Questo film, assieme agli altri della trilogia, lo avevo già visto, Il padrino più di una volta; ma erano anni che non lo riguardavo anche perché non amo i film infiniti. Ma era in lista, è su Netflix, alla fine l’ho ri-guardato.
Iniziando a studiare cinema ho notato molte cose importanti:
il montaggio parallelo nella scena del battesimo
l’arco evolutivo di Michael che lo rende il protagonista
la scena del duplice omicidio al ristorante, punto di non ritorno, proprio a metà film
molti primi piani, mezzi busti e la cinepresa sempre ad altezza occhi
i raccordi di sguardo tipici del cinema classico
la scelta di Michael di entrare negli affari di famiglia nella scena in ospedale
Inoltre, fin dalla prima scena possiamo notare il grande potere del padrino; e soprattutto quanto questi italo-americani ostentino la loro italianità! Cantanti d’opera, musiche popolari italiane, la pasta con le polpette! Ci mancano solo il mandolino e la mafia… ah, no, quella c’è. E in un’altra scena ci sono pure i cannoli.
Quanto gli americani siano senza origini il film lo spiega dettagliatamente, veramente ridicola ‘sta famiglia che si sente italiana ma ha bisogno di un interprete per parlare con un italiano vero. Scena poi resa malissimo nell’adattamento: capisco con Michael che da bravo ignorante americano parla americano, ma è straniante sentir parlare Michael in italiano e sentire il traduttore ripetere le stesse cose in italiano! Non potevano pensare a qualcos’altro?
A parte queste riflessioni, il film è molto bello, qui Al Pacino e Marlon Brando bucano lo schermo; Coppola ha veramente confezionato un capolavoro, ma anche Nino Rota ha aiutato moltissimo. Dopotutto è un cult, no?
Questo film tecnicamente non fa parte della lista dei film da recuperare dataci dal prof di mestieri cinematografici; e non è nemmeno tra le visioni contenute nel drive scolastico, da vedere prima o poi. Tuttavia, era da recuperare, ora vi spiego l’iter. Settimane fa abbiamo parlato della sceneggiatura e il prof di mestieri ci ha mostrato un documentario sulla coppia Age&Scarpelli; già là veniva citato il film per il dialetto che avevano inventato assieme al regista. Inoltre, oggi abbiamo iniziato a parlare di regia (sempre col prof di mestieri) e ci ha buttato qualche riflessione su Mario Monicelli, con il compito per casa di informarci il più possibile sulla sua figura e di recuperare qualche suo film.
Eccoci qui.
Considerato da molti come IL cult italiano, a me è piaciuto. Ha quel mix di ironia e violenza, tra speranza e sogni perennemente infranti. Il finale dice tutto: la Terra Santa è l’unica cosa che si salva del sogno che ha caratterizzato le disavventure dell’intera narrazione! E non è che morire a Gerusalemme sia tanto meglio che morire di rogo…
Ambientato in un medioevo drammatico e violento, ho adorato i costumi di Piero Gherardi. Ma è Gassman che ruba la scena, con un aristocratico che cerca di elevare i suoi commilitoni utilizzando i costumi nobili con cui è cresciuto ma è inutile dirlo: è sfigato, e pure povero. Sulla sua sfiga basterebbe citare la sua vita amorosa.
La vedova: portatrice di peste, da cui fugge
Matelda, la quale dopo un rifiuto di lui ad amarla lo calunnia quasi portandolo a morte
Teodora: l’unica con cui scopa per scoprire che le piace frustare ed essere frustrata
Da questo schema si nota una ricorrenza: l’umanità è dolore senza gioie, c’è molta violenza e l’unico piacere può venire da Dio. C’è pure una leggera critica verso i ricchi e i poveri che non potranno mai elevare il proprio stato. Allegria!
Prima visione italiana dalla lista, è un film molto intimo. Ho dovuto guardarlo ora perché l’ho beccato su Raiplay e la sua permanenza là scade tra 4 giorni!
