Studiata a scuola Sentieri Selvaggi per il cinema sovietico post WWI, ho ritrovato gran parte delle informazioni che già conoscevo:
una narrazione e un montaggio molto semplici per farsi capire da più plebei possibili
una reiterazione delle azioni per evidenziarne l’importanza
una grande cura verso i dettagli, spesso per allungare la durata delle scene madri
un’iperbolizzazione della crudeltà delle autorità zarista e la pessima vita della popolazione sfruttata
la non presenza di un protagonista lungo tutta la narrazione ma invece la presenza di masse viventi
La corazzata Potëmkin è un film molto più guardabile e digeribile (e soprattutto corto) di quanto Fantozzi, con la sua cagata pazzesca, avesse fatto credere in Italia. Un bel film, forse lunghetto nell’ultimo atto e non ho ben capito come si passi dalla corazzata ad Odessa, ma comunque si lascia guardare benissimo. Poi la musica, presente nel filmato che ho visto trovato su YT, è azzeccatissima; ho visto la versione restaurata. Per concludere, La corazzata Potëmkin riesce benissimo a creare la tensione soprattutto in due punti: ovviamente lungo la scalinata durante la strage e poi alla fine poco prima di scoprire che le corazzate che si stavano avvicinando erano alleate.
“La rivolta nella casa del padrone. La Lega dei negri controlla il Parlamento dello Stato, con 101 rappresentanti contro solo 23 bianchi, nella sessione del 1871.”
“Il risultato. Il Ku Klux Klan, l’organizzazione che salvò il Sud dal malgoverno dei negri, non senza aver versato più sangue che non nelle battaglie di Gettysburg, stando a quanto affermò il giudice Tourgee.”
Oggi ho guardato Nascita di una nazione, di Griffith e pubblicato nel 1915. E’ la classica pellicola che apprezzi per i tecnicismi e affossi per i contenuti. Mi ricordo quando ne abbiamo parlato a Storia del cinema, quando il prof ci ha avvisato che molte volte nel nostro lavoro dobbiamo scindere il lato personale/politico dal lato contenutistico/tecnico del film come prodotto artistico. Ecco, Nascita di una nazione è l’esempio classico di quando fare questa scissione.
2 ore (e 50 minuti) sentite tutte, per una narrazione lenta piena di quadri legati gli uni agli altri da tanti -troppi- cartelli le cui didascalie informano gli spettatori degli svolti narrativi.
A essere sincero, già all’inizio con questi costumi d’epoca e la gradazione di grigi avevo iniziato a confondere i personaggi. Poi dalla seconda metà, più o meno quando la scema si butta giù dal dirupo (che secondo me Gus non aveva intenzioni cattive), il caos regna sovrano e l’attenzione è calata bruscamente. Ho capito solo che: il Vicepresidente è il cattivo; i neri sono dipinti come nei peggiori sogni dei razzisti AKA nuovi tiranni che fanno ai bianchi ciò che i bianchi americani hanno fatto ai neri per secoli; il Ku Klux Klan è il salvatore della patria.
Vabbeh, bello il lato tecnico con le invenzioni dei vari raccordi e simpatica pure la colonna sonora. Ma il film ha qualcosa di sbagliato nella sua natura intrinseca, e questo perfino un bambino lo capirebbe. Povero Griffith, come sfancularsi la carriera. LOL.
A dire la verità, ogni lunedì mattina guardiamo a scuola, durante le ore di Visioni, opere legate alla lezione di Storia appena svolta. Un giorno abbiamo guardato i cortometraggi Lumiere montati insieme, per dire. Non ne parlo perché raramente sono cose finite, film veri e propri e poi li guardo a distanza di ore da quando accendo il computer. Oggi abbiamo guardato Aurora (del 1927), il primo film di Murnau in America ed il primo film ad avere la colonna sonora sincronizzata con la narrazione filmica: non a caso è considerato l’ultimo capolavoro del cinema muto, con il sonoro che sarebbe esploso negli anni seguenti.
