guardare questo film.

I quattrocento colpi parla della vita di Antoine Doinel, di come riesce a farsi espellere da scuole per finire alla fine in riformatorio.
Il bambino è bravo, si empatizza con lui e a scuola, quando ci avevano mostrato Baci rubati senza che si fossero accorti che la traccia audio era in francese, avevo sentito la sua recitazione vocale: remissiva, calma, molto più incisiva per il personaggio rispetto al tono deciso che ha il doppiatore.

Durante il film, vediamo come la sua vita sia abbastanza triste: il padre è assente, la madre lo critica sempre – anzi, è stata presentata in scena mentre gli dava dell’imbecille. Poi anche il contesto scolastico è problematico, con un professore quasi crudele nel perseverare contro un bambino che, beh, vedi che non è una cima negli studi! E l’unica volta che finalmente Antoine ha l’illuminazione, essa viene rigettata dal professore e il bambino viene espulso.
Ironicamente, credo che il periodo più felice per Antoine sia proprio in riformatorio dove finalmente è in luogo anche lussureggiante, in compagnia di compagni che gli assomigliano e dove può costruirsi un futuro. Se un ragazzo era scappato per divertirsi, il film si chiude con Antoine che scappa per andare a vedere il mare, finalmente. Secondo me, se il film si fosse chiuso cinque minuto dopo, avremmo osservato il ragazzino tornare tranquillamente in riformatorio dopo aver visto finalmente il mare.

I quattrocento colpi è un film semiautobiografico, e le situazioni sono realistiche. Manca la tipica struttura narrativa americana, mancano gli establishing shots, ci sono molti momenti morti dove vengono mostrate le tipiche stronzate che fanno ‘sti ragazzini che lasciati soli fanno per sentirsi grandi.
Ma il film mostra con ferocia anche la decadenza dei valori tradizionali: Antoine solo di recente ha vissuto con i genitori, genitori che non si interessano mai costantemente a lui, e quindi ha imparato ad arrangiarsi da solo e a diffidare di loro. Poi il clima a casa è torrido, la madre mostra tipici comportamenti narcisisti, che però non funzionano; e questo la fa irritare ancora di più: lui è emotivamente indipendente! E a scuola c’è la stessa situazione: nessun professore e nemmeno il direttore cercano di capire quale sia il vero problema.
Tornando alla positività del riformatorio, è proprio il commissario che lo arresta il primo adulto a cercare di aiutarlo.

Credo che guarderò un altro film della Nouvelle Vague, credo Effetto Notte, per poi dedicarmi alla New Hollywood. Sapete, gli esami si avvicinano e vorrei avere almeno qualche esempio da portare ai professori parlando del periodo. Qui comunque vi saluto e vi auguro un bel weekend, nonostante la pioggia. Ciao!

VISIONI SENTIERI SELVAGGI: Roma città aperta

Credo sia il film neorealista che ho maggiormente apprezzato, e il film di Rossellini che ho digerito maggiormente: una trama, personaggi con archi narrativi, un linguaggio abbastanza classico e un valore storico molto importante. Bellino.

Oggi finalmente torno a parlare di visioni accademiche, con un film che volevo guardare da un po’. All’inizio avevo provato a visionare Roma città aperta qualche settimana fa, perché avendo studiato il Neorealismo il film era stato caricato sul drive della scuola; lo apro e… orrore: il film era in francese senza sottotitoli!! Allora giorni dopo lo avevo detto alla segretaria e finalmente ce lo caricò in italiano.
Non essendo fan di Rossellini (Paisà e Viaggio in Italia…) ho tentennato parecchio, fino a oggi! E devo dire che mi è piaciuto!

Roma città aperta è un film storico nel senso che è quasi documentaristico e non ha paura di uccidere i propri protagonisti prima della fine nel nome del vero storico, ma è pure un dramma. Il dramma di una nazione. Non ha una vera struttura in atti, anche se una certa codificazione in segmenti narrativi è apprezzabile, ma vede la vita e la resistenza all’occupazione di un certo numero di cittadini romani: partigiani, preti, donne e bambini; ognuno che cerca di sopravvivere nel suo piccolo.