Racconto del delicato rapporto d’amicizia prima e vagamente sentimentale tra due giovani, accomunati da una persona disgraziata (il fratello maggiore di lui e l’ex di lei). Intimo e semplice, è il racconto di formazione di questo ragazzo mentre cerca di riparare al torto che il fratello ha fatto alla ragazza, seducendola e abbandonandola.
Ho definito il film intimo per due ragioni: la storia trattata, molto semplice e lineare; ma soprattutto per le inquadrature, perché i primi piani e i mezzi busti sono frequentissimi con la cinepresa che raramente si allontana oltre la figura intera.
Claudia Cardinale racconta di una ragazza che alla fine vuole solo capire perché è stata abbandonata, gioca con questo ragazzino probabilmente intuendo che è collegato al suo ex. Lei è consapevole della sua bellezza e dell’effetto che fa agli uomini. Durerà l’intera narrazione la lenta scoperta del suo passato e della sua identità, anche se alla fine il finale è molto amaro: può anche essere una donna affascinante, ma nessun uomo alla fine è interessato a rimanerle vicino.
Un bel film, di certo non leggerissimo ma con una bella regia e un bel cast. Certo, corto non è.
Beh, in pratica, se tutti guidassero bene il mondo ora sarebbe invaso da esseri replicanti di natura vegetale; e non sapremmo che il dottore per tutto il racconto non ha detto altro che la verità.
L’invasione degli Ultracorpi è un classico della fantascienza anni ’50 al cinema, e parla di un’invasione di creature antropomorfe uscite da misteriosi baccelli. Le persone sostituite diventano prive di emozioni, mentre i parenti e gli amici lentamente si accorgono che qualcosa non va.
Il film inizia nel presente e si dipana nel passato, come flashback narrato dal protagonista; così, non possiamo sapere tutto quello che accadde nel passato e fino alla fine non possiamo nemmeno essere sicuri che quello che accadde sia realmente quello che successe: è affidabile il narratore?
Con un climax abbastanza lungo, il film si divide in 3 atti: introduzione, realizzazione del pericolo e fuga. Nel mentre, la protagonista della vicenda è la storia d’amore tra i due protagonisti; storia che per mia sorpresa naufragherà per forze narrative! Il film si lascia guardare e a una certa il climax riesce a creare pure un po’ di ansietta, anche se alla fine la parte della fuga si dilata troppo a lungo. Il cast è in parte, anche se ho preferito Dana Winter a Kevin McCarthy. Don Siegel dirige una pellicola che alterna i campi lunghi a inquadrature molto più vicine per farci sentire lo stress dei protagonisti mentre le musiche, anche qui importanti nella narrazione, imperano le scene.
Buongiorno! Oggi torno con un blog personale per parlare del mio soggiorno a Roma, finora durato un mesetto abbondante: tra appartamento, spese, scuola e palestra vi racconto della mia esperienza!
Vivo in un piccolo appartamento in via Prenestina, ve lo dico perché è un viale enorme con moltissime vie parallele, incidentali e fluttuanti; sapete quanto ci tengo alla mia privacy. L’appartamento fa parte di un residence e quindi pago 480 euro al mese per una camera da letto, un bagno condiviso con uno spagnolo e la cucina. Il contratto non prevede asciugamani o divanetti, di utensili in cucina sono presenti solo quelli più basilari e sono abbastanza scassati; voglio comprare un tagliere e un coltellaccio perché sono il tipo che si mangia il muscolo del prosciutto crudo, oltre ad aver già comprato un pelapatate per le carote. Il frigo poi è condiviso e il freezer è rotto: perde acqua e quindi i cassetti sono perennemente sigillati da un muro di ghiaccio. Il bagno poi è rotto: cesso che non butta giù la cagata perché esce poca acqua solo da un lato e acqua calda che arriva dopo un quarto d’ora.
Almeno, la zona è ricca di servizi.