Aurora dura un’oretta e mezza, anche se ho percepito la lunghezza della pellicola come doppia. Di Murnau avevo già visto Nosferatu, il grande cult del cinema horror e gotico, sinceramente ritengo sia un film più accessibile di Aurora e avrei scelto quello per presentare i film di quell’epoca. Inoltre, molti dei miei compagni di classe non sono abituati a film del genere (io non faccio testo, sono col cell in mano anche se guardo Biancaneve della Disney, non ho grandi capacità di attenzione) e quindi per la maggior parte della visione, soprattutto verso la fine, diciamo che il silenzio non era di casa. Con le ragazze in prima fila che hanno giustamente manifestato rimostranze.
Il film parla di un fedifrago campagnolo che viene convinto dall’amante di città ad annegare la moglie in mare. Già qui mi immaginavo una trama drammatico, ben sapendo dalla mia guida al cinema erotico e porno che gli amanti che osano andare contro il matrimonio e le autorità fanno fini ben tapine (figuriamoci negli anni ’20). Tuttavia, il film prende un’altra direzione: lui ha i rimorsi e si riscopre innamorato della moglie, con la quale passa tutto il resto della giornata cercando di farsi perdonare prima e come fidanzatini e neo-sposi poi. Ecco, questa seconda parte l’ho trovata fin troppo piena.
Il film è vincitore di 3 Oscar, nell’anno di lancio della cerimonia. L’attrice che interpreta la moglie è la prima attrice nella storia a vincere l’Oscar alla migliore attrice! Come si può intuire, il cast è eccelso, con una mimica facciale e l’espressione corporale veramente parlanti. Murnau d’altro canto ha il merito di unire l’espressionismo tedesco con lo sfarzo e la narrazione americani.
Il film dal punto di vista tecnico è veramente interessante: sovraimpressioni, montaggio alternato, trucchi gotici e una colonna sonora che finalmente sposa la scena!
Un bel film, forse troppo lungo, ma sicuramente molto bello da guardare forse in condizioni migliori che non siano l’aula scolastica pure fredda! E voi, lo conoscete? 😁
Questo film, assieme agli altri della trilogia, lo avevo già visto, Il padrino più di una volta; ma erano anni che non lo riguardavo anche perché non amo i film infiniti. Ma era in lista, è su Netflix, alla fine l’ho ri-guardato.
Iniziando a studiare cinema ho notato molte cose importanti:
il montaggio parallelo nella scena del battesimo
l’arco evolutivo di Michael che lo rende il protagonista
la scena del duplice omicidio al ristorante, punto di non ritorno, proprio a metà film
molti primi piani, mezzi busti e la cinepresa sempre ad altezza occhi
i raccordi di sguardo tipici del cinema classico
la scelta di Michael di entrare negli affari di famiglia nella scena in ospedale
Inoltre, fin dalla prima scena possiamo notare il grande potere del padrino; e soprattutto quanto questi italo-americani ostentino la loro italianità! Cantanti d’opera, musiche popolari italiane, la pasta con le polpette! Ci mancano solo il mandolino e la mafia… ah, no, quella c’è. E in un’altra scena ci sono pure i cannoli.
Quanto gli americani siano senza origini il film lo spiega dettagliatamente, veramente ridicola ‘sta famiglia che si sente italiana ma ha bisogno di un interprete per parlare con un italiano vero. Scena poi resa malissimo nell’adattamento: capisco con Michael che da bravo ignorante americano parla americano, ma è straniante sentir parlare Michael in italiano e sentire il traduttore ripetere le stesse cose in italiano! Non potevano pensare a qualcos’altro?
A parte queste riflessioni, il film è molto bello, qui Al Pacino e Marlon Brando bucano lo schermo; Coppola ha veramente confezionato un capolavoro, ma anche Nino Rota ha aiutato moltissimo. Dopotutto è un cult, no?
Questo film tecnicamente non fa parte della lista dei film da recuperare dataci dal prof di mestieri cinematografici; e non è nemmeno tra le visioni contenute nel drive scolastico, da vedere prima o poi. Tuttavia, era da recuperare, ora vi spiego l’iter. Settimane fa abbiamo parlato della sceneggiatura e il prof di mestieri ci ha mostrato un documentario sulla coppia Age&Scarpelli; già là veniva citato il film per il dialetto che avevano inventato assieme al regista. Inoltre, oggi abbiamo iniziato a parlare di regia (sempre col prof di mestieri) e ci ha buttato qualche riflessione su Mario Monicelli, con il compito per casa di informarci il più possibile sulla sua figura e di recuperare qualche suo film.