Anna Magnani qua non ha quella romanità che la contraddistingue, perché qui prima di tutto è una donna, una quasi moglie e una madre. Ho apprezzato molto che qui fosse molto contenuta, anche nell’accento, e la sua storyline è veramente triste. Grande personaggio anche quello di Aldo Fabrizi, un prete che si mette a favore della causa e attivamente combatte nell’ombra gli oppressori.

Ho apprezzato che tra i rifugiati non ci fossero solo italiani ma pure tedeschi e austriaci disertori/in fuga, e che i tedeschi non fossero diavoli in Terra. Un vero film documentaristico, se vogliamo.

A me il film è piaciuto, certo siamo ben lontani dalle vere intenzioni originali del Neorealismo (soprattutto per le musiche che influenzano parecchio la visione), ma il ritratto d’Italia c’è tutto e mi sembrava di essere lì. E c’era pure spazio per alcune scene di ironia, perché la vita è fatta anche di questo.

Credo che le prossime Visioni Sentieri Selvaggi riprenderanno la Nuovelle Vague, che secondo me è l’argomento che abbiamo trattato meno in Storia del cinema. Forse ci sarà poco da dire, ma devo vedere qualche film per capire bene. Ciaone e alla prossima!

Visioni Sentieri Selvaggi: Paisà

Buonasera! Oggi finalmente torno a condividere le mie visioni accademiche con Paisà, uno dei cult di Rossellini. Che a me non è piaciuto.

Paisà è il secondo film neorealista che guardo, molti anni fa guardai pure Riso amaro ma di quel film non ho grandi ricordi. Paisà è un film celebrato, posso anche capire perché, ma se volevo guardare un’opera di tal genere tanto valeva che mi guardavo un documentario: un film episodico sulle vicissitudini degli italiani rispetto alla fine della Seconda Guerra Mondiale in Italia.

La sequenza che ho preferito è stata la prima, con Carmela e John, che si conclude con un’amara ironia. Quella che mi ha fatto riflettere invece è stata nel monastero. La seconda, invece, mi ha lasciato perplesso: ok, il nero si accorge della distruzione nella quale vive il bambino ma lui in quanto nero in America non credo vivesse tanto meglio. No?

La sequenza del monastero poi mostra quanto i monaci, o almeno quei monaci, fossero ipocriti: cercare di convertire o pensare di dover convertire due ‘anime perse’ li rende veramente concettualmente dai Nazisti o dai Fascisti? Soprattutto perché un’anima persa è un ebreo! Per fortuna, a mostrare una Chiesa più aperta c’è il prete americano, anche se ricordiamoci del razzismo in America prima di santificarlo.

Io ho trovato Paisà noioso e lento. Poi è da stronzi mettere i sottotitoli bianchi su scene in bianco e nero al sole. Vuol dire che è bianco su bianco! E poi che realismo c’è se il film si basa su una sceneggiatura originale? Non bastano attori non professionisti (credo pure doppiati) o vicende verosimili per renderlo simile all’idea originale del movimento neorealista. E non c’è nemmeno una linea narrativa costante, veramente un film pesante. Forse però sono io che non sopporto Rossellini, visto che sopportai a malapena pure Viaggio in Italia.

Prossimamente vedrò Umberto D e vedo se cambiando regista il discorso migliora. Alla prossima!

VISIONI SENTIERI SELVAGGI: Lo sceicco bianco

Questo è il secondo film di Fellini che vedo, dopo I vitelloni. Invece, la filmografia di Sordi (che interpreta lo Sceicco Bianco) non mi è nuova, anzi! Di questo film avevo saputo grazie al biopic sul celebre attore: Permette? Alberto Sordi. Lo sceicco bianco è stata una bellissima visione, tra sogno e realtà e un’amalgama tragicomica.

Commedia felliniana del 1952, parla di una crisi di coppia durante il viaggio di nozze a Roma: la mogliettina sparisce per andare a trovare il suo idolo cinematografico (anche se avevo capito fossero romanzi, boh) lasciando il marito solo ad affrontare i parenti romani mentre la sta cercando. Tra sogno e realtà, assistiamo alle vicende di queste due persone fino al finale riconciliante.