Ho vicinissime a casa una pasticceria e una palestra, a cui sono iscritto. Poi ho due tabaccherie, una delle quali collabora con la ditta dei mezzi pubblici, per caricare la tessera dell’abbonamento mensile. Un conad, un barbiere, un negozio di oggettistica stupendo e un sacco di minimarket e quei negozi cinesi che contengono al loro interno ogni tipo di merce (infatti da loro ho già fatto alcuni acquisti). Ma il punto più importante è la posizione rispetto ai mezzi pubblici: ho vicinissime le fermate del tram e del bus!
Quindi se lo volessi, durante il week-end potrei restare in quartiere e non mi mancherebbe nulla. Ci avrei pure un locale simil-discoteca a due passi, anche se conoscendomi sapete benissimo che non ci metterò mai piede.
La scuola Sentieri Selvaggi invece è proprio bellina. Ho già parlato abbondantemente della scuola in sé nei due articoli a tema precedenti (vecchi di 1 e 2 anni). Finora le lezioni prevedono: – Mestieri del cinema – Linguaggi del cinema e dei prodotti audiovisivi – Prodotti del cinema – Inglese – Scrittura Sono lezione da un’ora e mezza ciascuna, circa dalle 10 alle 14 con pausa di qualche minuto nel mezzo per bere, mangiare o fumare. A me piace molto come sistema, certo non è stringente come quello universitario e gli orari tagliano a metà la giornata ma è utile e dà molto tempo libero.
Il problema maggiore è: quando mi metto a leggere i libri di testo? E quando dovrei guardare i film accademici? Poi nei week-end ci sono le proiezioni interne alla scuola, principalmente cortometraggi o documentari impreziositi con gli autori che si fanno intervistare. Devo ancora capire come gestirmi con lo studio. Avevo pensato che potevo leggere nel fine settimana, ma ora per esempio devo scrivere una lista o una classifica per Scrittura e ciò addizionato ad altri impegni mi sottrae molto tempo. Boh, vedrò.
E questa per ora è la mia Roma. Non sono il tipo che non sapendo cosa fare fa turismo, ma sono andato spesso a mangiare la pizza nei locali o a bere con i miei compagni di corso. I prezzi sono molto buoni, mi aspettavo prezzi molto più alti!
Per chi mi legge da diverso tempo ormai è ormai nota la mia bassa tolleranza verso il cinema puramente d’azione, per cui potete immaginare la mia gioia quando ho notato prima il titolo nella lista dei film da recuperare e poi anche su Netflix. Mi sono detto: vabbeh, guardiamolo e vediamo cosa ne esce fuori.
Drive è un film del 2011 diretto da Nicolas Winding Refn e con protagonista Ryan Gosling, basato sul romanzo di James Sallis.
Sarò sincero, questo non è un film d’azione ma un thriller. Certo, ce ne sono molti di film con un protagonista bello e dannato, apatico ma con grandi sorprese. Tuttavia, questo film ha un ritmo molto interessante con una messa in scena che cattura lo sguardo.
A proposito di sguardi: Drive potrebbe benissimo essere un film muto, tutto si gioca sulle interiezioni visive dei personaggi e sulla guida del protagonista. Sono pochi i dialoghi veramente incisivi, sono più frequenti le scene dove sono i corpi a dialogare e le parole sono puramente di contorno. E la macchina è il luogo dove il protagonista esprime al meglio le proprie emozioni, dove si sfoga e anche dove avviene la morte: la rapina mentre la vittima si dirigeva alla macchina, l’ascensore verso il parcheggio interno, la macchina stessa usata come arma o un accoltellamento reciproco vicino alla stessa. Ma poi sono lunghe le sequenze in cui lui guida, osserva la strada, ne è padrone.
La sceneggiatura, scritta da Hossein Amini, è molto intelligente nel descrivere i personaggi. Alla fine del protagonista conosciamo solo quello che vediamo; per esempio, solo alla fine si capisce perché indossa quel giubbotto con lo scorpione e del suo significato. E che è molto psicopatico. Poi la prima scena descrive perfettamente il protagonista: sappiamo che è un ottimo guidatore, sentiamo che ha un tono senza emozioni, vediamo che studia le mappe della città e che come lavoro fa l’autista per criminali.