Eccoci qui.
Considerato da molti come IL cult italiano, a me è piaciuto. Ha quel mix di ironia e violenza, tra speranza e sogni perennemente infranti. Il finale dice tutto: la Terra Santa è l’unica cosa che si salva del sogno che ha caratterizzato le disavventure dell’intera narrazione! E non è che morire a Gerusalemme sia tanto meglio che morire di rogo…
Ambientato in un medioevo drammatico e violento, ho adorato i costumi di Piero Gherardi. Ma è Gassman che ruba la scena, con un aristocratico che cerca di elevare i suoi commilitoni utilizzando i costumi nobili con cui è cresciuto ma è inutile dirlo: è sfigato, e pure povero. Sulla sua sfiga basterebbe citare la sua vita amorosa.
La vedova: portatrice di peste, da cui fugge
Matelda, la quale dopo un rifiuto di lui ad amarla lo calunnia quasi portandolo a morte
Teodora: l’unica con cui scopa per scoprire che le piace frustare ed essere frustrata
Da questo schema si nota una ricorrenza: l’umanità è dolore senza gioie, c’è molta violenza e l’unico piacere può venire da Dio. C’è pure una leggera critica verso i ricchi e i poveri che non potranno mai elevare il proprio stato. Allegria!
Prima visione italiana dalla lista, è un film molto intimo. Ho dovuto guardarlo ora perché l’ho beccato su Raiplay e la sua permanenza là scade tra 4 giorni!
Racconto del delicato rapporto d’amicizia prima e vagamente sentimentale tra due giovani, accomunati da una persona disgraziata (il fratello maggiore di lui e l’ex di lei). Intimo e semplice, è il racconto di formazione di questo ragazzo mentre cerca di riparare al torto che il fratello ha fatto alla ragazza, seducendola e abbandonandola.
Ho definito il film intimo per due ragioni: la storia trattata, molto semplice e lineare; ma soprattutto per le inquadrature, perché i primi piani e i mezzi busti sono frequentissimi con la cinepresa che raramente si allontana oltre la figura intera.
Claudia Cardinale racconta di una ragazza che alla fine vuole solo capire perché è stata abbandonata, gioca con questo ragazzino probabilmente intuendo che è collegato al suo ex. Lei è consapevole della sua bellezza e dell’effetto che fa agli uomini. Durerà l’intera narrazione la lenta scoperta del suo passato e della sua identità, anche se alla fine il finale è molto amaro: può anche essere una donna affascinante, ma nessun uomo alla fine è interessato a rimanerle vicino.
Un bel film, di certo non leggerissimo ma con una bella regia e un bel cast. Certo, corto non è.
Beh, in pratica, se tutti guidassero bene il mondo ora sarebbe invaso da esseri replicanti di natura vegetale; e non sapremmo che il dottore per tutto il racconto non ha detto altro che la verità.
L’invasione degli Ultracorpi è un classico della fantascienza anni ’50 al cinema, e parla di un’invasione di creature antropomorfe uscite da misteriosi baccelli. Le persone sostituite diventano prive di emozioni, mentre i parenti e gli amici lentamente si accorgono che qualcosa non va.
Il film inizia nel presente e si dipana nel passato, come flashback narrato dal protagonista; così, non possiamo sapere tutto quello che accadde nel passato e fino alla fine non possiamo nemmeno essere sicuri che quello che accadde sia realmente quello che successe: è affidabile il narratore?
Con un climax abbastanza lungo, il film si divide in 3 atti: introduzione, realizzazione del pericolo e fuga. Nel mentre, la protagonista della vicenda è la storia d’amore tra i due protagonisti; storia che per mia sorpresa naufragherà per forze narrative! Il film si lascia guardare e a una certa il climax riesce a creare pure un po’ di ansietta, anche se alla fine la parte della fuga si dilata troppo a lungo. Il cast è in parte, anche se ho preferito Dana Winter a Kevin McCarthy. Don Siegel dirige una pellicola che alterna i campi lunghi a inquadrature molto più vicine per farci sentire lo stress dei protagonisti mentre le musiche, anche qui importanti nella narrazione, imperano le scene.