Sordi qui interpreta lo Sceicco Bianco, figura fittizia impersonata da un artista a cui il nostro attore dà corpo.
E’ in questo segmento che potremmo riassumere l’intero film: qui Wanda, interpretata da una mogia e sognatrice Brunella Bovo, finalmente incontra il suo idolo e se all’inizio tutto sembra un sogno improvvisamente si scontra con la dura realtà di un approfittatore vigliacco. Il sogno si infrange. Il suo di sogno, però! Fin dall’inizio delle riprese si capiva che la fantasia del cinema era puramente terrena, con attori che litigano con i bambini, gli attori come deportati su furgoni per andare sul set, totalmente in balia degli umori del regista; tuttavia Wanda è sognante, le pare di vivere un sogno e solamente sulla barca si accorge dell’errore di valutazione che ha commesso senza nemmeno accorgersene.
Dulcis in fundo, la lettera che le ha concesso tante speranze potrebbe essere il tipico formato che le produzioni mandano ai fan.

Dall’altra parte c’è il marito, che si ritrova abbandonato (per un solo giorno, tra l’altro), a gestire gli zii autoritari e che vogliono conoscere la nipote acquisita. Pure con lui ci sono sequenze dove realtà e finzione si mescolano: quando telefona in camera e finge di parlare con la moglie, oppure quando cerca di convincere gli zii che Wanda sta dormendo in camera. Incarnato da Leopoldo Trieste, che ho recente visto in Sedotta e abbandonata, l’uomo rende benissimo sia lo stress di dover sempre mentire cercando di stare all’immagine che deve fornire di se stesso sia il terrore di vedere il priprio onore distrutto dalla moglie fuggita.
Ironia della sorte, lui avrebbe anche avuto ragione perché tutti gli uomini che interagiscono con Wanda si rivelano porci approfittatori. Ulteriore ironia, lei rifiuta sempre perché ama il marito e gli è fedele.

Lo sceicco bianco quindi gioca sui registri della commedia e del dramma, dividendosi in due parti ben distinte: se la prima è più dialogica, con una musica più lieve e d’atmosfera sognante, la seconda diventa più impetuosa.
Anche la regia e il montaggio giocano molto con noi spettatori, creando situazioni comiche anche nel dramma, come quando Wanda si vuole suicidare, il montaggio fa capire lei si trova su un ponte, si butta e scopriamo che si trovava sulla riva del fiume. Non è morta, si è solo fatta un bel bagno! E io sono scoppiato a ridere, la musica prima di quell’attimo era tetrissima!

Il film è stupendo, credo che tra i due di Fellini che ho visto sia il mio preferito. E non fatemi una testa tanto per La dolce vita, 8 e mezzo, Casanova, Amarcord e altri: quando sarà il momento li recupero. Ciao!

VISIONI SENTIERI SELVAGGI: Neptune Frost

Buongiorno! Raramente parlo dei cineforum della scuola perché finiscono sempre dopo le 11 di sera e ovviamente dopo devo tornare a casa (se non mi fermo a bere qualcosa in compagnia); a quelle ore non ho molta voglia di articolare pensieri più o meno coerenti al computer. Tuttavia, questo film è veramente interessante e quindi vorrei rifletterci sopra. Qualcuno lo ha visto?

Neptune Frost è un film del 2021 che fa parte della corrente dell’Afrofuturismo: da quello che ho capito, è l’ondata di cinema black che cerca di riappropriarsi della propria identità culturale sfociando anche nei generi tipicamente ‘bianchi’.
Con un cast esclusivamente nero parla di una storia di ribellione e cybercose, che non ho pienamente capito. La prima parte sembra incentrata sull’identità di genere e sul tema del viaggio; la seconda parte è un trippone assurdo che mischia l’Internet alle tematiche dittatoriali.

La mia interpretazione è che i personaggi rappresentino i dati dell’Internet che noi usiamo senza sapere. Vogliono ribellarsi per far sentire la loro voce ma alla fine il bug viene ‘curato’ e muoiono quasi tutti. Boh.

Per me più che per la trama il film va visto per la messa in scena: è un musical che unisce il cyberpunk (?) alla storia e all’arte africana. Il trucco e le canzoni sono stratosferici e riescono a creare una dimensione altra. Della sceneggiatura non dico nulla perché non ho capito un cazzo. Belli anche alcuni costumi, molto originali, anche questi tra la moda africana e il futurismo.

E voi? Lo conoscevate? Forse amando il scifi più di me potreste pure apprezzarlo e soprattutto capirlo… Ciaone!