In pratica per tutto il film l’arco del personaggio riguarda proprio il suo percorso emotivo. Un bel film, alla fine. Montaggio assurdo.
Struggente lungometraggio di Charlie Chaplin, il suo primo e forse il suo capolavoro, parla di un uomo povero che per compassione adotta un orfanello trovato neonato per strada e delle loro avventure nel passare degli anni.
Chaplin ritrae un uomo abbastanza egoista anche se con le migliori intenzioni: più volte lo vediamo sfruttare il bambino per lavori più o meno onesti oppure sottrargli le coperte mentre dormivano vicini; tuttavia il protagonista è anche un uomo dolce e amorevole, che infatti accoglie in casa senza problemi il trovatello e fa di tutto per accudirlo. Il bambino invece è adorabile: è premuroso verso il padre, lo aiuta a racimolare soldi, gli prepara la colazione e gli è sempre fedele e affettuoso anche quando potrebbe avere una vita migliore.
La trama pur essendo molto semplice è struggente perché il legame padre-figlio tra i due è forte ed evidente nonostante le difficoltà in cui i due vivono. Per tutto il film questa coppia cerca di sopravvivere insieme e anche quando le forze sociali tentano di separarli, preferiscono fuggire che per l’appunto separarsi.
Il film dal punto di vista tecnico è veramente interessante: un cinema muto in bianco e nero, anche se capiamo che sul set i dialoghi scorrevano a fiumi, e una colonna sonora che accompagna e impreziosisce la narrazione. I dialoghi fondamentali, tuttavia, sono riportati come cartelloni e proiettati dopo la nostra visione sorda della conversazione. La macchina da presa è sempre statica: sono gli attori che recitano muovendosi nei riquadri che essa riprende (che siano le abitazioni o i vicoli della città); per le diverse inquadrature nella stessa scena, è la cinepresa a spostarsi creando campi lunghi, campi medi e primi piani con l’avvicinarsi o meno di essa all’oggetto; una serie di stacchi e inquadrature rappresentano quindi la narrazione del film. La recitazione invece è molto iperbolica, una comicità slapstick adatta a farsi capire senza l’uso della parola. Ma nei momenti toccanti, che devono essere impattanti nel nostro cuore di noi spettatori, Chaplin riesce benissimo a trasmettere l’emozione!
E questo è il primo articolo del nuovo format che, con la mia costanza alla prova, mi farà pubblicare articoli fuori orario man mano che visiono i film indicati dalla scuola Sentieri Selvaggi. Ciao!
La sceneggiatura è una descrizione più o meno precisa, coerente, sistematica, di una serie di eventi, personaggi e dialoghi connessi in qualche modo fra loro. Possiamo considerare la sceneggiatura come un processo di elaborazione del racconto cinematografico che passa attraverso diversi stadi che vanno dall’idea di partenza alla sceneggiatura vera e propria.
Quali sono questi stadi? In ordine sono: il soggetto, il trattamento scalettato e infine la stesura della vera e propria sceneggiatura, molte volte accompagnata dalla creazione dello storyboard.
Quindi, potremmo dire che il cinema nasce da un racconto, proprio come un libro.
E quindi come la trama dei libri, la sceneggiatura ci appare e si svela nei nostri sogni?
Inoltre, la sceneggiatura è un lavoro di squadra. Personalmente, ho vissuto l’esperienza di collaborare con altri ragazzi nella stesura della sceneggiatura seguendo tutti i passi sopraelencati, grazie a una scuola di sceneggiatura, durante uno stage estivo di una settimana; qui parlo dell’esperienza, che consiglio anche solo per vedere il cinema con occhi diversi.
Il personaggio:
Elemento chiave di ogni sceneggiatura è il proprio personaggio protagonista, non può esistere film o romanzo senza un protagonista; nel cinema, inoltre, questa figura è rappresentata da una sola persona, che sia umana o figurata, e sono le sue azioni a dirigere il film.