Buongiorno! Oggi torno con un blog personale per parlare del mio soggiorno a Roma, finora durato un mesetto abbondante: tra appartamento, spese, scuola e palestra vi racconto della mia esperienza!
Vivo in un piccolo appartamento in via Prenestina, ve lo dico perché è un viale enorme con moltissime vie parallele, incidentali e fluttuanti; sapete quanto ci tengo alla mia privacy. L’appartamento fa parte di un residence e quindi pago 480 euro al mese per una camera da letto, un bagno condiviso con uno spagnolo e la cucina. Il contratto non prevede asciugamani o divanetti, di utensili in cucina sono presenti solo quelli più basilari e sono abbastanza scassati; voglio comprare un tagliere e un coltellaccio perché sono il tipo che si mangia il muscolo del prosciutto crudo, oltre ad aver già comprato un pelapatate per le carote. Il frigo poi è condiviso e il freezer è rotto: perde acqua e quindi i cassetti sono perennemente sigillati da un muro di ghiaccio. Il bagno poi è rotto: cesso che non butta giù la cagata perché esce poca acqua solo da un lato e acqua calda che arriva dopo un quarto d’ora.
Almeno, la zona è ricca di servizi.
Ho vicinissime a casa una pasticceria e una palestra, a cui sono iscritto. Poi ho due tabaccherie, una delle quali collabora con la ditta dei mezzi pubblici, per caricare la tessera dell’abbonamento mensile. Un conad, un barbiere, un negozio di oggettistica stupendo e un sacco di minimarket e quei negozi cinesi che contengono al loro interno ogni tipo di merce (infatti da loro ho già fatto alcuni acquisti). Ma il punto più importante è la posizione rispetto ai mezzi pubblici: ho vicinissime le fermate del tram e del bus!
Quindi se lo volessi, durante il week-end potrei restare in quartiere e non mi mancherebbe nulla. Ci avrei pure un locale simil-discoteca a due passi, anche se conoscendomi sapete benissimo che non ci metterò mai piede.
La scuola Sentieri Selvaggi invece è proprio bellina. Ho già parlato abbondantemente della scuola in sé nei due articoli a tema precedenti (vecchi di 1 e 2 anni). Finora le lezioni prevedono: – Mestieri del cinema – Linguaggi del cinema e dei prodotti audiovisivi – Prodotti del cinema – Inglese – Scrittura Sono lezione da un’ora e mezza ciascuna, circa dalle 10 alle 14 con pausa di qualche minuto nel mezzo per bere, mangiare o fumare. A me piace molto come sistema, certo non è stringente come quello universitario e gli orari tagliano a metà la giornata ma è utile e dà molto tempo libero.
Il problema maggiore è: quando mi metto a leggere i libri di testo? E quando dovrei guardare i film accademici? Poi nei week-end ci sono le proiezioni interne alla scuola, principalmente cortometraggi o documentari impreziositi con gli autori che si fanno intervistare. Devo ancora capire come gestirmi con lo studio. Avevo pensato che potevo leggere nel fine settimana, ma ora per esempio devo scrivere una lista o una classifica per Scrittura e ciò addizionato ad altri impegni mi sottrae molto tempo. Boh, vedrò.
E questa per ora è la mia Roma. Non sono il tipo che non sapendo cosa fare fa turismo, ma sono andato spesso a mangiare la pizza nei locali o a bere con i miei compagni di corso. I prezzi sono molto buoni, mi aspettavo prezzi molto più alti!
Per chi mi legge da diverso tempo ormai è ormai nota la mia bassa tolleranza verso il cinema puramente d’azione, per cui potete immaginare la mia gioia quando ho notato prima il titolo nella lista dei film da recuperare e poi anche su Netflix. Mi sono detto: vabbeh, guardiamolo e vediamo cosa ne esce fuori.