Il personaggio protagonista è caratterizzato da tre elementi:
il FATAL FLOW, cioè il proprio punto debole, il suo tallone d’Achille e il tasto dolente che ne caratterizza l’indole o il fisico;
il NEED, cioè il bisogno che vive per sopravvivere, un obiettivo necessario per sopravvivere come nutrirsi, sentirsi amato e tutti gli altri diritti dell’umanità;
il DESIRE è il desiderio o l’ambizione, cioè una meta da raggiungere.
Il personaggio protagonista, inoltre, è caratterizzato da un conflitto interno, che lo divide tra uno dei tre elementi sopraelencati; il conflitto può essere sia esteriore sia interiore. Per esempio, in Indiana Jones e i predatori dell’Arca perduta, il conflitto esteriore potrebbe essere la ricerca di questa fantomatica Arca mentre quello interiore potrebbe essere la battaglia con la propria avidità innata come uomo ma che non dovrebbe avere in quanto archeologo.
Gli altri personaggi, invece, si dividono tra suoi alleati, alleati dell’antagonista e personaggi di servizio (servono da connessione durante la narrazione della trama). Ovviamente, il focus di maturazione deve essere posto sul protagonista o il film ha sbagliato a focalizzare lo svolgimento degli eventi.
La struttura di un film:
La narrazione del film si basa sul Climax, che rappresenta il percorso narrativo della pellicola. L’introduzione del protagonista avviene nel Set Up, mentre il vero snodo della trama avviene al PS1 (il punto di minimo) a circa un quarto della durata; a metà c’è il PM, accadimento che svela qualcosa o pone il protagonista in grado di affrontare la sfida o l’ostacolo; quindi, per la successiva mezz’ora i fatti procedono fino al secondo punto di minimo PS2 e la svolta verso la risoluzione finale (P). Alla fine, ci sono il CL1 e il CL2, che sono le risoluzioni del conflitto su vari livelli.
Questa struttura, come avrete capito, è resa per un film di due ore, ma alla fine può essere sviluppata anche proporzionalmente ad altre durate.
Il finale può essere:
chiuso negativo, spesso usato nei film di denuncia;
finale aperto;
finale chiuso positivo, tipico delle commedie.
Abbiamo finito. Ciaone e alla prossima!^^
PS: Ora vi lascio alcuni link che potrebbero interessarvi.
Testimonianza del corso di sceneggiatura che ho frequentato presso Sentieri Selvaggi: qui
Testimonianza del corso di critica cinematografica che ho frequentato presso Sentieri Selvaggi: qui
Il racconto che ho scritto ispirato al corso di sceneggiatura: qui
Dal 12 al 16 luglio 2021 con Sergej Sozzo, cinque giornate per orientarsi nella professione del critico cinematografico tra visioni, scrittura ed esperienza redazionale!
Buongiorno, oggi voglio portare la mia testimonianza del corso di cinema che ho sostenuto durante il mese di luglio assieme ad altri 4 ragazzi e al direttore del giornale online Sentieri Selvaggi Sergio Sozzo.
INNANZITUTTO, DOVE SI TROVA?
Il corso che ho seguito era tenuto nella sede centrale della scuola di cinema Sentieri Selvaggi, ubicata a Roma vicino al Colosseo. Si tratta di un bell’edificio moderno suddiviso su due piani e vicino a un parco e al centro storico.
COM’ERANO GLI INTERNI?
Gli interni della scuola sono ben pensati, ricavati in modo da creare alcune stanze più o meno strette ma in grado di sfruttare perfettamente lo spazio a disposizione. Noi eravamo dentro all’aula: una stanza capace di contenere una decina abbondante di persone, dei banchi di scuola e la scrivania del professore (munita di vetro separatore per isolarlo da noi).
La struttura è piena di gel disinfettanti e avvisi di tenersi puliti e lavare spesso le mani.
La scuola in sé ha interni molto belli perché appese alle pareti e sui mobili ci sono immagini, fotografie e cartelloni di film molto famosi; è come entrare in un piccolo grande cinema! Credo che l’immagine che mi ha colpito maggiormente sia stata quella estrapolata da What we do in the shadows per ricordare di tenere tutto pulito! Adoro.
E COM’ERA L’AULA?
L’aula era stata organizzata in modo da essere in regola con le prevenzioni Covid: pochi banchi con noi studente mascherati, il professore dietro a un separé di plastica e una lavagna interattiva per spiegarci e mostrarci meglio le lezioni. Era molto comoda, insonorizzata e con l’aria condizionata privata.
Ogni volta che dovevamo uscire per un caffé usavamo una porta laterale per non disturbare la classe affianco, di recitazione.
MA QUINDI, ‘STE LEZIONI COM’ERANO?
Le lezioni erano suddivise tra la mattina (lezioni teoriche) e il pomeriggio (il laboratorio).
Alla mattina il primo giorno ci ha fatto un’introduzione alle recensioni e ai vari tipi di articoli che un giornalista di cinema può scrivere; il resto delle giornate, ovviamente oltre alle parti teoriche correggevamo gli elaborati scritti durante la giornata precedente. Credo che la lezione più interessante sia stata quando ci ha consigliato il libro Lavoro, quindi scrivo! e abbiamo parlato dei differenti schemi di struttura del testo critico.
Al pomeriggio, invece, dopo un’oretta di solito tra le 13,30 e le 15 (dipendeva da quando finivamo) ci riunivamo davanti alla scuola dopo aver pranzato e andavamo ‘al cinema a guardare il film consigliato’. Poi, durante il pomeriggio e la serata dovevamo scrivere un articolo secondo le indicazioni del professore e mandarlo entro le 22; potevamo stare a scuola sfruttando le loro attrezzature fino alle 19, ora in cui chiudono.
Mi sono piaciute molto queste lezioni, all’ultimo giorno al posto di un film abbiamo visto un documentario in produzione e abbiamo intervistato i registi, ex studenti della scuola Sentieri Selvaggi!
Il prof ogni volta che leggeva i miei testi^^
E GLI ALTRI STUDENTI? CHI TROVO ANDANDO A QUESTI CORSI?
Quest’anno, in vista della mia prossima laurea triennale e dipartita dal mondo scientifico, ho avuto molta fortuna: eravamo in tutto 5 studenti, di cui tre erano studentesse della scuola che avevano deciso di aderire a questo corso per una rinfrescata e un ulteriore allenamento prima dell’esame di settembre.
Ciò mi ha permesso di parlare con loro e farmi un’idea frutto dell’esperienza di come siano veramente i corsi e gli esami della scuola di cinema Sentieri Selvaggi; inoltre, durante quella stessa settimana il direttore della scuola è stato così gentile da fissare un appuntamento privato per farmi una specie di Open Day personale!
MI è SERVITO PER IL BLOG?
Certamente. Innanzitutto, un articolo scritto come compito per casa l’ho già pubblicato sul blog qui e poi anche solo parlare con queste persone dello staff della scuola e con queste ragazze è stato molto istruttivo.
Inoltre, non è la prima volta che frequento quella scuola: c’ero andato anche l’anno scorso per il laboratorio di sceneggiatura, di cui ho conservato la testimonianza qui. Ecco, la critica alla fine l’ho trovata molto ma molto ma molto più interessante della sceneggiatura, anche perché il prof ci ha spiegato aneddoti della sua vita lavorativa e che un critico non deve solo scrivere su un media ma anche collaborare per rassegne e tanto altro.
CONCLUSIONI:
Se non si è capito, io ho amato il corso e la sera se avessi voluto avrei potuto uscire e ubriacarmi fin dalle 17, ora in cui ci salutavamo fuori dal ‘cinema’ dopo la visione del film: era un corso che permetteva benissimo la vacanza.
Se avete altre domande o curiosità, scrivetemi nei commenti. Io vi dico come al solito ciaone e spero di vedervi ad agosto! Ciao!
Eravamo così in aula e per Roma, mi sembra abbastanza Covid-free…
Recentemente ho passato una bellissima settimana a Roma per seguire un interessante laboratorio di sceneggiatura tenuto presso la scuola di cinema Sentieri Selvaggi; qui condivido la mia esperienza.
Cos’è la scuola Sentieri Selvaggi?