Drive è un film del 2011 diretto da Nicolas Winding Refn e con protagonista Ryan Gosling, basato sul romanzo di James Sallis.
Sarò sincero, questo non è un film d’azione ma un thriller. Certo, ce ne sono molti di film con un protagonista bello e dannato, apatico ma con grandi sorprese. Tuttavia, questo film ha un ritmo molto interessante con una messa in scena che cattura lo sguardo.
A proposito di sguardi: Drive potrebbe benissimo essere un film muto, tutto si gioca sulle interiezioni visive dei personaggi e sulla guida del protagonista. Sono pochi i dialoghi veramente incisivi, sono più frequenti le scene dove sono i corpi a dialogare e le parole sono puramente di contorno. E la macchina è il luogo dove il protagonista esprime al meglio le proprie emozioni, dove si sfoga e anche dove avviene la morte: la rapina mentre la vittima si dirigeva alla macchina, l’ascensore verso il parcheggio interno, la macchina stessa usata come arma o un accoltellamento reciproco vicino alla stessa. Ma poi sono lunghe le sequenze in cui lui guida, osserva la strada, ne è padrone.
La sceneggiatura, scritta da Hossein Amini, è molto intelligente nel descrivere i personaggi. Alla fine del protagonista conosciamo solo quello che vediamo; per esempio, solo alla fine si capisce perché indossa quel giubbotto con lo scorpione e del suo significato. E che è molto psicopatico. Poi la prima scena descrive perfettamente il protagonista: sappiamo che è un ottimo guidatore, sentiamo che ha un tono senza emozioni, vediamo che studia le mappe della città e che come lavoro fa l’autista per criminali.
In pratica per tutto il film l’arco del personaggio riguarda proprio il suo percorso emotivo. Un bel film, alla fine. Montaggio assurdo.
Struggente lungometraggio di Charlie Chaplin, il suo primo e forse il suo capolavoro, parla di un uomo povero che per compassione adotta un orfanello trovato neonato per strada e delle loro avventure nel passare degli anni.
Chaplin ritrae un uomo abbastanza egoista anche se con le migliori intenzioni: più volte lo vediamo sfruttare il bambino per lavori più o meno onesti oppure sottrargli le coperte mentre dormivano vicini; tuttavia il protagonista è anche un uomo dolce e amorevole, che infatti accoglie in casa senza problemi il trovatello e fa di tutto per accudirlo. Il bambino invece è adorabile: è premuroso verso il padre, lo aiuta a racimolare soldi, gli prepara la colazione e gli è sempre fedele e affettuoso anche quando potrebbe avere una vita migliore.
La trama pur essendo molto semplice è struggente perché il legame padre-figlio tra i due è forte ed evidente nonostante le difficoltà in cui i due vivono. Per tutto il film questa coppia cerca di sopravvivere insieme e anche quando le forze sociali tentano di separarli, preferiscono fuggire che per l’appunto separarsi.
Il film dal punto di vista tecnico è veramente interessante: un cinema muto in bianco e nero, anche se capiamo che sul set i dialoghi scorrevano a fiumi, e una colonna sonora che accompagna e impreziosisce la narrazione. I dialoghi fondamentali, tuttavia, sono riportati come cartelloni e proiettati dopo la nostra visione sorda della conversazione. La macchina da presa è sempre statica: sono gli attori che recitano muovendosi nei riquadri che essa riprende (che siano le abitazioni o i vicoli della città); per le diverse inquadrature nella stessa scena, è la cinepresa a spostarsi creando campi lunghi, campi medi e primi piani con l’avvicinarsi o meno di essa all’oggetto; una serie di stacchi e inquadrature rappresentano quindi la narrazione del film. La recitazione invece è molto iperbolica, una comicità slapstick adatta a farsi capire senza l’uso della parola. Ma nei momenti toccanti, che devono essere impattanti nel nostro cuore di noi spettatori, Chaplin riesce benissimo a trasmettere l’emozione!
E questo è il primo articolo del nuovo format che, con la mia costanza alla prova, mi farà pubblicare articoli fuori orario man mano che visiono i film indicati dalla scuola Sentieri Selvaggi. Ciao!