Sentieri Selvaggi è una scuola di cinema che offre diversi corsi, variando dalla regia alla sceneggiatura, dalla fotografia fino al montaggio di video. Inoltre, le offerte formative variano anche di prezzi e sconti a seconda della materia e ovviamente del periodo di iscrizione; ho con me il volantino e devo dire che si capisce molto meglio del sito.
La scuola, almeno quella in cui ho passato le mie giornate romane, è costituita da un edificio moderno pieno di locandine famose di film più o meno celebri, svariate stanze insonorizzate e una per le conferenze (dove abbiamo fatto lezione). Dall’esterno l’edificio può sembrare molto piccolo ma l’apparenza inganna perché non solo ci sono molte stanze in successione lineare al pian terreno, ma ci devono essere ulteriori piani superiori!
Che laboratorio ho seguito presso la scuola Sentieri Selvaggi?
Presso la scuola di cinema Sentieri Selvaggi ho seguito un laboratorio mattutino di sceneggiatura, una bella introduzione alla scrittura per il cinema mediata dalla regista e sceneggiatrice Veronica Succi.
Iniziava alle dieci del mattino e finiva alle due del pomeriggio. Erano lezioni frontali durante le quali la professoressa spiegava la teoria e la grammatica della sceneggiatura, come scriverla e che linguaggio usare per la stesura; poi leggevamo i nostri testi o soggetti e spiegava ulteriormente sulla base dei nostri errori.
Dalle tre del pomeriggio fino alle sette, inoltre, la scuola era aperta a noi studenti per permetterci di confrontarci e riunirci a scrivere prima i nostri soggetti in compagnia e poi con i lavori di gruppo.
Interessante, è che grazie a questo laboratorio sia riuscito ad avere una bella idea per il mio ultimo racconto, che potete leggere qui.
I lavori di gruppo, per le sceneggiature
A frequentare il corso eravamo tredici e quindi fummo divisi in tre gruppi; ogni gruppo ha elaborato un soggetto di uno dei propri membri, prima creando un trattamento scalettato e quindi una sceneggiatura.
Lavorare in gruppo per un progetto creativo è stato veramente interessante, anche se molte volte chiare divergenze creative hanno rallentato il tutto. Comunicare le proprie idee con qualcuno distante da sé, non solo a livello geografico di origine, ma anche culturale è stato veramente e indubbiamente stimolante: tante idee, molti modi approcci allo stesso canovaccio, troppe idee diverse le une dalle altre.
La professoressa, che lavorava solo di mattina, non si è mai fermata ad aiutarci se non l’ultimo giorno perché il lavoro di gruppo lo avevamo durante i pomeriggi, mentre le mattine le passavamo a leggere i nostri lavori. Forse sarebbe stato meglio avere subito una base su cui lavorare in armonia e qualcuno che i primi giorni aiutasse nelle interazioni e a calmarci.
Cosa ho imparato?
Da questa splendida immersione e introduzione al mondo degli sceneggiatori ho imparato diverse cose. Oltre a piccola base di sceneggiatura, che se volete posso condividere in un futuro post (fatemelo sapere giù nei commenti), ho scoperto che la sceneggiatura si basa sulla condivisione di storie e la voglia di conoscere il prossimo e sul confronto con il prossimo.
Inoltre, la sceneggiatura è un’arte che si celebra al meglio con più persone, perché più menti sono maggiormente in grado di apportare al lavoro di gruppo più riflessioni, più eredità culturali e sicuramente più confronti! Purtroppo, con il mio carattere schivo e diffidente ciò è stato molto difficile ma sono pronto a lavorarci: infatti, se sono abituato a lavorare in gruppo dove a contare sono solo i numeri e l’attenzione, dove contano anche la fantasia e l’abilità di adattarsi deve essere ancora più bello!
Conclusioni
Ciao e grazie per essere rimasti fin qui. Se volete pormi domande sull’esperienza o sulla teoria che mi è stata insegnata, non tardate! A me l’esperienza è piaciuta, la raccomando a cuore aperto. Ciaone!!